La rivoluzione di un padre

di Roberto Saviano
in “la Repubblica” del 23 gennaio 2009

Beppino Englaro, il papà di Eluana, sta dando forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità
che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia.
Ciò credo debba essere evidente anche per chi non accetta di voler sospendere uno stato vegetativo
permanente e ritiene che ogni forma di vita, anche la più inerte, debba essere tutelata. Mi sono
chiesto perché Beppino Englaro, come qualcuno del resto gli aveva suggerito, non avesse ritenuto
opportuno risolvere tutto “all’italiana”. Molti negli ospedali sussurrano: “Perché farne una battaglia
simbolica? La portava in Olanda e tutto si risolveva”. Altri ancora consigliavano il solito metodo
silenzioso, due carte da cento euro a un’infermiera esperta e tutto si risolveva subito e in silenzio.
Come nel film “Le invasioni barbariche”, dove un professore canadese ormai malato terminale e in
preda a feroci dolori si raccoglie con amici e familiari in una casa su un lago e grazie al sostegno
economico del figlio e a una brava infermiera pratica clandestinamente l’eutanasia.
Mi chiedo perché e con quale spirito accetta tutto questo clamore. Perché non prende esempio da
chi silenziosamente emigra alla ricerca della felicità, sempre che le proprie finanze glielo
permettano. Alla ricerca di tecniche di fecondazione in Italia proibite o alla ricerca di una fine
dignitosa. Con l’amara consapevolezza che oramai non si emigra dall’Italia solo per trovare lavoro,
ma anche per nascere e per morire. Nella vicenda Englaro ritornano sotto veste nuova quelle
formule lontane e polverose che ci ripetevano all’università durante le lezioni di filosofia. Il
principio kantiano: “Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga
universale” si fa carne e sudore. E forse solo in questa circostanza riesci a spiegarti la storia di
Socrate e capisci solo ora dopo averla ascoltata migliaia di volte perché ha bevuto la cicuta e non è
scappato. Tutto questo ritorna attuale e risulta evidente che quel voler restare, quella via di fuga
ignorata, anzi aborrita è molto più di una campagna a favore di una singola morte dignitosa, è una
battaglia in difesa della vita di tutti. E per questo Beppino, nonostante il suo dramma privato, ha
dovuto subire l’accusa di essere un padre che vuole togliere acqua e cibo alla propria figlia, contro
coloro che dileggiano la Suprema Corte e contro chi minaccia sanzioni e ritorsioni per le Regioni
che accettino di accogliere la sua causa, nel pieno rispetto di una sentenza della Corte di cassazione.
L’unica risposta che ho trovato a questa domanda, la più plausibile, è che la lotta quotidiana di
Beppino Englaro non sia solo per Eluana, sua figlia, ma anche e soprattutto in difesa del Diritto,
perché è chiaro che la vita del Diritto è diritto alla vita. Beppino Englaro con la sua battaglia sta
aprendo una nuova strada, sta dimostrando che in Italia si può e si deve restare utilizzando gli
strumenti che la democrazia mette a disposizione. In Italia non esiste nulla di più rivoluzionario
della certezza del Diritto. E mi viene in mente che tutelare la certezza dei diritti, la certezza dei
crediti, costituirebbe la stangata definitiva all’economia criminale. Se fosse possibile, nella mia
terra, rivolgersi a un tribunale per veder riconosciuto, in un tempo congruo, la fondatezza del
proprio diritto, non si avvertirebbe certo il bisogno di ricorrere a soluzioni altre. Beppino questo sta
dimostrando al Paese. Non sarebbe necessario ricorrere al potere di dissuasione delle organizzazioni
criminali, che al Sud hanno il monopolio, illegale, nel fruttuoso business del recupero crediti. E a
lui il merito di aver insegnato a questo Paese che è ancora possibile rivolgersi alle istituzioni e alla
magistratura per vedere affermati i propri diritti in un momento di profonda e tangibile sfiducia. E
nonostante tutte le traversie burocratiche, è lì a dimostrare che nel diritto deve esistere la possibilità
di trovare una soluzione.
Per una volta in Italia la coscienza e il diritto non emigrano. Per una volta non si va via per ottenere
qualcosa, o soltanto per chiederla. Per una volta non si cerca altrove di essere ascoltati, qualsiasi
cittadino italiano, comunque la pensi non può non considerare Beppino Englaro un uomo che sta
restituendo al nostro Paese quella dignità che spesso noi stessi gli togliamo. Immagino che Beppino
Englaro, guardando la sua Eluana, sappia che il dolore di sua figlia è il dolore di ogni singolo
individuo che lotta per l’affermazione dei propri diritti. Se avesse agito in silenzio, trovando
scorciatoie a lui sarebbe rimasto forse solo il suo dolore. Rivolgendosi al diritto, combattendo
all’interno delle istituzioni e con le istituzioni, chiedendo che la sentenza della Suprema Corte sia
rispettata, ha fatto sì, invece, che il dolore per una figlia in coma da 17 anni, smettesse di essere un
dolore privato e diventasse anche il mio, il nostro, dolore. Ha fatto riscoprire una delle meraviglie
dimenticate del principio democratico, l’empatia. Quando il dolore di uno è il dolore di tutti. E così
il diritto di uno diviene il diritto di tutti.