UN PENSIERO PER ELUANA E BEPPINO

di Elvia Franco

Udine, 5 febbraio ’09
La dignità dell’esistenza di una donna o di un uomo consiste in quell’intimo autonomo lavorio, attraverso cui ciascuno/a si mette in grado di maturare un orientamento riguardo alla sua vita, che comprenda anche un pensiero circa le cose della morte.

La nostra realtà autonoma interna, maturantesi nella riflessione e nell’affinamento della sensibilità, è il patrimonio con cui viviamo, cresciamo ed entriamo in relazione con gli altri.
Ognuno, a partire dalla scuola, va messo nelle condizioni di maturare ciò che sente di poter e voler essere nel mondo di tutti
L’aiuto grande, per questo primario lavoro, viene dalla conoscenza delle idee della cultura e delle credenze religiose, insieme all’interrogazione di come siano praticate, là dove si afferma che si vive di esse.

Il fatto decisivo, poi, è sempre l’individuo, che pensa, matura, decide, desidera, perché l’individualità è inviolabile. Questo è già saputo anticamente nell’etimo. La personalità deve restare inviolata. Immune da offesa e pressioni.
La personalità chiama in vita il rispetto.
Stimola il sorgere della relazione rispettante, affascinante e impegnativa. Diversa da quella immediata dei rapporti interni al medesimo, che si hanno nei gruppi, dove è stabilito in anticipo il posto di ognuno.

Nella relazione rispettante ci si sente tanto più noi, quanto più si prova interesse per le individualità degli altri, che sentiamo di voler lasciare inviolate nell’atto in cui le accogliamo, e dal nostro interno, mentre ne sentiamo il valore, chiediamo anche per noi la stessa attenzione.
Quando questa cosa accade, proviamo contentezza, come se un’energia più viva sorgesse dal nostro interno, irradiandoci.
La relazione rispettante è stimolata dalla diversità, dalle differenze in atto, che sono l’occasione del suo manifestarsi.

Sono le individualità, concrete e diverse, e non le astrazioni, che stimolano la possibilità del rispetto in una società che migliora.
Se il tessuto connettivo della vita sociale è la relazione rispettante, allora, soltanto in una barzelletta, ci si può azzardare a sostenere che le differenze sono pericolosissimo relativismo minaccioso dei valori, perché proprio esse sono il grandissimo valore, la ricchezza della vita comune.

Le parole “Relazione rispettante” sono il titolo di un testo “La relazione rispettante” che ho conosciuto quarant’anni fa, quando viene la fine di marzo.
Lo ha scritto un filosofo siciliano, di Palermo, Lorenzo Abate, mio professore di filosofia all’Istituto magistrale Caterina Percoto di Udine.
Ad oggi, questo libro verdeggia sul ripiano della mia scrivania.

Viviamo in un mondo, piegato dalla relazione di dominio, dove le persone sono dissuase dal volgersi in se stesse, alla ricerca del filone d’oro che è dentro di ognuna e che nella libera parola si porge e si lascia comprendere.
Vien fatto intendere di lasciar perdere la nostra maturazione autonoma, quasi fosse una trappola e un pericolo da cui è meglio stare lontani.
Se pericolo c’è, lo è per il cesarismo che si irrita con chi non sta al gioco con cui ha deciso di far giocare la gente, e non si dà pace quando il terreno gli si smotta da sotto i piedi.

Il cesarismo non lascia scappare la “preda”.
Come un Egitto astioso e rincorrente, si incattivisce e si infuria.
Sotto l’egida dei grandi ideali, assume espressioni contrite ed offese, mentre è vendicativo e non si placa, fino a che non è riuscito a piegare l’altrui volontà. Fino a che non è riuscito nel suo intento di stupro ontico.

Soltanto quando gli ideali sono sinceri e i valori culturali e religiosi sono parte viva della persona, hanno un valore immenso.
Altrimenti configurano il male.
Il male dell’imposizione della propria persona che deve prevaricare sul volere di altre. Immedesimato in quest’atto, il male gusta un intimo, inconfessato, godimento.

Un godimento intenso ed oscuro, nascosto con ipocrisia dalla bellezza degli ideali.
Un viscido senso trionfante di vittoria, indegno di un essere umano.
Queste cose accadono.
Chi non le sa?
Chi non le ha subite?
Certo, i valori sono disgiunti dal cesarismo, quando le persone li sentono davvero e con sincerità.

E’ soprattutto gente che incontriamo per strada, gente comune, gente che non appare in TV, persone che lavorano, persone qualsiasi.
Gli atti concreti di relazione ci fanno capire dove c’è relazione rispettante e dove c’è cesarismo. Dove c’è autenticità e dove c’è ipocrisia.
L’attitudine all’ascolto è la cartina di tornasole.
L’ascolto, e nient’altro che l’ascolto, disvela la struttura di relazione che si attiva mentre ci si relaziona.

C’è sempre cesarismo dove non c’è ascolto o dove c’è finto ascolto.
E visto che il vero ascolto è un valore saputo, il finto ascolto deve mostrare che tende l’orecchio, ma in realtà sa in anticipo che cosa rispondere, indipendentemente da ciò che vien detto.
E c’è un finto ascolto anche dove si ascolta attentissimamente le parole con cui l’altro ci si comunica, non per coglierne il senso, ma per catturare un punto di vulnerabilità che autorizzi ad usare il machete.

E c’è il non ascolto, paternalistico o sprezzante, di quelli che fantasticano di essere seduti sull’assolutezza della verità.
Come se la verità fosse statica e non un cammino di relazione!
Come se la verità avesse qualche consistenza fuori della relazione rispettante.
Fuori della relazione, rispettante le individualità che maturano, ognuna con i suoi tesori di vita,di lavoro, di dolore, di gioia, di pensiero, di dubbio, fuori della relazione rispettante, sinceramente vissuta, si allungano le ombre del male.

Mentre scrivo queste cose, penso ad Eluana e a suo papà Beppino Englaro a cui va il mio saluto solidale e affettuoso.