La promessa di Obama nel nome della scienza

di Umberto Veronesi
in “la Repubblica” dell’10 marzo 2009

La promessa di Obama “non possiamo garantire che scopriremo i trattamenti e le cure che
cerchiamo ma possiamo promettere che le cercheremo “, è la stessa promessa della scienza.
Per questo la scelta del neopresidente americano di abolire i limiti alle ricerche con le cellule
embrionali va letta non solo come un’apertura alle staminali, ma come un’apertura alla libertà di
ricerca scientifica, che, come ha commentato l’amico Renato Dulbecco su queste pagine, torna a
vivere. Questo noi uomini di scienza chiediamo in tutto il mondo: la libertà di ricerca, che è sorella
della libertà di pensiero. I freni che le ideologie – o meglio le loro esasperazioni – pongono al
pensiero scientifico, sono un’anticamera pericolosa per il più importante dei diritti dell’uomo, e per
questo ci inquietano.
Non pensiamo noi medici (e biologi, fisici e chimici, astronomi…) che nessun limite debba essere
posto alle applicazioni dei nuovi risultati della nostra ricerca, ma chiediamo la possibilità di
raggiungere questi risultati, perché la società ne disponga in base alle proprie necessità e i propri
valori, seguendo il principio che “Tutto è concesso all’uso della scienza per l’uomo; tutto è negato
all’uso dell’uomo per la scienza”. In questo momento la biomedicina mondiale crede moltissimo nei
possibili risultati della ricerca sulle cellule staminali embrionali, che sono cellule che dispongono
del massimo della capacità generativa e possiedono la caratteristica unica di potersi trasformare in
qualunque altro tipo di cellula. A partire da poche decine se ne possono ottenere centinaia di
milioni, con le stesse potenzialità iniziali. Per questo sono una grande promessa per la terapia di
alcune delle più gravi patologie dell’uomo, in particolare di quelle degenerative come il morbo di
Parkinson o l’Alzheimer, o per la sclerosi multipla e la distrofia muscolare. Il loro l’utilizzo in
ricerca è tuttavia oggetto di molte limitazioni e di grande dibattito nel mondo perché tocca da vicino
il problema dell’inizio della vita ed è del tutto comprensibile l’affanno delle religioni, che
considerano la vita un dono e una proprietà di Dio, di voler spostare sempre più indietro e sempre
più in là i confini. Esiste però anche una realtà biologica che va considerata e a molti sembra
eccessivo decretare che l’uovo femminile fecondato è persona. Un’ipotesi è quella di ritornare alla
concezione di Tommaso d’Aquino che identifica l’inizio della vita con l’inizio del pensiero e dunque
con il primo abbozzo di sistema nervoso.
In attesa di una posizione che possa conciliare la varie visioni, è legittimo però fermare la ricerca
che può portare una speranza di vita in più a tutti, di qualsiasi fede, o di nessuna fede? Va chiarito
che il problema si è posto da pochi decenni al nostro pensiero, a seguito delle tecniche di lotta
all’infertilità, che prevedono la fecondazione in vitro di più ovuli. Alcuni di essi vengono impiantati
nell’utero, gli altri in sovrannumero vengono congelati. Il dilemma che molti credenti si pongono è
se le poche cellule (visibili solo al microscopio) che formano l’embrione possano essere utilizzate
per la ricerca biomedica. Va chiarito che tutti, credenti e non credenti, pensiamo che l’embrione
debba essere utilizzato per far nascere bambini. E va anche precisato che nessuno mai ha pensato di
“produrre” embrioni per la ricerca scientifica. Tuttavia gli embrioni sovrannumerari, detti anche
embrioni “orfani”, che come si è detto non sono utilizzati a scopo procreativo e vengono mantenuti
congelati, potrebbero essere ragionevolmente utilizzati per creare cellule staminali che potrebbero
alleviare le sofferenze di molti malati e in futuro giungere anche a guarire le malattie cronicodegenerative.
Quindi ciò che noi medici ricercatori chiediamo è che siano utilizzati per la ricerca
proprio le migliaia di embrioni congelati che giacciono nei frigoriferi dei centri per la fecondazione
assistita e che sono destinati comunque a morire.
Nel nostro Paese, poi, la situazione è ancora più difficile da capire. Si può accettare il divieto di
utilizzare a scopi di ricerca gli embrioni destinati alla procreazione; ma la legge italiana vieta anche
l’utilizzo di quegli ovuli fecondati umani (si stima siano circa 20.000) che non saranno mai
impiantati. Tutti sappiamo che con il passare degli anni sono destinati a perdere la capacità di
evolversi in un feto e poi in un neonato. In Gran Bretagna, ad esempio, vengono eliminati dopo
cinque anni. D’altronde quale donna accetterebbe di ospitare nel proprio utero un embrione che è
rimasto anni e anni congelato, sapendo che tentare una gravidanza sarebbe rischioso per la sua
salute e quella del nascituro? Se un embrione perde la capacità di creare un essere vivente, che è il
suo fine biologico, non ha più scopo di esistere. Così avviene in natura per milioni di embrioni ogni
anno, che non avendo avuto la possibilità di impiantarsi nell’utero, vengono persi con il primo ciclo
mestruale. Il suggerimento logico è quello di dirottare l’embrione verso la creazione di cellule
staminali, dandogli quindi uno scopo sempre nobile e di alto valore, che è quello di curare
quell’infinito esercito di pazienti affetti da malattie degenerative cerebrali, epatiche, cardiache. E
resta inoltre “congelata” insieme agli embrioni anche la speranza di vedere sconfitte nelle
generazioni dei nostri figli, quelle malattie degenerative che oggi non riusciamo a guarire.