SUL TESTAMENTO BIOLOGICO

di Maria Calamani
addetta stampa del Circolo Uaar di Roma

“Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri” (Oscar Wilde)

Il dramma umano della vicenda Englaro ha spalancato le porte a un conflitto sociale e politico sui temi della bioetica che va ben al di là della legislazione sull’argomento, chiamando in causa la valenza dei nostri principi costituzionali sulla libertà dell’individuo e il pericolo di un’”etica di Stato” che annulli l’etica personale.

Il decreto legge sul testamento biologico, che il Parlamento si appresta a discutere, sancisce che alimentazione e idratazione non sono da considerarsi terapie mediche e quindi sono escluse dalla libera scelta dell’individuo.

Ma stabilisce anche che le disposizioni che potremo rilasciare nel pieno possesso delle nostre facoltà mentali per regolare il nostro fine vita non costituiranno obbligo per il medico curante, il quale potrà decidere la necessità o meno dei trattamenti da somministrare. Si aprono perciò questioni diverse e su più piani che coinvolgono l’intera società civile.

Questioni che non ammettono l’indifferenza dei cittadini, per i quali si delinea una limitazione arbitraria del controllo sulla propria vita. “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32 della Costituzione).

Così la nostra carta costituzionale difende il diritto inviolabile di decidere della propria vita se ciò non lede la vita o la salute di altri. Attentare a questo principio significa sancire che ci sia un’entità superiore, dalla legge rappresentata, che possiede la nostra vita e quindi il diritto di disporne. Ossia traslare sullo stato di diritto il dogma primario della religione cattolica secondo cui la vita umana è un “bene indisponibile” per l’uomo perché proprietà esclusiva di Dio.

Si prefigura, cioè, una pericolosa deviazione da uno Stato democratico a uno teocratico. Ma qui una (ingenua) domanda sorge spontanea. Che interesse ha chi crede nella vita eterna a prolungare con ogni mezzo quella terrena? E soprattutto, che interesse ha ad imporre ad altri le sue convinzioni etiche, visto che nella vita ultraterrena esiste un tribunale divino che punirà con le fiamme eterne i peccatori?

Pensiamo un attimo alla legge 194 sull’aborto, risultato di una delle maggiori battaglie di civiltà in Italia e presumibilmente oggetto di prossima revisione da parte di questo Governo. Non obbliga una donna ad abortire in caso di comprovate malformazioni o infermità o morte del futuro nascituro. Dà la possibilità di farlo, ma non lo impone. Così ogni donna, anche la più oltranzista tra i confessionalisti, è libera di comportarsi secondo la sua coscienza.

Perché, allora, voler per forza imporre la propria etica ad altri? Non si capisce neanche quale vantaggio ne tragga la Chiesa, se prescindiamo dall’ottusa pretesa di detenere il monopolio della Verità: anche se non credete in Dio, io so che Dio esiste ed è padrone della vostra vita; vi devo perciò imporre la sua legge per salvarvi dall’inferno.

Un po’ come un genitore che strappa di mano la bottiglia della varechina al figlio che gattonando ha aperto l’armadietto dei detersivi, inconsapevole del pericolo di morte che sta correndo. Salvo che la coscienza di un non credente, al contrario di quella del bambino, ha pari dignità della coscienza di un cattolico, almeno in uno Stato non confessionale come il nostro dovrebbe essere.

“La libertà personale è inviolabile” (art. 13 della Costituzione). Se il decreto sul testamento biologico verrà approvato, e con l’attuale costituzione del Parlamento c’è da giurarci, qualcuno ci dovrebbe dimostrare che disporre della propria vita, accettando o rifiutando cure e sostentamento, non fa parte della libertà personale sancita dalla Costituzione. In base a questo principio anche il suicidio, allora, dovrebbe essere punito per legge, se non fosse che condannare un morto appare ridicolo anche ai più ortodossi tra i nostri parlamentari.

Ma il problema, come al solito, non è quello della Chiesa e dei suoi anatemi. In Spagna la Chiesa urla e sbraita su ogni questione, ma il Parlamento spagnolo, probabilmente non meno cattolico del nostro, ha ben chiaro il suo dovere di legiferare per garantire i diritti di tutti i cittadini al di là delle convinzioni religiose o areligiose degli uni e degli altri e, semplicemente, la mette a tacere.

Da noi, invece, la Chiesa trova terreno fertile in quel connubio di potere economico e politico che è l’antitesi di ogni democrazia che si rispetti. Ed ecco allora Berlusconi che, nei giorni precedenti la morte di Eluana, dichiara candidamente: “Noi siamo per la cultura della vita”. Uno straordinario non-sense che lascia al suo elettorato, ormai addestrato a dovere, la mirabile operazione mediatica di incollare sulla vuota locuzione “cultura della vita” quella “cultura” propinata abitualmente da Santa Romana Chiesa, al punto tale da imbastire un decreto legge d’urgenza per salvare “la vita” di una donna morta da 17 anni.

Ma se la destra al Governo non ci riserva sorprese, essendo rappresentata da un premier che ha fatto del conflitto di interessi la sua fortuna politica, ciò che invece ci deve preoccupare è la posizione dell’opposizione, in particolare del Partito Democratico che nell’attuale Parlamento ne porta il testimone.

La sostituzione di Ignazio Marino – primo promotore di una legge laica sul testamento biologico e capogruppo PD alla commissione Sanità del Senato – con Dorina Bianchi – ex Udc ed ex militante teodem – e le recenti dichiarazioni di Veltroni che autorizzano posizioni diverse nell’ambito dello stesso partito su “questioni di coscienza” (come se la laicità dello Stato lo fosse) parlano chiaro su quale sarà il futuro di questa legge e della spaccatura che provoca già da ora all’interno dell’opposizione.

Il risultato di tutto ciò è che in Parlamento non c’è alcuna rappresentanza significativa di chi non vuole delegare alla legge (ossia, in questo caso, a Dio) la possibilità di decidere della propria vita. E secondo quanto dicono i sondaggi, si tratta di una percentuale che supera l’80% della popolazione (leggi il sondaggio Demos & Pi).

Se l’attuale decreto legge sul testamento biologico supererà lo sbarramento di una ravvisabile incostituzionalità, resterà in sintesi solo la strada referendaria e la promozione di questa iniziativa sarà affidata unicamente alla società civile. Quella che in Parlamento non è rappresentata, quella che non ci sta, per dirla con Oscar Wilde, a sentirsi libera solo se omologata a un’etica che non le appartiene.