Sebben che sian romeni

di Riccardo Barenghi
in “La Stampa” del 3 marzo 2009

Una regola basilare di qualsiasi società fondata sullo Stato di diritto si chiama garantismo. E fin qui
non ci piove.
Solo che se facciamo un passo in più, oggi, in Italia, nel clima che ormai si è creato, rischiamo la
più profonda impopolarità. Però lo facciamo lo stesso, per dire che anche i romeni hanno diritto a
essere garantiti. Addirittura quei romeni accusati e arrestati per stupro. Quelli della Caffarella, quelli
di Primavalle e chiunque altro sia stato o sarà incriminato di qualsiasi reato.
Al di là del fatto che siano innocenti o colpevoli – e al momento ci sono molti dubbi che i due
accusati dell’orrendo stupro su una ragazza di 14 anni abbiano commesso quel reato, anche se uno
dei due è indicato come responsabile di un altro stupro – la regola deve valere per tutti. Italiani,
romeni, albanesi, tunisini e via dicendo. Fino alla prova definitiva della loro colpevolezza, si tratta
di persone (persone) innocenti. E possono avere qualsiasi faccia truce, qualsiasi espressione poco
raccomandabile, possono frequentare i peggiori bassifondi della città, ma sempre innocenti sono
fino a che non si dimostra il contrario. Sebben che son romeni, insomma, sebbene cioè si tratti
ormai della popolazione che nel cosiddetto immaginario collettivo suscita più paura, più repulsione
e provochi l’istinto primordiale del nemico da sconfiggere o cacciare, sebbene tutto questo, sempre
di persone stiamo parlando che potrebbero anche essere innocenti accusati ingiustamente.
Ora, figuriamoci, sappiamo benissimo che nelle statistiche della criminalità importata nel nostro
Paese, i romeni non sono certo tra gli ultimi. Anzi. Ma proprio per questo, ancora di più vale il
discorso. Perché se ci facciamo trascinare dal nostro terrore per il romeno, e lasciamo che le
indagini, gli arresti, i processi, insomma la giustizia faccia non il suo corso previsto dalla
Costituzione ma vada avanti sull’onda dell’emotività pubblica, allora un domani saranno guai per
tutti. Anche per noi italiani. Se poi in questo quadro già piuttosto preoccupante ci mettiamo pure le
ronde in arrivo, lo scenario che si prospetta non è certo tranquillizzante. Possiamo prevedere, senza
grandi rischi di sbagliare, che saranno proprio i romeni (seguiti dagli albanesi, i tunisini, i neri, gli
immigrati in genere) quelli più «segnalati» dalle squadre di cittadini perbene chiamati a vigilare
sulla nostra sicurezza. Ma quanti di loro risulteranno poi innocenti, gente che magari beveva una
birra per strada, discuteva, scherzava rumorosamente, o forse litigava pure? Quanti di loro saranno
costretti a passare una notte in Questura cercando, faticosamente, di dimostrare la loro estraneità a
qualsiasi azione criminale? E alla fine, quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione?
Domande retoriche, risposte scontate.
E evidente che più l’emergenza stupri cresce nella percezione dell’opinione pubblica, più
bisognerebbe avere la capacità di tenere a freno le emozioni. Soprattutto se si è chiamati a
responsabilità di qualsiasi genere, dal governo fino all’ultimo poliziotto, fino all’ultimo rondista. E
fino a qualsiasi cittadino si trovi sulla scena di un delitto sentendosi magari sicuro di riconoscere
quel romeno piuttosto che quell’altro. Non è facile riconoscere una persona intravista nella notte e
che magari assomiglia a tanti suoi connazionali. Già si sente in giro la frase «quello ha la faccia da
romeno» (chi si ricorda lo straordinario libro-inchiesta del tedesco Wallraff Günter, «Faccia da
turco»?). Si dovrebbe allora pensarci due volte prima di accusare qualcun altro, si dovrebbero
vagliare tutti gli indizi, una, dieci, cento volte, prima di arrestare qualcuno. E si dovrebbe anche
stare attenti – noi che facciamo informazione – a come pubblicare queste notizie, con quale enfasi,
quali certezze, quale rilievo, quali e quanti dubbi. Tanto più se si tratta di romeni: un aggettivo che
purtroppo è diventato sinonimo di criminale.