Accanimento giornalistico

di Gianni Minà
da “il manifesto”, 13 febbraio 2009

La tragica vicenda di Eluana Englaro ci ha permesso di constatare, una volta di più, la sconcertante
situazione in cui versa l’informazione in Italia, ormai acriticamente asservita, salvo pochi casi, alle
scelte politiche e personali del piccolo duce Berlusconi e alle logge e alle lobby che gli reggono il
gioco.
Dalle 20.20 di lunedì 9 febbraio, dieci minuti dopo che Eluana aveva lasciato questo mondo, è
partito infatti nei mezzi di informazione, specie quelli televisivi, un osceno carosello di cronisti,
editorialisti e conduttori senza dignità che, malgrado la loro ignoranza sulla condizione di una
persona da diciassette anni in stato vegetativo persistente, straparlavano e straparlano di medicina,
etica, giurisprudenza, diritti civili, rispettosi proprio di nulla, nemmeno dell’umiltà, della
discrezione con cui andrebbe fatta la professione in questi casi.
Sono presunti comunicatori attenti solo a come meglio potevano e possono lustrare le scarpe
(pardon, le tesi) di quello che considerano, evidentemente, non il premier di questo paese, ma il loro
padrone, quello che permetterà loro di continuare a fare (male) una professione alla quale
servirebbe un’altra spina dorsale.
Questa laida esibizione lunedì era ancora più sconcertante perché era sufficiente sentir parlare
Gustavo Zagrebelski, ex presidente della Corte Costituzionale a L’infedele di Gad Lerner o un
primario di rianimazione dell’ospedale San Camillo di Roma, nei pochi secondi che gli concedeva
Bruno Vespa a Porta a Porta, per capire quanto era grande la superficialità, l’arroganza, il cinismo,
l’ipocrisia dei nostri politici e dei presunti cronisti che reggono loro la coda.
D’altronde questo era l’orientamento, il clima scelti dai «formatori» dell’opinione pubblica attuale
per una particolare e tragica occasione come questa.
Non a caso Enrico Mentana, in questo teatrino, si è dimesso da direttore editoriale delle reti
Mediaset perché l’imprescindibile esigenza di non rinviare (per motivi legati ai contratti
pubblicitari) la messa in onda di quel tragicomico psicodramma che è il Grande Fratello, aveva
bloccato il suo anelito di navigato giornalista di buttarsi in una serata irripetibile. Mentana solo ora
sa, dopo quello che si è visto in questi giorni in televisione, salvo che nella puntuale e rigorosa
puntata de L’infedele, come l’abbia scampata bella.
Perché la cattiveria di tutti coloro che hanno volato basso, in questi giorni, sul corpo martoriato di
Eluana (a cominciare da Berlusconi stesso) era stata estrema, feroce.
Dal portavoce della sala stampa vaticana, per passare via via ai monsignori Barragan («Se
l’intervento umano si rivelasse decisivo per la morte di Eluana continuerei a ritenerlo un delitto»),
Saraiva Martins («E’ stato un omicidio»), Tarcisio Bertone, segretario di Stato («No alla
interruzione della vita mascherata da pietà»), Angelo Bagnasco («La morte per eutanasia di Eluana
sarà una grave ferita per l’Italia»), fino al segretario della Cei monsignor Mariano Crociata («Ci
siamo trovati di fronte all’inserimento dell’eutanasia nel nostro ordinamento»).
Tutti lontani o dimentichi del cristiano sentimento della pietà, oltre che dell’autonomia, delle leggi e
dell’indipendenza delle istituzioni di uno Stato sovrano.
A questo proposito è quasi stravagante la dichiarazione di monsignor Crociata che parla di «nostro
ordinamento», senza fare distinzione fra Vaticano e Italia.
Un mitragliamento ideologico-religioso così intenso e un’ingerenza così superba e inquietante, forse
in Italia non si registrava dai tempi delle battaglie civili per le leggi sul divorzio e sull’aborto (nel
1970 e nel 1978), o addirittura dal tempo della breccia di Porta Pia.
Da credente, non riesco nemmeno a capire questa ossessionante paura della morte. Nella fede
cattolica non è forse la morte un passaggio che, liberandoci dalle mediocrità terrene, ci ricongiunge
a Dio?
Zagrebelski nel programma L’infedele era costretto a spiegare cosa sono i diritti civili, cosa è libertà
in una democrazia, più alla Binetti, anima integralista, per quanto riguarda la fede religiosa, del
Partito democratico, che al vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, esponente di Forza Italia.
Per quale motivo, per servire quali ideali (o interessi?), la Chiesa cattolica nell’epoca di Ratzinger
ha deciso di agire nella società italiana con questa arroganza, con questo atteggiamento invasivo,
specie in un paese dove pure gode di tanti inusuali privilegi (dagli opulenti finanziamenti per le
scuole private alla dispensa a pagare le tasse sulle proprietà, che non sono poche)?
E’ così grande il vuoto attuale della nostra società e della stessa Chiesa di Roma, in crisi di
vocazioni, da richiedere questa crociata?
O forse sta tornando in auge il Vaticano affarista dello Ior (Istituto opere di religione), creatura un
tempo di monsignor Marcinkus, che fu complice, nel fallimento del Banco Ambrosiano, della
loggia massonica P2 e che Papa Wojtyla riuscì a «confinare» negli Stati uniti solo dopo molti anni
dall’esplosione di quello scandalo finanziario?
Cosa ha promesso il governo Berlusconi a questo Vaticano invadente e cosa questo Vaticano ha
promesso a Berlusconi e ai suoi progetti presidenziali?
Nessuno ovviamente si poneva questi interrogativi la notte della dipartita di Eluana Englaro, vittima
sacrificale di queste mire. E nemmeno in questi giorni sui giornali, più subdolamente attenti a
rilevare che il papà di Eluana non c’era al momento della sua morte, ma volontariamente dimentichi
che quest’uomo etico era andato a Lecco per trasmettere il suo coraggio alla moglie, anch’essa
inferma. Ma Beppino Englaro andava crocifisso. Questa era la linea scelta, il verbo da seguire.
Lo imponeva il giornalismo di oggi, un’attività dove l’Avvenire, il quotidiano della conferenza
episcopale italiana, può definire, senza alcun rispetto per se stesso e per Gesù Cristo, Beppino
Englaro un «boia».
Così, Vespa a Porta a Porta era attento a far alzare subito l’audio quando parlava in Parlamento il
ministro Sacconi (un socialista molto poco laico) e il colorito Gasparri, salvo poi abbassarlo
velocemente quando il «colonnello» di An, bacchettato da Fini, dava da matto nell’aula del Senato.
Solitario il primario rianimatore dell’ospedale San Camillo tentava di spiegare che forte del
giuramento di Ippocrate, solo il medico ha il diritto, d’accordo con il paziente e i suoi familiari, di
decidere quando è l’ora di salutare la vita, e non il Parlamento, per il sacrosanto diritto di una
persona di disporre del proprio corpo.
Ma Vespa gli tagliava la parola, come il giorno successivo avrebbe fatto anche al prestigioso
cardiochirurgo Ignazio Marino e al rappresentante di una associazione di rianimatori e anestesisti.
L’importante era far sfilare nello studio o in collegamento le storie di persone «resuscitate», ma che,
chiaramente, non c’entravano nulla con i danni neurologici subiti da Eluana e con la sua lunga
agonia.
C’era l’urgenza, a caldo, di mandare in onda un video infame dove un redattore di Porta a Porta,
fratello di un paziente che si era risvegliato da un coma, sosteneva che Beppino Englaro, anni fa,
dopo essere stato ospite della trasmissione simbolo del modo di fare informazione di Vespa, gli
aveva confidato che la volontà della figlia di non essere mantenuta in vita artificialmente, in caso di
un malaugurato incidente, se l’era inventata per favorire la battaglia civile portata avanti dai radicali
sul diritto all’eutanasia.
Il commento di Beppino Englaro, quando lo avevano avvisato di questa presunta testimonianza,
era
stato definitivo: «Più in basso di così non si può scendere».
Bene: la tv servizio pubblico è riuscita a farlo. In nome di quale esigenza di Berlusconi o del
Vaticano?