Santa Padrona Chiesa

di Michele Ainis
in “La Stampa” del 19 gennaio 2009

Il Vaticano, nei confronti della Repubblica italiana, non sta certo con le mani in mano. Le usa
entrambe: una mano aperta a palma larga per chiedere quattrini, l’altra mano svolazzante per suonar
ceffoni in faccia alla politica. Questo doppio registro si consuma all’ombra del diritto, trova nella
legge il proprio schermo protettivo. Anzi: l’alibi perfetto è la legge più alta, quella scolpita sulle
tavole della Costituzione.
Le continue interferenze sulla vita pubblica italiana? Ma dopotutto vale anche per la Chiesa la
libertà di manifestazione del pensiero, che l’art. 21 garantisce a tutti i cittadini: ci mancherebbe che
al Pontefice, o ai suoi molti gregari, fosse impedito d’esercitare il proprio magistero. L’emorragia di
risorse pubbliche verso le casse vaticane? Ma la Chiesa cattolica vanta uno statuto costituzionale
ben diverso rispetto alle altre confessioni religiose. Intanto, nel 1929 ha stipulato un Concordato
con lo Stato italiano; e quel testo, sia pur con le modifiche introdotte nel 1984, rimane la scaturigine
delle molte provvidenze intascate dalla Chiesa. Non a caso, subito dopo la sua firma, Pio XI definì
Mussolini «l’uomo della Provvidenza» (al singolare). Per di più, nel 1947 il Concordato è divenuto
carne e sangue della Costituzione italiana, dato che l’art. 7 vi si richiama espressamente. Insomma,
qualunque ridimensionamento della Chiesa, del suo ruolo pubblico in Italia, aprirebbe una ferita
nella stessa legalità costituzionale.
Conviene allora dirlo con chiarezza: tutta questa ricostruzione è un falso giuridico, benché da lungo
tempo accreditato. Non è vero che le ingerenze vaticane siano protette dalla libertà di parola o dalla
libertà di religione; non è vero che il Concordato sia protetto dalla Costituzione. […]
La copertura costituzionale dei Patti lateranensi non era che un tampone provvisorio, e il tampone è
ormai scaduto. Del resto lo stesso De Gasperi – nel suo unico intervento alla Costituente, in un
giorno di marzo del 1947 – dichiarò che l’art. 7 non intendeva certo «arrestare la storia»,
inchiodando le lancette agli anni Venti. Questa conclusione corrisponde perciò all’intenzione dei
costituenti, alla strategia del rinvio con cui lì per lì si venne a capo della questione vaticana, ed è
stata sostenuta in punto di diritto da Franco Modugno; dopo gli accordi di Villa Madama del
febbraio 1984, è inoltre suffragata dalla storia. La legge n. 121 del 1985 introduce un po’
furbescamente alcune «modificazioni» al vecchio Concordato, senza presentare un Concordato tutto
nuovo, al solo scopo di mantenere la copertura costituzionale; ma l’art. 13 dell’accordo Craxi-
Casaroli abroga espressamente, e totalmente, l’accordo Mussolini-Gasparri del 1929. C’è quindi un
nuovo Concordato (lo ha riconosciuto pure la Consulta, nella sentenza n. 421 del 1993); e d’altra
parte sono nuove molte delle materie regolate negli accordi di Villa Madama, dalle istituzioni
scolastiche confessionali all’assistenza spirituale negli ospedali e nei penitenziari, dai beni culturali
alle lauree ecclesiastiche. […] Ma il richiamo ai Patti lateranensi del 1929 – operato dal secondo
comma dell’art. 7 – non può coprire nuovi Patti su nuove materie. E questo significa che l’art. 7 è
ormai appassito come un vecchio tronco d’albero. […]
I Patti lateranensi hanno trasformato la Chiesa in uno Stato. La cui esistenza è talmente importante
per la dottrina cattolica che a suo tempo Pio IX, in una lettera a Vittorio Emanuele II, paragonò la
sovranità sui territori vaticani a quella «porzione della veste di Gesù Cristo che rimase intatta sopra
il Calvario», insomma al perizoma che ne copriva le nudità sulla croce. Sicché il cattolicesimo è
l’unica confessione religiosa il cui organo di governo sia posto al vertice d’uno Stato sovrano.
Nel panorama internazionale non esistono altri casi, se si eccettua la Politeia ortodossa del Monte
Athos, che ha ottenuto un regime giuridico speciale dal governo greco, e che in questo senso
costituisce un lontano parente del Vaticano. Senza però il diritto di voto nelle conferenze Onu, che
la Santa Sede ha più volte esercitato per opporsi alle politiche di contenimento demografico e di
pianificazione familiare (per esempio nel 1992 a Rio de Janeiro o nel 1994 al Cairo); tanto che nel
luglio 2000 Clare Short, Segretaria di Stato inglese per lo Sviluppo internazionale, ha qualificato
come un’«interferenza reazionaria» questo atteggiamento. Senza una banca di Stato qual è lo Ior,
che non emette assegni ma vanta depositi per almeno 5 miliardi di euro, che è stato al centro dello
scandalo del Banco Ambrosiano con la sua scia di cadaveri eccellenti (da Sindona a Calvi), ma dove
nessuno può frugare se non con una rogatoria internazionale, sempre ammesso che venga accettata.
Senza un prodotto interno lordo pro capite di 407 mila dollari, che rende di gran lunga il Vaticano lo
Stato più opulento al mondo. E infine senza i privilegi doganali di cui quello stesso Stato
s’avvantaggia per importare 1000 tonnellate di carne l’anno o 48 di spumante, un po’ troppo per i
suoi 921 abitanti.
Ma dal fatto che la Chiesa sia uno Stato, dal fatto che il cattolicesimo sia la sola religione a intesa
garantita con lo Stato italiano, derivano vincoli e divieti. A una garanzia in più (e quale garanzia!) fa
da contrappeso un limite in più. Quindi se un monaco buddista o un rabbino ebreo possono ben
intervenire sulle vicende legislative della Repubblica italiana, non potrebbe farlo il governo della
Chiesa. In quest’ultima ipotesi, difatti, non viene in campo la libertà di manifestazione del pensiero,
né tantomeno la libertà di religione. Detto altrimenti, non viene in campo una questione di diritto
costituzionale, bensì una questione di diritto internazionale. Quando non sono i parroci, non è
questo o quel prelato, ma il governo stesso della Chiesa italiana attraverso la Conferenza episcopale
che invita per esempio a disertare un referendum, è come se a pronunziare quell’invito fosse
François Fillon, il primo ministro nominato dal presidente francese Sarkozy. E la reazione dovrebbe
essere affidata ai nostri rappresentanti diplomatici.
Il brano che qui anticipiamo è tratto dal nuovo libro di Michele Ainis Chiesa padrona. Un falso
giuridico dai Patti Lateranensi a oggi, in uscita da Garzanti (pp. 115, e13). Un testo polemico,
attento alla logica giuridica e alla storia, che intende sgombrare il campo dai molti equivoci intorno
ai rapporti fra Stato e Chiesa cattolica. Laico combattivo, Ainis insegna Istituzioni di diritto
pubblico all’Università di Roma Tre.