Acqua: bisogno o diritto?

di Cristina Papa
da www.womenews.net

5 milioni di persone, soprattutto donne e bambini, muoiono ogni anno per malattie relative alla qualità dell’acqua

L’acqua è un bisogno o un diritto? Non lasciatevi ingannare dall’apparente innocenza di questa domanda perché dalla risposta della comunità mondiale dipende, letteralmente, la vita di milioni di persone (e animali) in tutto il pianeta.

Il crescente bisogno di acqua per la produzione di merci contrapposto al bisogno delle popolazioni locali di idratarsi, lavarsi, mantenere condizioni igieniche degne, e coltivare il cibo, è ormai alla base di molti conflitti che vedono contrapposti stati contro stati e multinazionali contro comunità di cittadini.

Nazioni unite e Banca mondiale sembrano ormai orientate a considerare l’acqua un bisogno dell’essere umano (e degli animali, che nessuno cita mai) aprendo così la strada alla equiparazione delle risorse idriche ad una qualsiasi merce.

Nonostante l’acqua sia alla base della vita di qualsiasi essere vivente, quello di diritto all’acqua è un concetto relativamente nuovo, che non appare tra quelli menzionati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e che si affermerà progressivamente.

E’ infatti a partire dal 1968 che se ne comincia a discutere, anche se la piena definizione dell’acqua come diritto avviene solo nel 2002 con la Dichiarazione di Porto Alegre in occasione del Forum Sociale Mondiale.

E’ in quella sede infatti che viene dichiarato che l’acqua del pianeta Terra appartiene a tutte le specie viventi e perciò non deve essere trattata come una merce.

Per la prima volta viene affermato sul piano universale che l’Acqua è un un diritto individuale e collettivo inalienabile che non può essere sottoposto a nessuna costrizione, né di natura sociale (di sesso, età, reddito), né di natura politica, religiosa o finanziaria. Il costo per garantire a tutti questo diritto deve essere finanziato dalla collettività.

Nonostante movimenti locali e società civile abbiano ormai preso coscienza dell’importanza di preservare dall’eccessivo sfruttamento e dall’inquinamento le risorse idriche della comunità, l’accesso all’acqua potabile resta ancora molto difficile per grandi fasce di popolazione dei paesi più poveri mentre potenti multinazionali come la Nestlé tentano di privatizzare sorgenti, fiumi, laghi.

Secondo dati dell’Unicef ogni giorno 1.5 miliardi di persone accedono con difficoltà alle risorse idriche mentre secondo Greencross Italia 5 milioni di persone, soprattutto donne e bambini muoiono ogni anno per malattie relative alla qualità dell’acqua.

In occasione del 5° Forum dell’acqua che terminerà il prossimo 22 marzo a Istambul, l’Onu ha pubblicato la terza edizione del Rapporto mondiale sull’acqua “L’Acqua in un mondo in continuo cambiamento” (solo in inglese) secondo il quale la domanda di questo liquido vitale è in aumento mentre l’accesso all’acqua potabile, a quella per i servizi igienico-sanitari e per la produzione alimentare resta insufficiente in gran parte dei paesi in via di sviluppo.

Da sempre le donne svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione e nell’amministrazione delle risorse idriche e spesso sono le prime vittime quando le scelte dissennate di privatizzazione delle fonti idriche rendono difficile l’approvigionamento di questa indispensabile risorsa (che le costringe ad estenuanti percorsi per consentire il sostentamento della famiglia e degli animali).
Per questo Onu, Unicef e Unesco, oltre alle Ong, riconoscono il fatto che l’esclusione delle donne dal processo di pianificazione delle condutture idriche e dagli schemi per il miglioramento delle condizioni igieniche costituisce una delle ragioni principali per l’elevata percentuale di malfunzionamenti che in esse si verificano.

Allo scopo di migliorare la salute e la qualità della vita per le donne, i programmi idrici e per il miglioramento delle condizioni igieniche dovranno concentrarsi sulla riduzione del tempo e delle energie necessarie alle donne per raccogliere l’acqua, e favorire inoltre la partecipazione femminile al processo decisionale delle comunità per quanto riguarda le risorse di questo bene.