La pace, unico rimedio all’estremismo

di Mohammed Dahlan*
in “Le Monde” del 16 gennaio 2009

L’Europa e l’America di Obama devono imporre ad Israele dei negoziati veri con i Palestinesi.
Guardo le bombe israeliane piovere nelle vie di Gaza uccidendo più di 1000 palestinesi di cui più di
300 bambini, vedo i palestinesi assediati, privi di elettricità, di acqua corrente e di carburante,
mentre subiscono pesanti restrizioni alimentari, e arrivo a chiedermi che cosa spera di guadagnarci
Israele e in che cosa tutto ciò potrebbe almeno avvicinarci a quella pace che noi, Israeliani e
Palestinesi, meritiamo.
Mentre i portavoce israeliani monopolizzano i media, affermando che lo stato ebraico effettua
questi attacchi per mettere in ginocchio Hamas, c’è una cosa che gli esperti non hanno capito: è
proprio la militarizzazione di Israele che ha fatto di Hamas il movimento che è oggi e che, quando il
fumo si sarà dissolto, lo avrà reso ancora più forte.
Non confondetevi, non sono un sostenitore di Hamas. Studente all’università islamica di Gaza, oggi
distrutta, e militante di Al Fatah, ho assistito all’aumento di potere di Hamas dalla sua formazione,
nel 1987, ed ero convinto allora, quanto lo sono anche oggi, che il suo programma politico non è di
natura tale da portare la democrazia, lo sviluppo e la crescita a lungo termine ad una Palestina
liberata.
Ma il movimento trae la sua forza non da una visione a lungo termine ma dalla sua abilità a puntare
il dito sull’assenza di progresso nei negoziati e sul fatto che i palestinesi continuano a non essere
liberi.
Per quindici anni sono stato negoziatore, e, per diversi anni nel corso di questo periodo, Israele è
stato in sicurezza più che in qualsiasi momento precedente della sua storia. Eppure,
contemporaneamente, i palestinesi hanno visto il numero dei coloni raddoppiato nei territori
occupati, hanno assistito all’ebraicizzazione di Gerusalemme, dove i loro compatrioti cristiani e
musulmani hanno dovuto chiedere un’autorizzazione degli israeliani per poter pregare nei loro
luoghi santi, hanno subito nuove restrizioni alla loro libertà di movimento, hanno visto le loro
imprese chiudere e le loro case demolite.
A Camp David e negli altri cicli di negoziati ai quali ho potuto partecipare, Israele non negoziava
con noi, ma con se stesso, cercando di imporre i suoi ordini al popolo palestinese. Gli israeliani
erano scioccati quando noi rifiutavamo di piegarci ed esigevamo, come facciamo ancora, di essere
trattati da eguali. Insomma, Israele non ha mai dati ai palestinesi la scelta tra la libertà e
l’occupazione, ma solo, e continuamente, tra l’occupazione e l’occupazione. E ad ogni anno che
passava, ad ogni ciclo di negoziati che falliva, Hamas ha potuto affermare la sua contestazione che
lo stato ebraico non aveva interesse alla pace, ma al mantenimento dell’occupazione. E poiché non
si poteva mostrare alcun progresso, la popolarità di Hamas è salita alle stelle.
Nel 2005, quando Israele ha evacuato le sue colonie (che ospitavano solo 8 000 israeliani, ma
implicavano il controllo israeliano di circa il 40% di Gaza), ho fatto di tutto per evitare che la
striscia di Gaza non divenisse una prigione a cielo aperto l’indomani del ritiro. Ho avvertito che, se
le misure unilaterali di Israele non si traducevano in benefici bilaterali tangibili (in particolare una
libertà di movimento garantita per i palestinesi e la possibilità per l’economia palestinese di tornare
a svilupparsi dopo trentotto anni di “antisviluppo”israeliano), i palestinesi si sarebbero rivolti a quel
movimento populista che è Hamas.
Israele non ha ascoltato questo avvertimento, e la striscia di Gaza è stata trasformata nella più
grande prigione al mondo a cielo aperto, i suoi abitanti quasi ridotti a mendicare per avere
carburante, acqua, elettricità e cibo. Il messaggio di Israele era chiaro per i palestinesi: lo stato
ebraico vuole non restituirci mai la nostra libertà, vuole controllare le nostre vite il più a lungo
possibile.
Essendo tutte le famiglie palestinesi toccate dall’offensiva israeliana nella striscia di Gaza (dove
case, moschee, scuole e università sono distrutte), Hamas potrà presto affermare che Israele cerca di
sterminare il popolo palestinese. Come Israele può denunciare la charta di Hamas, i palestinesi
possono denunciare i programmi politici di tutti i grandi partiti israeliani, che non riconoscono il
diritto di esistenza della Palestina. Il movimento pacifista e tutti coloro che credono che un accordo
negoziato possa essere ottenuto con Israele ne saranno le vittime.
Ecco perché credo che l’Europa e la “nuova” America del presidente Obama abbiano oggi
l’occasione di dar prova del loro impegno in favore di una Palestina libera. Dopo quarantun anni di
occupazione militare e quindici di negoziati, i parametri di una soluzione pacifica sono evidenti: il
ritiro totale di Israele da tutti i territori occupati dal 1967, tra cui Gerusalemme est (ossia, in tutto,
solo il 22% della Palestina storica), lo smantellamento di tutte le colonie israeliane ed una soluzione
giusta di fronte alla terribile sorte dei rifugiati palestinesi, come preconizza la Lega araba con la sua
Iniziativa di pace araba.
Come contropartita, Israele vivrà in pace, nella stabilità e intratterrà delle relazioni economiche con
il mondo arabo sul 78% della Palestina storica che gli resterà. Con un tale accordo, Hamas sarà
messo fuori causa, poiché non potrà più dire al popolo palestinese che Israele non ha interesse alla
pace.
È venuto il tempo di imporre una soluzione, senza aspettare che Israele torni in sé. Più l’Europa e gli
Stati Uniti tergiverseranno, più i palestinesi e gli israeliani si radicalizzeranno – e più vedremo
scorrere sangue inutilmente in Terra Santa.

*Mohammed Dahlan è parlamentare di Al Fatah al Consiglio legislativo palestinese per la città di Khan Younès, nella striscia di Gaza. Negoziatore per la Palestina a partire dal 1994.