Testamento biologico legge incostituzionale

di Umberto Veronesi
in “Corriere della Sera” del 26 gennaio 2009

Caro direttore, domani inizierà il dibattito in Parlamento sulle proposte di legge sul Testamento
biologico, uno strumento di autodeterminazione del paziente per il quale mi batto da anni
facendomi portavoce di migliaia di cittadini, di malati, dei loro familiari e di liberi movimenti di
pensiero. Ho il dovere morale quindi di lanciare un allarme, perché, a un passo dall’approvazione di
una legge auspicata fortemente da chi crede nei diritti della persona — quelli che si rifanno alla
«Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino», che la Francia regalò al mondo nel 1789 e sono
la pietra fondante della società moderne —, si profila il rischio che venga approvata una legge che
invece calpesta e nega tali diritti, ripiombandoci culturalmente al potere assoluto dello Stato sulla
vita dei suoi cittadini. Sappiano i parlamentari di entrambi gli schieramenti che sarebbero chiamati a
votare una legge anti-costituzionale. Una legge che nega se stessa, perché da un lato riconosce il
diritto a veder rispettate le volontà della persona circa i trattamenti sanitari che possono essere
messi in atto nel caso si perda la capacità di intendere e volere, ma dall’altro esclude che fra tali
trattamenti figurino la nutrizione e l’idratazione artificiale, che sono le condizioni per mantenere in
vita un corpo in stato vegetativo permanente. In sostanza il Testamento biologico, nato per poter
rifiutare una vita artificiale, al contrario la imporrebbe per legge anche a chi, per sue convinzioni
personali, non la vuole in nessun caso. Una legge dunque che viola lo spirito profondo della
Costituzione italiana in tre suoi articoli: il 32 che definisce la tutela della salute come diritto
fondamentale dell’individuo e stabilisce che nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, la quale comunque non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona; il 13, che dichiara che la libertà personale è
inviolabile, non è ammessa alcuna forma di restrizione ed è punita ogni violenza fisica e morale; il
3, che stabilisce che tutti hanno pari dignità sociale senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali.
La spinta verso il Testamento biologico è nata in Europa e negli Stati Uniti dal timore di una parte
della popolazione di essere mantenuta in una condizione di vita artificiale per anni o decenni, nel
cosiddetto stato vegetativo permanente, senza pensiero, senza parola, senza capacità sensoriali, cioè
senza vista e senza udito, senza percezione del dolore, della fame, della sete. Per secoli la gente ha
avuto paura di morire, ma ora nasce una nuova paura perché le capacità di intervento della medicina
moderna sono cresciute fino a raggiungere la possibilità di mantenerci tecnologicamente in vita
all’infinito.
Più che vita, uno stato intermedio tra la vita e la morte. Ci pensi bene il Parlamento quindi ad
approvare una legge che non tenga conto di questa paura e che neghi ai cittadini italiani la
possibilità di poterla scacciare. Del resto, per l’articolo 32, un malato ha il diritto di rifiutare
l’alimentazione forzata e, se informa il suo medico, la sua volontà deve essere rispettata. Se un
malato decide di rinunciare a mangiare e bere, nessuno può cacciargli una siringa in vena per
alimentarlo; sarebbe un atto «di violenza fisica e morale» e come tale perseguibile dalla legge. Chi
vuole affossare il Testamento biologico sostiene che nutrizione e idratazione non sono cure ma
«provvedimenti di sostegno», che combattono la disidratazione e di conseguenza sono un atto
medico non terapeutico. Questa posizione è irrilevante per quanto riguarda la volontà espressa dal
paziente, e ci metterebbe in difficoltà anche in altri casi. Per esempio per le trasfusioni di sangue,
anch’esse un atto medico non terapeutico. Noi oggi rispettiamo il rifiuto della trasfusione di sangue,
anche in caso di gravissima emorragia, da parte di un gruppo religioso, i testimoni di Geova, la cui
fede la proibisce, anche se può salvare la vita. Se vi è diritto a rifiutare la trasfusione, vi è diritto a
rifiutare la nutrizione artificiale.
La mia impressione è che comunque si stia combattendo una guerra delle parole. Il problema vero,
che si presenta oggi sulle direttive anticipate, è che in una società multietnica e multiculturale è
imprescindibile abbandonare gli integralismi, sia religiosi che scientifici, e abbracciare la libertà di
pensiero, che può essere pensiero cattolico, musulmano, ebreo, ateo, o scientista. Nessuno chiede ai
credenti di rinunciare a testimoniare la loro fede, ma tutti chiediamo loro di non imporre le loro
scelte agli altri.