LIBERTÀ DI COSCIENZA E LIBERTÀ DI PREPOTENZA

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Durante la discussione in Commissione Sanità del Senato del disegno di legge sul testamento biologico, ha fatto la sua ricomparsa la questione della libertà di coscienza nel votare o meno un certo provvedimento. Subito si è levato un coro di voci politiche e giornalistiche a difendere il diritto dei parlamentari di dare sulle questioni, come si usa dire, eticamente sensibili, un voto che prescinda da ogni indicazione di partito. Credo, però, che occorra stare in guardia dalla retorica della libertà di coscienza come da ogni altra forma di retorica, specialmente quando ad adoperarla sono furbi politicanti o persone del tutto intolleranti nei confronti delle coscienze altrui.

Intanto, per prima cosa, conviene osservare che in questo caso si invoca la libertà di votare una legge in palese contrasto con precisi articoli della Costituzione italiana, della Carta europea dei diritti dell’uomo e di convenzioni internazionali che l’Italia si è impegnata a rispettare. Naturalmente nessuno contesta ai parlamentari il diritto di votare come meglio credono, anche se poi certe leggi dovranno essere inevitabilmente portate al vaglio della Corte costituzionale e, se necessario, sottoposte a referendum. Ma non si faccia appello, quando si compie un atto chiaramente incostituzionale, alle ragioni della coscienza, perché la coscienza non può essere ridotta al ruolo di una prostituta che si accomoda alla necessità politiche di questo o di quello. È stato giustamente detto che proporre e votare una legge che nega ai cittadini il diritto, costituzionalmente sancito, di decidere liberamente circa il modo di affrontare le proprie malattie, sarebbe come negare loro il diritto di praticare la religione in cui credono o di esprimere, su qualsiasi questione, le opinioni che ritengono più opportune. E tutto questo in nome di una superiore eticità di cui alcuni si ritengono portatori e custodi, non si sa bene in virtù di quale particolare e privilegiata intuizione morale.

È davvero strano come molti, magari in buona fede, non si rendano conto che la libertà di ogni coscienza deve arrestarsi di fronte alla libertà di tutte le altre e che ci è lecito agire secondo i nostri principi, ma non fino al punto di costringere gli altri a compiere azioni che violano i loro. Costoro forse non sono consapevoli che l’umanità, dopo aver riconosciuto, almeno in alcune aree del pianeta e non senza lotte sanguinose, il pluralismo religioso, si trova oggi di fronte alla necessità di riconoscere e accettare un innegabile pluralismo morale, prendendo atto, anche sul piano giuridico, che ci sono molti modi di perseguire una vita buona, ma che in nessun caso può essere ritenuta buona una vita a cui si nega l’autonomia delle scelte nel rispetto, s’intende, di quelle altrui.

Quando ci si mette sul terreno delle leggi positive, tutto è negoziabile e i compromessi possono essere inevitabili e perfino positivi, ma non si può scendere a compromessi, in nome della libertà di prepotenza sulle coscienze altrui, sul principio ultimo e non relativo di ogni autentica moralità, che è la libertà di decidere circa il modo di vivere la propria vita e di affrontare la propria morte. Chi, senza essere in alcun modo costretto a vivere secondo principi morali che non sono da lui condivisibili, pretende di imporre agli altri uno stile di vita che giudica l’unico oggettivamente valido, trasforma la sua presunta libertà di coscienza in volontà di sopraffazione attraverso una legge civile che, così imposta, perde moralmente la sua legittimità, anche se risulta ineccepibile dal punto di vista del formalismo giuridico. Così almeno giudicano, senza sofismi e contorcimenti dialettici, gli uomini liberi.

Se così si ragiona, è del tutto evidente che anche sulle questioni morali che implicano la tutela delle fondamentali libertà i civili, i partiti non solo hanno il diritto, ma anche il dovere, di esprimere chiaramente la loro posizione, invitando i loro parlamentari ad agire in coerenza con quanto il partito ha deliberato. Costoro potranno naturalmente rifiutarsi di farlo, ma, a questo punto, un partito che non sia una semplice associazione per il conseguimento del potere, ma un gruppo organizzato di uomini che condividono una comune idea della società, deve ritenere i dissidenti ormai estranei al partito stesso. Un partito serio e coerente non è un autobus sul quale i dirigenti scendono e salgono a piacere.

Venendo alla questione del testamento biologico, il partito democratico deve dirci con chiarezza se continuerà a sostenere il disegno di legge di Ignazio Marino oppure è pronto a sottoscrivere emendamenti come quello presentato da Rutelli o altri simili che potrebbero essere formulati da qualche politicante che poco si cura della volontà di chiarezza dei cittadini. Ci deve essere un limite a tutto, anche alla volontà di tenere assieme l’inconciliabile, laicità e clericalismo. Il partito democratico è nato per unire credenti e non credenti, purché tutti sinceramente laici, vale a dire sostenitori di una libertà di coscienza che non viene proclamata unicamente allo scopo di opprimere le coscienze altrui. Se invece, come pensava Veltroni, l’incontro deve comprendere anche i clericali che si fingono democratici, allora vuol dire che questo partito è già maturo per il definitivo dissolvimento. E agli elettori non resterà che prenderne atto senza troppi rimpianti.