Capire la catastrofe di Gaza

di Richard Falk
da www.riforma.it

Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci di una testimonianza che ci sembra importante. È di Richard Falk, ex-professore di diritto internazionale alla Princeton University (Usa), attualmente monitore Onu, responsabile dei diritti umani nei territori occupati, Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme-est ed è apparsa sul sito http: //www. huffingtonpost. com/richard-falk/understanding-the-gaza-ca_b_154777. html con il titolo «Understanding the Gaza Catatstrophe» (Capire la catastrofe di Gaza). I titoletti sono della redazione di «Riforma». (Traduzione di M. Lanza)

Per 18 mesi tutti i 1, 5 milione di abitanti di Gaza hanno sperimentato un embargo punitivo imposto da Israele e una varietà di sfide traumatizzanti alla normalità della vita quotidiana. Emerse un bagliore di speranza 6 mesi fa quando una tregua organizzata dagli egiziani produsse un effettivo cessate-il-fuoco che ridusse le vittime is-raeliane a zero nonostante il periodico lancio di razzi caserecci oltre confine che cadevano innocuamente sul territorio israeliano adiacente, e sicuramente erano fonte d’ansia per la vicina città di Sderot. Durante la tregua la dirigenza di Hamas ne propose ripetutamente l’estensione, perfino di 10 anni, chiedendo ricettività a una soluzione politica basata sull’accettazione dei confini d’Israele del 1967. Gli israeliani ignorarono queste iniziative diplomatiche mancando anche di adempiere ai propri obblighi di tregua riguardanti qualche agevolazione alle restrizioni d’ingresso a Gaza di cibo, medicinali e carburante, ridotte a un filo.

Israele rifiutò anche permessi d’uscita a studenti con borse di studio straniere e ai giornalisti di Gaza, e ad autorevoli rappresentanti di Ong. Contemporaneamente rese sempre più difficile l’ingresso ai giornalisti e io stesso due settimane fa sono stato espulso da Israele quando tentai di entrare per svolgere il mio lavoro di monitoraggio Onu sul rispetto dei diritti umani nella Palestina occupata, cioè Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme-est, chiaramente prima dell’attuale crisi. Israele ha usato la sua autorità per impedire a osservatori credibili di fornire relazioni precise e veritiere sulla penosa situazione umanitaria che aveva già causato gravi declini nelle condizioni sanitarie fisiche e mentali della popolazione di Gaza, specialmente rilevando la diffusa denutrizione infantile e l’assenza di presidi terapeutici per i sofferenti di varie malattie. Gli attacchi israeliani sono stati diretti a una società già in gravi condizioni per l’embargo dei 18 mesi precedenti. (…)

Colpa di Hamas?

Si dà la colpa a Hamas di aver interrotto la tregua per sua supposta indisponibilità al rinnovo e per la presunta incidenza in aumento degli attacchi con razzi. Ma la realtà è meno netta. Non ci sono stati sostanzialmente lanci di razzi durante la tregua finché Israele ha attaccato il 4 novembre scorso presunti miliziani palestinesi a Gaza, uccidendo parecchi palestinesi, al che il lancio di razzi effettivamente s’intensificò. Inoltre fu Hamas che in varie occasioni pubbliche lanciò appelli per l’estensione della tregua, mai riconosciuti e tanto meno considerati da funzionari israeliani. Oltre a ciò, non è convincente neppure l’attribuzione del lancio di razzi alla sola Hamas; possono ben essere vari altri miliziani indipendenti attivi a Gaza, come i Martiri di Al-Aqsa sostenuti da Al-Fatah e anti Hamas che arrivino a lanciare razzi per provocare o giustificare la rappresaglia israeliana. È ampiamente confermato che quando Fatah, sostenuta dagli Usa, controllava la struttura governativa di Gaza, non fu in grado di impedire il lancio di razzi nonostante uno sforzo concertato allo scopo.

Le ragioni misconosciute

Quanto questo sfondo induce fortemente a credere è che Israele abbia lanciato il suo attacco devastante il 27 dicembre non solo per fermare i razzi o in rappresaglia, ma anche per una serie di ragioni misconosciute. Era evidente da settimane prima che l’apparato militare e politico israeliano stesse preparando il pubblico a operazioni militari su larga scala contro Hamas. Il momento sembrò suggerito da svariate considerazioni: anzitutto, gli interessi dei candidati per le elezioni previste a febbraio (…), dimostrandone la coriaceità. (…)

Commentatori israeliani rispettati e conservatori vanno oltre: per esempio l’autorevole storico Benny Morris. Che scriveva nel New York Times qualche giorno fa, correlando la campagna di Gaza a un più profondo nodo di presentimenti in Israele che paragona all’umor nero pubblico precedente la guerra del 1967 quando gli israeliani si sentivano profondamente minacciati dalla mobilitazione araba ai confini. Morris insiste che nonostante la prosperità israeliana degli ultimi anni e la relativa sicurezza, vari fattori hanno indotto Israele a comportarsi spavaldamente a Gaza: la percezione del continuo rifiuto del mondo arabo ad accettare l’esistenza di Israele come realtà stabilita; le minacce infuocate di Mahmoud Ahmadinejad insieme alla presunta spinta dell’Iran verso l’acquisizione di armi nucleari, il ricordo sbiadito dell’Olocausto insieme alla crescente considerazione dell’Occidente per l’andazzo miserevole dei palestinesi, e la radicalizzazione dei movimenti politici ai suoi confini in forma di Hezbollah e Hamas.

In effetti, Morris sostiene che Israele sta tentando con lo sfracellamento di Hamas di mandare un più ampio messaggio all’intera regione che non si tirerà indietro di fronte a nulla per sostenere la sua pretesa di sovranità e sicurezza. Ne emergono due conclusioni: la gente di Gaza viene ferocemente vittimizzata per ragioni remote da preoccupazioni per i razzi e di sicurezza confinaria, bensì piuttosto per migliorare le prospettive elettorali dei leader attuali in odore di sconfitta, e per ammonire altri a livello regionale che Israele userà la forza senza ritegno quando siano in ballo suoi interessi.

Diritto internazionale e Carta Onu

Che una tale catastrofe umana possa avvenire senza la minima interferenza esterna mostra anche la debolezza del diritto internazionale e dell’Onu come pure le priorità geopolitiche degli attori importanti. Il sostegno passivo del governo Usa per qualunque cosa faccia Israele è nuovamente il fattore critico, come al tempo della guerra aggressiva al Libano nel 2006. Quel che è meno evidente è che i principali vicini arabi, l’Egitto, la Giordania, e l’Arabia Saudita, con la loro estrema ostilità verso Hamas, considerata sostenuta dall’Iran, principale rivale, erano anch’essi intenzionati a starsene in disparte, mentre addirittura qualche diplomatico arabo incolpava del brutale attacco la divisione palestinese o il rifiuto di Hamas di accettare a capo il presidente dell’Autorità Palestinese, Mamoud Abbas.

La gente di Gaza è vittima della geopolitica al suo inumano peggio: una «guerra» che Israele stesso definisce «totale» contro una società essenzialmente inerme, priva di qualunque potere militare purchessia e completamente vulnerabile agli attacchi portati da bombardieri F-16 e da elicotteri Apache. Il che comporta anche la flagrante violazione del diritto umanitario internazionale definito nelle Convenzioni di Ginevra, messo tranquillamente da parte mentre continua il massacro e si ammucchiano i cadaveri. E significa ancora che l’Onu si rivela una volta di più impotente quando i suoi principali membri la privano della volontà politica di proteggere un popolo assoggettato all’uso illegale della forza su larga scala. (…) L’immagine che prende forma giorno dopo giorno a Gaza è tale da implorare un rinnovato impegno per il diritto internazionale e la carta Onu, a cominciare qui negli Usa, specialmente ora con una nuova guida che ha promesso ca
mbiamento ai concittadini, ivi compreso un approccio meno militarista per una prevalenza della diplomazia.