Di ritorno da Gaza. Le verità nascoste di una tragedia

di Bruna Iacopino
da www.articolo21.it

Che fine ha fatto la Striscia di Gaza? Quale la sorte del milione e mezzo di persone che viveva confinata in quella prigione a cielo aperto e che è stata vittima di 22 giorni di follia omicida? Cosa è accaduto, infine, all’unica missione italiana partita il 27 gennaio e arrivata a Gaza solo il 29? Finita l’emergenza, la stampa e i mezzi di informazione nostrani hanno smesso di occuparsene. Finito il massacro, inutile cominciare a contare i morti e le macerie; il silenzio è di nuovo sceso su quel fazzoletto di terra. Apparentemente sceso, perchè quelli che erano partiti dall’Italia sono tornati il 14 di febbraio e di cose da raccontare ne hanno… e tante. Ma procediamo con ordine.

Siamo ancora in piena escalation militare. Di fronte all’immobilismo della politica e anche di buona parte del mondo della Cooperazione, poche persone cominciano a mobilitarsi spinte dall’emergenza umanitaria, creano un movimento di sensibilizzazione dal basso, fanno rete, si coordinano e iniziano a fare pressione sui “piani alti”. Nel giro di poco tempo la delegazione comprendente medici, cooperanti, giornalisti e qualche rappresentante delle amministrazioni locali di Rimini e Monterotondo è pronta a partire dall’Italia il 27 gennaio. Arrivati al valico di Rafah ecco presentarsi le prime difficoltà, e non è l’esercito israeliano, bensì il muro onnipresente della burocrazia: un fax che non arriva, la titubanza della Farnesina e l’egiziano al confine che continua a rispondere al telefono proprio impedendo l’arrivo di quel fax che è il lasciapassare.

Il passaggio avviene al confine al di fuori dalle regole, sono le 21.00 e il valico dovrebbe essere chiuso già da 4 ore, ma di fronte alla determinazione, anche le regole più rigide vengono a cadere. I nostri passano con il loro carico di medicinali e attrezzature sanitarie, dall’altra parte sono già in attesa, e per chi ha fatto tanta strada si prepara il meritato ristoro prima di affrontare la dura prova dei giorni avvenire. La distruzione è la cifra prevalente: distruzione di case, campi coltivati, infrastrutture, ambulanze, moschee. “Hanno continuato a bombardare anche mentre stavamo dentro” racconta Meri Calvelli, cooperante alla guida della delegazione. Tutto raso al suolo o quasi. La zona maggiormente colpita è quella che si trova a Nord della Striscia e che, teoricamente, avrebbe dovuto essere anche la parte più immune, perchè quella “non è zona di Hamas né di Moschee, ma una semplice zona residenziale abitata anche da famiglie vicine a Fatah”. “ La gente continua a rimanere vicina alle macerie della propria casa, non riesce ad allontanarsi, quelli un po’ più fortunati trovano ospitalità a casa di amici o parenti ancora in vita e la cui abitazione non è stata gravemente danneggiata.”

Ma il quadro più desolante risulta dall’incontro con la gente, con i feriti o con chi ha perso l’intera famiglia sotto le bombe. “ Abbiamo trovato tantissimi feriti con amputazioni…”. Del resto, data la penuria di medici e strutture ospedaliere e la fretta di lasciare lo spazio nelle corsie a centinaia di altre emergenze, quello dell’amputazione è risultato il metodo più veloce ed efficace per salvare il maggior numero di vite possibile. I medici non erano preparati a quanto sarebbe successo, come non erano preparati all’uso di armi non convenzionali. “Loro- continua Meri- non sapevano cosa fosse il fosforo bianco, né come bisognasse intervenire in casi del genere… succedeva quindi che le bruciature di fosforo venissero curate come semplici ustioni e che il ferito ricominciasse a bruciare senza alcuna spiegazione. Lo hanno scoperto solo piu’ tardi attraverso internet e poi in seguito, quando gli abbiamo portato il documento datoci dalle organizzazioni dei diritti umani attive in Israele; hanno scoperto anche che i medici israeliani avrebbero potuto aiutarli ma non lo hanno fatto.”

Sembra infatti, stando al racconto, che in seguito all’uso massiccio di fosforo bianco, vietato dalle convenzioni internazionali nei luoghi densamente popolati, l’esercito abbia distribuito alla popolazione isareliana un documento informativo sui comportamenti da tenere nel caso in cui Hamas avesse deciso di “restituire” ai legittimi proprietari le bombe al fosforo cadute su Gaza e rimaste inesplose ( oggi Peacereporter apre appunto su questo riportando il documento in questione) . “ Camminando per la Striscia è possibile vedere ovunque i residui delle esplosioni al fosforo, pallette biancastre che bruciano a contatto con l’ossigeno, abbiamo trovato anche bambini che ci giocavano… e poi anche molti proiettili rimasti inesplosi.” Accanto al fosforo poi le DIME, armi di ultima generazione, già precedentemente sperimentate e ugualmente utilizzate sui civili ( di questo si era già occupata Rainews24), in grado di amputare e cicatrizzare allo stesso tempo a causa del calore elevato che sviluppano i frammenti metallici di cui sono composte.
E anche qui, l’inevitabile e drammatica impreparazione del personale medico locale. Accanto ai medici, i giornalisti presenti con la delegazione, fra cui anche due inviati di Rai3 per la trasmissione Presa diretta, hanno avuto modo di documentare passo passo la realtà di un’aggressione sproporzionata, presto, dunque, il grande pubblico avrà la possibilità di vedere con i propri occhi e capire perchè da più parti si chieda a gran voce il deferimento di Israele alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Le immagini sono tutte accompagnate dalle testimonianze di quanti sono sopravvissuti e possono raccontare di esplosioni continue ed esecuzioni sommarie, e, infine, ci sono i filmati realizzati da operatori palestinesi, occhio puntato sugli attacchi incrociati e sulle 4.000 bombe piovute durante i primi 10 minuti dell’attacco. Nonostante i proclami l’esercito continua ad usare le armi: i bersagli migliori sono pescatori e contadini, rei di allontanarsi troppo o di provare a riprendere una vita “normale”. “I valichi sono aperti solo per il passaggio di aiuti umanitari e nient’altro e solo per tre giorni a settimana; nella Striscia manca il gas, l’elettricità per non parlare dei materiali per la ricostruzione.”

La popolazione affida ai nostri connazionali una richiesta di aiuto. “Occorre adesso tornare a dare sostegno al settore agricolo e rinsaldare le strutture e il personale medico, ma occorre soprattutto consentire alla popolazione della Striscia di uscire dall’incubo favorendo spazi di socializzazione e ricreazione, magari con il supporto delle ONG e della società civile internazionale.” Il timore di una nuova escalation militare per il momento appare fugato, causa l’incertezza dell’attuale quadro politico israeliano e i recenti accordi tra Hamas e Fatah… La ricostruzione sarà lunga e difficile. Impossibile, finchè Israele non deciderà di revocare l’assedio ancora vigente.