Le radici dell’aggressività umana

di Enzo Mazzi – Cdb Isolotto (Firenze)

Ritengo che abbiano piena ragione i rabbini quando denunciano l’offesa diretta e frontale fatta alla memoria della Shoah e al mondo ebraico dalla riabilitazione dei vescovi lefebvriani decisa da papa Ratzinger. Colpisce che tale riabilitazione sia avvenuta alla vigilia sia dell’anniversario del Concilio sia del Giorno della memoria e che tra i vescovi riabilitati ce ne sia uno che neghi apertamente e spudoratamente la realtà dell’Olocausto.

La coincidenza ha un significato apertamente simbolico. Al di là delle scuse a posteriori e delle prese di distanza dal negazionismo, in sé doverose e benvenute, la coincidenza stessa richiama obiettivamente un ritorno al pre-concilio quando gli ebrei erano considerati «perfidi» responsabili della uccisione di Gesù e bisognosi di conversione. Hanno ragione i rabbini nei confronti del Vaticano.

Ma come la mettiamo quando gli stessi rabbini autorizzano l’esercito israeliano a violare il sabato per compiere il massacro allo scopo di redimere i palestinesi dal fondamentalismo violento di Hamas? Lo stato di Israele infatti ha cominciato la sua nuova guerra contro i palestinesi detta «piombo fuso» in giorno di sabato, nella festa delle luci di Hanukkah. Poiché si trattava di violare il Sabato, il governo e le forze armate israeliane hanno chiesto e ottenuto dai rabbini l’autorizzazione a tale violazione.

Due fondamentalismi, quello del Vaticano e quello dei rabbini, si specchiano reciprocamente, e si
scontrano rovinosamente. Come d’altra parte si specchiano e si scontrano il fondamentalismo
d’Israele e quello di Hamas. Ritengo che il fondamentalismo sia una delle radici più profonde della violenza che insanguina la terra di Palestina, così come molte altre parti del mondo. Se non si scoprono e non si sciolgono questi nodi strutturali che sono all’origine della ricorrente tragedia di Palestina, la tregua sarà fragilissima e la guerra continuerà col suo carico di vittime specialmente civili e con le sue immani distruzioni. Definisco «nodi strutturali» i fondamentalismi in mancanza di una espressione più adeguata per definire problemi di fondo che vengono prima e vanno al di là delle scelte politiche contingenti.

Una connotazione fondamentalista, radicata nel profondo di tutte le religioni cosiddette «del libro», cioè la cristiana, la ebraica e la mussulmana, che raramente si ha il coraggio di guardare e tanto meno di snidare, ritengo che possa essere la violenza insita nel monoteismo dogmatico. Il monoteismo sacrale E’ illuminante in proposito uno studio fondamentale di Erik Peterson uscito in Germania nel 1935: «Il monoteismo come problema politico», pubblicato in Italia nel 1983 dalla Queriniana. Erik Peterson, dotto teologo, è un oppositore del nazismo e scrive il libro proprio in funzione antiregime.

Egli conclude criticando il monoteismo come degenerazione pericolosa anche per il suo tempo, il tempo della dittatura nazista, e dimostrando con rigore scientifico che proprio nel monoteismo si annida la radice della dittatura, della violenza e della guerra. Il monoteismo è sistema di guerra che si ammanta di pace e così riesce a abbassare le difese etiche e psicologiche e a farsi accettare come bene supremo. E’ una guerra vinta nelle coscienze prima ancora di essere combattuta.

Il padre scolopio fiorentino Ernesto Balducci, teologo e saggista, riuscì a sintetizzare tutto questo con una affermazione forte ma quanto mai vera: «Il Dio unico è la cifra assoluta dell’aggressività umana. Non si esce dalla cultura di guerra se non si esce dalla cultura del monoteismo sacrale». In Palestina due fondamentalismi, quello ebraico e quello islamico, si alimentano reciprocamente, e rendono devastante il mito della violenza sovrana. Lo stato di Israele si proclama «Stato ebreo». Ne ha tutto il diritto. E’ il diritto che gli viene da una storia di discriminazioni, oppressioni e violenze inaudite che non può essere negata.

Ma ciò pone alcune questioni su cui bisogna interrogarsi per alimentare con razionalità critica il nostro impegno concreto per la fine del massacro e per la pacificazione. Noi che riconosciamo, con assoluta decisione, il diritto d’Israele di esistere e di essere uno stato ebreo sentiamo il bisogno di essere aiutati a rispettare e far rispettare tale diritto col riconoscimento da parte degli israeliani stessi che l’ebraicità dello stato, non lo stato in sé, è una contraddizione storica da comprendere ma da superare, un fondamentalismo strutturale generatore di discriminazione e di violenza che non può durare in eterno. I modi e i tempi per superarlo dovranno essere trovati con pazienza, con diplomazia, con gradualità, ma il problema va posto.

La situazione di Hamas è speculare. La società palestinese, che era una delle realtà più laiche nel panorama del mondo islamico, rischia di cadere sotto il dominio del fondamentalismo di cui Hamas è espressione, fondamentalismo che richiama e fomenta lo scontro di civiltà. I due fondamentalismi, quello ebraico e quello islamico si alimentano reciprocamente, così come il mito della violenza sovrana. In Occidente non siamo estranei a una simile tendenza. Sappiamo quanto le nostre società siano influenzate se non dominate da correnti fondamentaliste, sia nel campo religioso che in quello politico.

Di fronte al baratro di violenza fondamentalista che insanguina il Medioriente non possiamo non interrogarci sulla nostra corresponsabilità e sugli scenari futuri di scontro di civiltà che ci riguardano direttamente. Sia l’ebraismo sia l’islamismo sia il cristianesimo non basta che parlino di pace e che si dedichino a curare le ferite delle guerre. Solo se daranno spazio al pluralismo al proprio interno e si apriranno a una fede laica, rispettosa della molteplicità religiosa e etica, purificata dai dogmatismi, disponibile a intrecciarsi con tutte le religioni e le culture su un piano di parità, saranno capaci di favorire il superamento della spirale della violenza e il raggiungimento della pace.