Il caso Eluana nel paese della doppia obbedienza

di Ezio Mauro
in “la Repubblica” del 24 gennaio 2009

In modo probabilmente inconsapevole, ma certamente per lui doloroso, Beppino Englaro sta
portando alla luce giorno dopo giorno alcuni nodi irrisolti dello Stato moderno di cui siamo
cittadini, e a cui guardiamo – o dovremmo guardare – come all´unico titolare della sovranità. Questo
accade, come ricorda Roberto Saviano, perché il padre di Eluana cerca una soluzione alla sua
tragedia familiare in forma pubblica, quasi pedagogica proprio perché la rende universale, sotto gli
occhi dell´intero Paese, costretto per la prima volta a interrogarsi collettivamente sulla vita e sulla
morte, a partire dalla pietà per un individuo. A parte la meschinità di chi cerca un lucro politico a
breve da questo dramma personale e nazionale, trasformando in frettolosa circolare di governo le
richieste della Chiesa contro una sentenza repubblicana, e a parte i ritardi afasici di chi dall´altra
parte si attarda invece a parlare di Villari, quello che stiamo vivendo – e soffrendo – è un momento
alto della discussione civile e morale del Paese. A patto di intendersi.
Fa parte senz´altro della discussione pubblica, che deve interessare tutti, l´intervento del Cardinale
Poletto. È vescovo di Torino, la città dove la presidente della Regione, Mercedes Bresso, si è detta
pronta ad ospitare Eluana e la sua famiglia per quell´ultimo atto che lo Stato ha riconosciuto
legittimo con una sentenza definitiva, e che il governo vuole evitare con ogni mezzo. Mentre altri
cattolici hanno sostenuto che “la morte ha trovato casa a Torino” il Cardinale non ha usato questi
toni, ma ha detto che condanna l´eutanasia, anche se si sente vicino al padre di Eluana, prega per lui
e non giudica. Vorrei però discutere pubblicamente, se è possibile, il significato più profondo e la
portata di due affermazioni del Cardinale.
La prima è l´invito all´obiezione di coscienza dei medici, che per Poletto devono rifiutarsi in
Piemonte di sospendere l´alimentazione forzata ad Eluana, entrando in contrasto con la richiesta
della famiglia e con la sentenza che la legittima. Non c´è alcun dubbio che la coscienza individuale
può ribellarsi a questo esito, e il medico – credente o no – può vivere un profondo travaglio tra il
suo ruolo pubblico in un ospedale statale al servizio dei cittadini e delle loro richieste, il suo dovere
professionale che lo mette al servizio dei malati e delle loro sofferenze, e appunto i suoi
convincimenti morali più autentici. Questo travaglio può portare a decisioni estreme assolutamente
comprensibili e rispettabili, come quella di obiettare al proprio ruolo pubblico e al proprio compito
professionale perché appunto la coscienza non lo permette, costi quel che costi: e in alcuni casi,
come ha ricordato qui ieri Adriano Sofri, il costo di questa opposizione di coscienza è stato
altissimo.
Mi pare – appunto in coscienza – molto diverso il caso in cui i credenti medici vengono sollecitati
collettivamente da un Cardinale (quasi come un´unica categoria professionale e confessionale da
muovere sindacalmente) a mobilitarsi nello stesso momento e ovunque per mandare a vuoto una
sentenza dello Stato, indipendentemente dalla riflessione morale e razionale di ognuno, dai tempi e
dai modi con cui liberamente ciascuno può risolverla, dalle diverse sensibilità per la pietà e per la
carità cristiana, pur dentro una fede comune. Qui non si può parlare, se si è onesti, di obiezione di
coscienza: semmai di obbligazione di appartenenza, perché l´identità cattolica di quei medici
diventa leva e strumento collettivo su cui puntare con impulso gerarchico per vanificare una
pronuncia della Repubblica.
Questo è possibile perché il Cardinale spiega con chiarezza la concezione della doppia obbedienza,
e la gerarchia che ne consegue. Lo Stato moderno e laico, libero “dalla” Chiesa mentre la garantisce
libera “nello” Stato, applica la distinzione fondamentale tra la legge del Creatore e la legge delle
creature. Poletto sostiene invece che poiché la legge di Dio non può mai essere contro l´uomo,
andare contro la legge di Dio significa andare contro l´uomo: dunque se le due leggi entrano in
contrasto “è perché la legge dell´uomo non è una buona legge”, ed il cattolico può trasgredirla. La
legge di Dio è superiore alla legge dell´uomo.
Su questa dichiarazione vale la pena riflettere, per le conseguenze che necessariamente comporta. È
la concezione annunciata pochi anni fa dal Cardinal Ruini, secondo cui il cattolicesimo è una sorta
di seconda natura degli italiani, dunque le leggi che contrastano con i principi cattolici sono
automaticamente contronatura, e come tali non solo possono, ma meritano di essere disobbedite. Da
questa idea discende la teorizzazione del nuovo cattolicesimo italiano di questi anni: la precettistica
morale della Chiesa e la sua dottrina sociale coincidono con il diritto naturale, dunque la legge
statale deve basare la sua forza sulla coincidenza con questa morale cattolica e naturale,
trasformando così il cattolicesimo da religione delle persone in religione civile, dando vita ad una
sorta di vera e propria idea politica della religione cristiana.
Ma se la legge di Dio è superiore alla legge dell´uomo, se nella doppia obbedienza che ritorna la
Chiesa prevale sullo Stato anche nell´applicazione delle leggi e delle sentenze, nascono due
domande: che cittadino è il cattolico osservante, se vive nella possibilità che gli venga chiesto dalla
gerarchia di trasgredire, obiettare, disubbidire? E che concezione ha la Chiesa italiana, con i suoi
vescovi e Cardinali, della democrazia e dello Stato? Qualcuno dovrà pur ricordare che nella
separazione tra Stato e Chiesa, dopo l´unione pagana delle funzioni del sacerdote col magistrato
civile, la religione non fa parte dello “jus publicum”, la legge umana non fa parte di quella divina
con la Chiesa che la amministra, le istituzioni pubbliche e i loro atti sono autonomi dalle cattedre
dei vescovi e dal magistero confessionale.
Il cittadino medico a cui si ordina di agire in nome di una terza identità – suprema –, quella di
cattolico, non obietta in nome della sua coscienza, ma obbedisce ad un´autorità che si contrappone
allo Stato, e chiede un´obbedienza superiore, definitiva, totale alla Verità maiuscola, fuori dalla
quale tutto è relativismo. Solo che in democrazia ogni verità è relativa, anche le fedi e i valori sono
relativi a chi li professa e nessuno può imporli agli altri. Perché non esiste una riserva superiore di
Verità esterna al libero gioco democratico, il quale naturalmente deve garantire la piena libertà per
ogni religione di pronunciarsi su qualsiasi materia, anche di competenza dello Stato, per ribadire la
sua dottrina. Sapendo che così la Chiesa parla alla coscienza dei credenti e di chi le riconosce un
´autorità morale, ma la decisione politica concreta nelle sue scelte spetta all´autonoma decisione dei
laici – credenti e non credenti – sotto la loro responsabilità: che è la parola della moderna e
consapevole democrazia, con cui Barack Obama ha siglato l´avvio della sua presidenza.
Dunque non esiste una forma di “obbligazione religiosa” a fondamento delle leggi di un libero Stato
democratico, nel quale anzi nessun soggetto può pretendere ” di possedere la verità più di quanto
ogni altro possa pretendere di possederla”. Ne dovrebbe discendere finalmente una parità morale
nella discussione pubblica, negando il moderno pregiudizio per cui la democrazia, lo Stato moderno
e la cultura civica che ne derivano sono carenti senza il legame con l´eternità del pensiero cristiano,
sono insufficienti nel
fondamento. È da questo pregiudizio che nasce la violenza del linguaggio
della nuova destra cattolica contro chi richiama la legge dello Stato, le sentenze dei tribunali, le
norme repubblicane. Come se per i laici la vita non fosse un valore, e praticassero la cultura della
morte. Come se il concetto di libertà per una famiglia dilaniata, di fraternità per un padre davanti ad
una prova suprema, di condivisione per il suo dolore che non è immaginabile, non contassero nulla.
Come se la coscienza italiana fosse solo cattolica. Infine, come se la coscienza cattolica, in
democrazia, fosse incapace di finire in minoranza davanti allo Stato.