La pace si fa mito

di Moni Ovadia

La pace fra israeliani e palestinesi non è mai stata così lontana. Questo è il dato che emerge dalle ultime elezioni israeliane.

Qualcuno in circostanze così disperanti potrebbe essere tentato di aggrapparsi scaramanticamente all’idea che il momento più oscuro è quello che precede l’alba e che un miracolo è sempre possibile, ovvero che un governo pesantemente orientato a destra potrebbe far digerire al paese un accordo coi palestinesi impossibile per una leadership di centro-sinistra.

Ritengo che una simile eventualità non sia più neppure un sogno ma un mito come quello dell’araba fenice.

Il leader del Likud Bibi Nethanyau ha escluso, senza subordinarlo ad alcuna condizione, ogni pur minimo spostamento dello status quo e, con l’inevitabile appoggio del partito razzista di Liberman, avrebbe facile gioco nell’imporre come condizione non negoziabile ad un governo di unità nazionale con Tzippi Livni, il rifiuto di ogni concessione territoriale.

L’opposizione, allo stato delle cose, è inesistente grazie al vergognoso comportamento di Ehud Barack e di tutti i dirigenti del Mapai che non hanno saputo trovare niente di meglio che misurarsi in una gara muscolare con il centro e la destra per contendersi con loro il palio del peggiore in campo mettendo in vendita l’anima per un pugno di inutili voti.

La sinistra pacifista israeliana, pur con le migliori e più nobili intenzioni non ha voce se non per i suoi militanti, ma ha tempo per riflettere sul proprio futuro.

A questo punto la palla passa nel campo della comunità internazionale.

Sapranno, Usa, Onu, UE e gli altri attori della governance mondiale rifiutare le aperte dichiarazioni di illegalità del primo ministro in pectore dello stato d’Israele e condannarla senza mezzi termini come inacettabile per una democrazia o continueranno a raggirare con atroce ipocrisia il sempre più abbandonato popolo palestinese.