Una linea “preservata” a tutti i costi. Ignorata dai missionari

di Alessandro Speciale
in “Liberazione” del 18 marzo 2009

Chi tiene il conto di queste statistiche, sostiene che quella di ieri sarebbe stata la prima volta che
papa Benedetto XVI ha usato la parola “preservativo” in un discorso ufficiale. Fatto sta che, ancora
una volta, la musica del Vaticano sulla prevenzione dell’Aids non cambia: «Non si può superare
questo problema dell’Aids (…) con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il
problema».
Eppure è da oltre quindici anni che all’interno della Chiesa cattolica si moltiplicano le voci che
chiedono di riconsiderare il “no” al preservativo. In prima fila, ci sono soprattutto i missionari, che
ogni giorno devono combattere con la differenza che corre tra i precetti che arrivano da Roma e la
realtà di un continente come l’Africa, dove la diffusione dell’Aids supera, in alcuni Paesi, il 20%: un
adulto su cinque è malato e, quindi, contagioso. Anche in un paese relativamente fortunato, come il
Camerun dove è sbarcato ieri papa Ratzinger, la prevalenza del virus è al 5%.
Non è un segreto per nessuno che, in silenzio e un po’ di nascosto, moltissimi missionari e religiosi
che operano in Africa distribuiscano preservativi, anche se quasi nessuno è disposto oggi ad
ammetterlo ad alta voce. Ma per capire che il “no” della Chiesa, nella pratica pastorale, è molto più
sfumato di quello della teoria vaticana, basta leggere tra le righe delle dichiarazioni rilasciate l’anno
scorso dai superiori degli ordini religiosi maschili e femminili di tutto il mondo, in occasione di una
conferenza sull’impegno della Chiesa contro l’Aids. L’atteggiamento dei religiosi, spiegava suor
Maria Martinelli, missionaria comboniana, «non è di “giudizio universale”. I nostri principi sono
noti, magari però a livello personale, considerando poi che operiamo spesso su persone di diversa
religione, cultura o etnia, certo non andiamo dicendo col megafono di utilizzarlo (il preservativo),
ma ci rendiamo conto che serve».
I casi più delicati sono quelli delle coppie “siero-discordanti”, in cui cioè uno solo dei partner è
contagiato, e il virus rischia di trasmettersi ai figli. In questi casi, molti cattolici – anche ai piani più
alti dei palazzi vaticani, dal teologo di papa Wojtyla, Georges Cottier, all’arcivescovo di Bruxelles,
Godfried Danneels, dal presidente del Pontificio consiglio “Cor unum”, Paul Cordes al cardinale
Carlo Maria Martini – hanno detto che il preservativo potrebbe essere accettabile come “male
minore”. Ma un nuovo documento vaticano sulla pastorale per i malati di Aids, che poteva
contenere progressi proprio su questo punto, sembra sia stato rimesso nel cassetto.
Diversa, naturalmente, la posizione dei missionari sul campo: «La legge di Cristo – dice la
missionaria irlandese, Mary Owens, che ha lavorato per 15 anni in un orfanotrofio di Nairobi che
raccoglie bambini i cui genitori sono morti di Aids – non ha nulla a che vedere con la negazione di
una normale vita sessuale. A due persone sposate, non puoi dire che non possono fare sesso per il
resto della vita».
Nel 2001, erano state due congregazioni religiosi a proporre ufficialmente il preservativo come
rimedio contro l’Aids, i gesuiti in Congo e i Padri bianchi in Tanzania, seguiti l’anno successivo
dall’intera conferenza episcopale del Ciad. In particolare, a riscuotere successo era la strategia nota
come “Abc”, una sigla che sta “Abstinence, Be faithful, Condoms”: Astinenza e fedeltà sarebbero le
migliori risposte al rischio di contagio ma, quando sono impossibili, meglio ricorrere alla C che non
fare nulla.
Alla Abc aveva dato il suo sostegno, nel 2005, anche il segretario generale e portavoce della
Conferenza episcopale spagnola, il gesuita Juan Antonio Martínez Camino, immediatamente
smentito dal Vaticano. Non appena le aperture al condom dalla periferia alla Chiesa hanno
minacciato di “intaccare” qualche realtà importante e significativa, la Santa Sede è infatti
intervenuta subito con grande durezza: era accaduto così con i vescovi francesi nel 1989 e con
quelli brasiliani nel 2000.
E l’intolleranza verso le voci dissenzienti si è fatta più dura negli ultimi anni: ne sa qualcosa il
vescovo sudafricano Kevin Dowling, vescovo della periferica diocesi di Rustenburg, in uno dei
Paesi più colpiti al mondo dall’epidemia di Hiv. Malgrado l’appoggio dell’arcivescovo di Durban,
Dowling ha ricevuto il richiamo ufficiale della Santa Sede. Questo, però, non basta a fargli
abbassare la voce: «L’uso del preservativo è sempre stato considerato un argomento di moralità
sessuale. La mia esperienza sul campo mi dice che è piuttosto una questione di giustizia e di etica,
di diritto alla vita, di protezione della vita».