La fede rende tutti liberi di credere (o di non credere)

intervista a Fulvio Ferrario, a cura di Giampiero Comolli
in “l’Unità” del 19 marzo 2009

Dall’ovulo appena fecondato al malato in coma irreversibile, la vita umana va difesa in tutto il suo
corso «naturale», se necessario anche contro la libera autodeterminazione della persona. Dichiarata
non negoziabile, questa difesa a oltranza della sacralità della vita porta la Chiesa cattolica, e le forze
politiche che ad essa si adeguano, a incrinare il principio della laicità dello Stato, in base al quale le
leggi che regolano la convivenza civile, e quindi anche il nascere e il morire, devono risultare da un
libero confronto fra diverse visioni del mondo, e non possono limitarsi a seguire il magistero di una
chiesa. Ma il cristianesimo non coincide col cattolicesimo. E infatti le Chiese del protestantesimo
storico difendono da sempre e con forza i principi della libertà e della laicità. Perché? In base a
quale teologia? Sui media nazionali la posizione protestante non appare praticamente mai, come se
l’alternativa dovesse giocarsi solo fra cattolici e non credenti. A maggior ragione abbiamo pensato
di ascoltare il pastore Fulvio Ferrario, docente di dogmatica presso la Facoltà Valdese di Teologia di
Roma.

Professor Ferrario, molti pensano che la fede religiosa implichi sottomissione, obbedienza a
comandamenti e precetti. L’insistenza protestante sulla libertà e la laicità dipende allora da
ragioni solo politiche? O le Chiese della Riforma ritengono che vi sia un nesso proprio tra fede
e libertà?

«La fede rende liberi. L’ascolto della Parola di Dio, contenuta nella Scrittura, ci rivela infatti che noi
non siamo obbligati, ma chiamati alla libertà di credere. Occorre però distinguere vari livelli di
libertà. In primo luogo quello della collettività civile rispetto ai diktat ecclesiastici. Intendiamoci, la
Chiesa cattolica è libera (appunto) di intervenire nella discussione pubblica nei termini che essa
ritiene più opportuni, anche se personalmente preferirei che non lo facesse accusando di assassinio
chi la pensa diversamente. Essa deve sapere, però, che in Italia convivono diverse religioni e visioni
del mondo. Prendere sul serio tale fatto è un dovere civile e anche una testimonianza cristiana. Vi è
poi la libertà dei credenti davanti a Dio. Secondo la Bibbia, essa nasce precisamente (anche se
sembrerà strano a molti) dal comandamento di Dio. Di Dio, non del papa. Il comandamento di Dio
risuona nella Bibbia, letta in ascolto dei drammi e delle sfide del nostro tempo. Esso chiama alla
fedeltà, che però è creativa, libera appunto, non servile».

La Chiesa cattolica fa derivare la propria dottrina morale dall’esistenza di una supposta legge
naturale, di cui sarebbe unica legittima interprete. I protestanti invece, che non si richiamano
ad alcuna legge naturale, su quali basi fondano il loro agire? Esistono dei principi morali
protestanti o un’etica protestante?

«Non credo che un’etica cristiana (quella “protestante” vuol essere solo questo) possa basarsi su
“principi”. Naturalmente esistono – dai Dieci Comandamenti a molte parole di Gesù – orientamenti
di fondo, che però restano astratti (si pensi, precisamente, all’uso del “non uccidere” da parte di
alcuni ambienti cattolici), finché non li si legge nel vivo delle sfide di oggi. Il comandamento esige,
lo ripeto, una risposta (il termine “responsabilità” viene da qui) al tempo stesso fedele e creativa. La
domanda che guida l’etica cristiana è: che cosa avrebbe fatto, in questo caso, Gesù? Chi ha letto il
Nuovo Testamento sa che tale domanda è molto meno ingenua di quanto appaia a prima vista.
Naturalmente non posso imporre la mia risposta, in particolare a chi non vede in Gesù il proprio
riferimento decisivo. Posso però proporla, nel dibattito pubblico; e anche se venisse messa da parte,
posso testimoniarla ».

Il principio della sacralità della vita porta la Chiesa romana a proclamare inviolabile anche il
puro corpo biologico, in quanto dono di Dio. Ma la Parola biblica, fondamento della fede per
tutti i cristiani,cosa ci dice a proposito del corpo, e più in generale del vivere e morire?

«Intanto, credo che la categoria di sacralità aiuti sempre poco; applicata alla vita biologica
(ammesso che si sia d’accordo su come definirla) confonde, più che chiarire. La Bibbia chiama
“vita” l’esistenza umana vista nel suo rapporto con Dio. Nell’Evangelo di Giovanni, la stessa vita
terrena, intesa in questo rapporto, viene spesso chiamata “eterna”. La vita biologica è evidentemente
il presupposto materiale per la “vita” in senso biblico, e dunque ci chiama a una responsabilità
decisiva. Rispetto al morire, la testimonianza della Scrittura presenta spesso una serenità che noi
abbiamo perso: il morire fa parte della vita, anche nell’Antico Testamento, dove in generale
l’orizzonte della risurrezione non è centrale. La fede cristiana, in ogni caso, legge la vita terrena,
nella sua fragilità e nella sua ambiguità, come una promessa. In Gesù, Dio si lega a questa vita e alle
sue precarietà. Non ne risolve gli enigmi come per magia, ma la prende con sé. Fino alla morte e
oltre».