Tarso Genro e la giustizia brasiliana

di Bruna Peyrot

La notizia che è stata negata l’estradizione a Cesare Battisti, condannato all’ergastolo per 4 fatti di sangue, avvenuti nel 1978 e 1979, sta scatenando gli stereotipi più inverosimili sul Brasile, considerato un paese «a basso tasso di civiltà giuridica». Lo scrive F. Merlo su La Repubblica del 15. 01. 09. Il suo articolo colpisce per lo stile acido e per i toni davvero grossolani. Proprio questa modalità di trattare un solo fatto e giudicare attraverso questo singolo evento un paese intero, invalidandone l’identità profonda, mi ha convinta a intervenire in merito per aprire alcune questioni che spero siano utili a un eventuale dibattito.

Ho vissuto diversi anni in Brasile, lavorando al Consolato di Belo Horizonte e da oltre un decennio mi occupo attivamente di America latina, specie di Colombia e Brasile: due facce del continente sudamericano che hanno preso strade differenti. La prima ancora imbavagliata da una guerra civile irrisolta, il secondo appassionatamente impegnato nella costruzione di una democrazia reale dopo la dittatura che lo ha colpito, come altri stati latinoamericani, negli anni 70. Ho anche avuto la fortuna di osservare la storia del Pt (Partido dos trabalhadores) di Lula e in particolare la traiettoria di Tarso Genro, da perseguitato a ministro, la cui storia riassume, simbolicamente anche la storia di un’intera generazione che ha imparato la democrazia già durante la dittatura.

La pratica della democrazia

La generazione al governo oggi con Lula ha imparato direttamente la democrazia, non come sfida ideologica, ma come pratica ideale, con la paziente battaglia quotidiana contro le ingiustizie. In questo percorso dalle molte anime, che ha coinvolto militanti politici, laici, cattolici, donne, giovani, indigeni, intellettuali e anche militari, la scelta della nonviolenza è sempre stata vincente. La risposta armata alla dittatura in Brasile non ha avuto diffusione di massa perché ha prevalso il dialogare insieme. Ciò nonostante i perseguitati sono stati migliaia. Sono quelli che oggi la «Commissione Amnistia», voluta da Tarso Genro, sta risarcendo, attraverso una grande campagna di raccolta di testimonianze orali che non vengono solo archiviate per la storia, ma servono come atto d’accusa (e di risarcimento) per la persona offesa.

La nonviolenza

Proprio la scelta nonviolenta e la costruzione lenta ma inarrestabile della democrazia ha portato alla costituzione in Brasile di un grande corpo del diritto. Gli Ordini degli avvocati sono punti di riferimento imprescindibili per la giustizia brasiliana che solo la miopia giornalistica italiana non sa vedere. Come si può affermare, come ha fatto Merlo che «il Brasile… che è geniale nel calcio e nella tostatura del caffè, ha un basso tasso di civiltà giuridica»? Sono parole offensive che mal celano quel solito senso di superiorità verso un paese extraeuropeo, nella convinzione che un paese del Vecchio Mondo in ogni caso sempre sia più democratico.

Il caso Battisti

Il caso Battisti si sta dibattendo in Brasile da quando è stato arrestato e coinvolge la legislazione brasiliana rispetto ai rifugiati politici. Non intendo entrare in merito al personaggio Battisti che non ha mai ispirato la mia fiducia. Quello che desidero invocare è il rispetto per la decisione brasiliana e la non denigrazione del ministro della Giustizia che ha soltanto compiuto un atto previsto dai precetti del suo paese così come nel 1989 lo stesso asilo era stato concesso ad Alfredo Stroessner, il dittatore del Paraguay. Tarso ha preso in esame la domanda degli avvocati di Battisti e molti indizi indicavano che la motivazione politica era, appunto, la base della richiesta. Tanto è bastato per non poter rifiutarla.

Terrorismo di ieri e di oggi

In Italia, del resto, si con-fonde fra terrorismo degli anni 70 e terrorismo attuale. Credo che siano due epoche storiche da valutare nella loro profonda differenza anche se ogni terrorismo, sempre e ovunque mi trova contraria perché l’atto che distrugge improvvisamente dei legami sociali distrugge qualsiasi possibilità di dialogo: è un atto ignomignoso che tuttavia non si cura con altri atti di violenza. In Italia ancora si deve togliere dal rimosso storico quel decennio oscuro, farlo diventare in qualche maniera storia digerita, pur se non accettata. Il terrorismo oggi ha tutt’altra matrice. Non li si può mettere insieme in un unico calderone.

Dov’era Battisti?

Battisti dov’è stato in questi decenni? È giusto che sia punito ma perché si è aspettato tanto e perché ci si accanisce con il Brasile che raccoglie solo l’ultimo atto di una vicenda che ha avuto come protagonista principale la Francia, con la cosiddetta «Dottrina Mitterrand» che dava protezione ai terroristi che abbandonavano la lotta armata. In questi decenni Battisti è cambiato, nel bene e nel male è un uomo diverso. Che si sappia, non ha fatto atti di violenza. Certo dovrebbe pagare per quelli del passato, ma non dovrebbe anche valere la sua conversione a nuova vita?

Le sofferenze delle vittime

E lascerei stare, nel dibattito sul caso, le sofferenze delle vittime del terrorismo. Non credo che debba esserci un risarcimento di tipo individuale al dolore, quando questo ha fatto parte di una dimensione storica. Certo che esiste, ma la politica soprattutto deve recuperarlo in un’etica collettiva che si fa educazione, rispetto e legalità, attraverso l’educazione civica e l’insegnamento di una storia che tenga conto della complessità umana e della conoscenza di un’epoca al di fuori di preconcetti e luoghi comuni. Ma qui sta il difficile. L’Italia non si è ancora riconciliata del tutto con la sua guerra civile, quella Resistenza al nazifascismo che ha fondato la Repubblica, ma che non è scesa nel cuore di tutti gli italiani.

Le relazioni tra Stati

Le relazioni fra stati democratici richiedono una conoscenza reciproca approfondita che comprende la cultura, la storia e la conoscenza dei rispettivi sistemi giuridici. Credo che se si fosse accompagnato meglio il percorso del Brasile in questi ultimi dieci anni, si sarebbe capita non solo la mossa di Tarso Genro del non concedere l’estradizione ma il perché lo ha fatto. Avvocato egli stesso, fautore del diritto naturale dell’essere umano cui compete, fra l’altro, diritto alla vita, all’onore, alla libertà e all’integrità fisica e morale; sostenitore del dialogo partecipante delle componenti della società, socialdemocratico convinto e operoso anche come teorico del diritto del lavoro e comunitario, non ha fatto questa scelta perché ha considerato Battisti un eroe, scambiandolo per un piccolo Che Guevara. Ha scelto così per rispetto alla legge, tanto che è lui stesso a dire (Folha, 15. 01. 09) che se avesse contato il suo passato politico non gli avrebbe concesso l’estradizione, tanto l’agire dell’italiano è stato lontano dal suo modo di fare politica.

L’opera di Tarso Genro

Molte altre informazioni si potrebbero dare sull’operato di Tarso Genro, parlando per esempio del progetto Pronasci, un Programma nazionale di Sicurezza Pubblica che insegna la cittadinanza anche ai poliziotti abituati a rispondere nelle favelas con la stessa violenza che devono contrastare. Oppure della già citata «Commissione Amnistia» che la sottoscritta sta accompagnando come osservatrice fin dal suo sorgere. Per ora resta l’intento di aver, almeno un poco, sollecitato il desiderio di approfondire meglio le questioni, perché, scrive Gustavo Zagrebelsky (Imparare democrazia, Einaudi, 2005, p. 21): «la democ
razia è discussione, ragionare insieme… affinché sia preservata l’integrità del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verità dei fatti, che è la base di ogni azione orientata a intendersi onestamente».