Troppi cantori del valore assoluto della vita sono stonati

da Giornale di EMERGENCY n° 48, settembre 2008

Troppi cantori del valore assoluto della vita sono stonati. Entusiasti sostenitori del ricorso alle armi e alla guerra, compiaciuti di una condanna a morte, si dichiarano anche difensori appassionati della vita che sta per cominciare o per concludersi. I punti estremi della vita sono difficili da interpretare; i confini sono per loro natura oggetto di contrastanti definizioni.

Ma la vita non risiede nei suoi bordi. L’esistenza è molto più ampia e consistente, più consueta e più certa. Tra un’ipotesi di futura esistenza e un’ipotesi di sopravvivenza artificiale si estende, niente affatto ipotetica, la vita che si vive davvero, indiscutibile nel suo contenuto e incontrovertibile nella sua verità. La vita che conosciamo ha come presupposto essenziale un corpo quanto possibile sano. Tutto ciò che contribuisce alla conservazione, o al ripristino, del «corpo sano» appartiene inscindibilmente alla vita.

Di questa «vita vera» si disinteressano sia alcuni tradizionali predicatori di collaudate convinzioni religiose, sia gli improvvisati, un po’ grotteschi annunciatori delle medesime convinzioni travestite da pensiero laico. Con la stessa disinvoltura che consente ad alcuni di inneggiare tanto alla vita quanto alla guerra, così anche il valore assoluto della vita si abbina alla trasformazione della vita stessa in un oggetto commerciale, in bene riservato a chi disponga di risorse per acquistarlo. Che l’assistenza sanitaria debba essere per tutti rigorosamente gratuita non è un’opzione suggerita da qualche fanatismo ideologico.

È soltanto una conseguenza necessaria del valore della vita. Un’evidenza umana elementare, si direbbe. Le decisioni politiche costringono i cittadini ad accollarsi i costi delle forze armate, delle loro “missioni”, dei loro strumenti di violenza, di militari ai quali si impone di uccidere e di esporsi all’eventualità di essere uccisi. A carico di tutti si impongono i costi di pratiche disumane e discriminatorie contro “nemici” inventati e costruiti secondo interessi del momento: «zingari», romeni, musulmani …

Pratiche indiscutibilmente razziste, anche se svendute come bisogno collettivo di «sicurezza». A spese di tutti si costituiscono caste di privilegiati, difficili da giustificare anche ignorando (e non è facile) abusi e corruzione. I costi della guerra, della prevaricazione e dei privilegi diventano un onere di tutti. Per «risanare l’economia» si risparmia sulla sanità. La salute, sempre meno garantita a tutti, cessa di essere un diritto e si trasforma in uno dei tanti beni in vendita per chi può acquistarli. Per avere un senso, ciò che è chiamato politica almeno questo dovrebbe fornire: la garanzia incondizionata di esistenza a chi forzatamente subisce imposizioni e leggi.

Senza almeno questa elementare garanzia, le pretese delle norme, dei diritti, dei doveri …, le pretese della politica, insomma, sarebbero pura, incomprensibile sopraffazione.