Come se il Concilio non ci fosse stato

di Raniero La Valle

Prima di ogni giudizio o critica – che più propriamente potranno formularsi in sede ecclesiale – è
importante capire che cosa è effettivamente accaduto e che cosa accadrà nella Chiesa cattolica
romana con la riammissione della comunità scismatica di mons. Lefèbvre. Riammettere nella piena
comunione, cioè togliere la scomunica ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X, non è come
sanare la situazione dei vescovi cinesi consacrati senza l’approvazione di Roma; con questi non era
aperto alcun problema teologico, la loro illegittimità dipendeva da un impedimento politico,
rimosso il quale ha potuto ristabilirsi l’unità anche disciplinare. I vescovi lefebvriani entrano invece
nella Chiesa cattolica con il preciso programma di aprirvi una questione dottrinale; non sono pentiti,
anzi nel loro comunicato sul ritiro della scomunica riaffermano che essa è stata da loro «sempre
contestata», e si apprestano a condurre gli annunciati «colloqui con la Santa Sede» per «mettere sul
tappeto le ragioni dottrinali di fondo» che la Fraternità «ritiene essere all’origine degli attuali
problemi della Chiesa».
Le dichiarazioni di mons. Williamson sugli ebrei fanno subito capire di che problemi si tratti. E’
chiaro che il vescovo inglese non ha inteso aprire una controversia storiografica sul numero degli
ebrei uccisi nella Shoah; egli ha rivendicato una ripresa esplicita ed ufficiale dell’antisemitismo
cattolico. Ma il superamento dell’antisemitismo è stato uno dei punti più alti del Vaticano II, per
giungere al quale quel Concilio non ha dovuto fare semplicemente un’opera di misericordia, ma
ripensare profondamente i rapporti del cristianesimo con l’ebraismo, compiendo qui, come in molte
altre materie, un significativo “aggiornamento” teologico. Dunque il promemoria con cui i vescovi
dissidenti entrano nella Chiesa romana è che la posta in gioco sono le dottrine espresse dal Concilio.
Benedetto XVI da parte sua ha ritirato la scomunica al termine di un lungo processo di
riavvicinamento dottrinale, che lo stesso portavoce vaticano, padre Lombardi, ha rievocato così:
dapprima, come cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il documento
ecclesiologico (quello che negava alle Chiese della Riforma il titolo di Chiese); poi, da papa, i
discorsi sulla corretta interpretazione del Concilio (unica legittima essendo quella della continuità,
ovvero della invarianza); infine il recupero del rito liturgico precedente al Concilio (che di fatto era
un “come se”: come se il Concilio non ci fosse stato).
Tutto ciò, secondo l’interprete autorizzato del gesto papale, ha «creato un clima favorevole»
costituendo perciò il vero precedente dell’attuale riconciliazione.
Se questi sono i fatti, messi in connessione gli uni con gli altri (e forse a questo punto si può
aggiungere anche il discorso di Ratisbona) il loro significato è che nella Chiesa cattolica viene
riaperto il Concilio Vaticano II. In ciò si potrebbe dire che Benedetto XVI compie un atto
simmetrico e inverso a quello di Paolo VI che lo ha chiuso. Il Concilio viene riaperto proprio sul
piano dottrinale, e questo è un bene perché finalmente alza il velo che prudentemente era stato steso
su di esso dai suoi stessi promotori e protagonisti, secondo cui si sarebbe trattato di un Concilio solo
“pastorale”, nulla innovando nella comprensione e nella dottrina della fede. Così non è stato: basta
pensare che nel 2007 la stessa Santa Sede, appellandosi al Concilio, ha pubblicato un documento in
cui veniva superata la vecchia e “tradizionale” dottrina secondo cui i bambini morti senza battesimo
non possono salvarsi; e basta pensare al lieto annunzio della libertà religiosa affermata come propria
di ogni creatura, e alle ricchezze divine che si sono riconosciute presenti in ogni cultura e religione.
Ma se il Concilio è riaperto, allora a parlare devono essere di nuovo tutti i vescovi, e non solo il
primo di loro; la comunità cristiana deve essere coinvolta e gli “altri” (altri cristiani, ebrei,
musulmani, fedeli di altre religioni, non credenti) diventano, come allora, i necessari interlocutori.
E non solo si dovrà comprendere meglio ciò che il Concilio è stato, ma anche portarlo avanti in ciò
che allora rimase incompiuto.