Dei cattolici in ascolto di fronte all’aborto

di Anne-Bénédicte Hoffner
in “La Croix” del 12 marzo 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)

In quanto ginecologa, da poco in pensione, Claudine Onfray, “da sempre impegnata nella Chiesa”,
si è trovata ad affrontare il problema dell’aborto. “Certi medici di famiglia inviano direttamente le
donne all’ospedale. Io ho sempre pensato che il mio ruolo di medico cristiano non fosse quello: le
ricevevo alla sera, dopo le visite, se possibile con il loro partner, a lungo. Con loro, mi sforzavo di
prendere il tempo necessario per vedere se un’altra soluzione fosse possibile.”
Capitava raramente che ci fosse un cambiamento di rotta. Ma questi colloqui permettevano almeno
a quelle donne o a quelle coppie “di esprimere la loro angoscia”, nota la dottoressa Onfray. Mai ha
messo avanti la sua fede nella sua pratica professionale (anche se “in una cittadina piccola come
Évreux si sa tutto”): “Certe cose non le devo imporre, forse solo farle sentire”. Comunque, come
guida di un gruppo di riflessione etica rivolto a dei medici della sua diocesi, scelta per partecipare
alla giornata di formazione alla bioetica organizzata dalla Conferenza episcopale a metà dicembre a
Parigi, lo riconosce: la sua fede l’ha guidata nella sua pratica.
Nella loro vita professionale, nella loro attività pastorale o associativa, molti cattolici si trovano ad
affrontare quotidianamente l’aborto, e le delicate questioni connesse: quale comportamento avere di
fronte a donne che chiedono eventualmente consiglio o sostegno? quale parola offrire? come
articolare insegnamento magisteriale e ascolto della sofferenza? L’esercizio è sempre difficile, le
situazioni sempre diverse. Ex prete di parrocchia e animatore per la pastorale della salute, padre
Louis Rubin ricorda: “Come ogni prete, ho ricevuto delle donne per questo problema: talvolta, ma
molto raramente, sono venute prima di prendere la loro decisione, più spesso dopo.”
Alle prime, si è ben guardato dal dire quale decisione prendere, cercava piuttosto di aiutarle a “fare
un atto di verità”, ricordando loro perché la Chiesa “non può accettare questo gesto”, ma anche
che, qualunque fosse la loro decisione, “la porta è aperta, e loro sarebbero sempre state amate dal
Padre”. Per quanto riguarda quelle che sono venute dopo a deporre una ferita che esse talvolta
avevano a lungo taciuto, questo prete, oggi in pensione, non ha smesso di dire “che esse hanno
ancora un futuro di condivisione, di dono” e “che hanno il loro posto in questa Chiesa di
peccatori.” “Io credo che la Chiesa cattolica assuma la sua responsabilità sociale insistendo, a
tempo opportuno e inopportuno, sul rispetto della vita umana”, afferma anche monsignor Francis
Deniau, vescovo di Nevers, in un testo diffuso in questi giorni a tutti gli animatori pastorali della
sua diocesi. “Dopo, si tratta di accompagnare delle persone in situazioni in cui io non vorrei
essere, e in cui ciascuno cerca di fare il meglio che può. (…) Mi aspetto dagli uomini di Chiesa,
miei fratelli, che non utilizzino il suo nome per condannare delle persone o rinchiuderle nella
colpevolezza.”
La scomunica prevista dal diritto canonico? Per quel che lo riguarda, padre Louis Rubin non ne ha
mai parlato. “Credo che avrei escluso ancora un’altra vita mentre una era già stata uccisa,
riassume sobriamente. Penso che bisogna sempre essere fermi sulla posizione della Chiesa, non
mercanteggiare. Ma non ho mai avuto la sensazione che maneggiare quell’arma avrebbe portato ad
una riflessione più sana.”
Oltre ai preti, ai catechisti e alle catechiste, generalmente sollecitati ad esprimere una parola di
Chiesa, dei cattolici propongono un aiuto, un accompagnamento, spesso animati dalla loro fede, ma
non sempre esplicitamente cristiani. C’è per esempio il progetto di Agapa, un’associazione fondata
nel 1994 a Parigi dal servizio diocesano della pastorale familiare per ascoltare le donne (e gli
uomini) che hanno vissuto un’interruzione di gravidanza. I suoi volontari hanno progettato un
percorso che comporta una quindicina di incontri settimanali. “Le persone che vengono da noi
sanno che siamo un luogo di ascolto di ispirazione cristiana: non lo nascondiamo mai, spiega una
delle sue responsabili, Guillemette Porta. Ma chiunque può essere accompagnato, quale che sia la
sua fede o la sua non-fede. Il nostro obiettivo è aiutare le persone a rimettersi in piedi, a ritrovare
la pace e la verità in se stesse, rispettando ciò che sono.” Agapa, “un aspetto della tenerezza di
Dio”, quindi – un Dio “che compatisce, che non giudica ma permette sempre all’uomo di
rialzarsi” -, ma che evita “manifesti”…
Delegato generale dell’Alliance pour les droits de la vie, Tugdual Derville insiste anche lui
sull’apertura della sua associazione a “tutte le donne” e sulla sua scelta di aiutarle “a liberarsi, con
le loro parole, senza intrusione, di tutte le loro pressioni e le loro angosce”. Per telefono, per e-mail
o in un faccia a faccia, gli uditori dell’ADV dialogano con le donne che si interrogano ancora sul
comportamento da tenere – per fare in modo che “il loro desiderio profondo sia ascoltato” – o se
hanno già abortito, aiutandole a “rivisitare la loro storia”, a non “lasciarsi schiacciare” da essa.
“Siamo tutti molto coscienti che il nostro intervento ha un impatto limitato, ma diamo una chance
alla vita”, riassume il delegato generale.
Oggi impegnata nella catechesi e nel dialogo ecumenico nella diocesi di Évry, Marie-Odile
Vouilloux, ne è altrettanto convinta: è “ascoltando le donne che si farà diminuire l’aborto, e non
imponendo loro un discorso”. Dal 1972 al 1984, questa ex consigliera familiare ha fatto la scelta di
lavorare nei centri di pianificazione e di educazione familiare che dipendono da PMI (Protezione
materna e infantile), da ospedali e dispensari. Durante questi dodici anni, si è dedicata soprattutto ad
aiutare queste donne a capire “ciò che era successo”, la loro “ambivalenza” tra il desiderio e il
rifiuto del bambino… Tra i militanti convinti con cui si è trovata a lavorare e per “i quali basta dire
che la vita comincia a qualche mese, o addirittura alla nascita”, e quelli che “colpevolizzano” le
donne, lei ha tentato una via mediana, aiutando quelle che riceveva ad evocare il problema della
morte, per “assumere meglio le proprie responsabilità”. Secondo lei, di fronte a queste situazioni
sempre complesse, “bisogna essere umili”. “La nostra responsabilità di cristiani, è educare alla
libertà.”
L’umiltà della Chiesa, l’espressione torna spesso… Nel corso della sua carriera di ginecologo
ostetrico al Centro ospedaliero di Angers, Roger Le Lirzin era quello a cui “venivano mandate tutte
le miserie del mondo”: donne stuprate e picchiate, ragazze incinte in seguito a incesto… Combattuto
tra “ciò che dice la Chiesa” e quelle sofferenze che incontrava ogni giorno, ha pagato di persona,
“con la sua salute”, il suo impegno. Ancora oggi, “ribolle” evocando questi ricordi. “La Chiesa ha
qualche cosa da dire su questi argomenti: deve offrire una parola che definirei ‘profetica’. Deve
ripetere alle persone: ‘Offendete la dignità dell’uomo’. Però, non gettatemi le pietre! Se ho
accettato di praticare delle interruzioni di gravidanza, l’ho fatto in situazioni umanamente senza
uscita.”