RATZINGER DILETTANTE E BERLUSCONI CLERICO-FASCISTA

Difficile negare l’importanza della inusuale lettera di papa Ratzinger ai vescovi sulle divisioni che minano la pace all’interno della Chiesa cattolica

di Marcello Vigli

Ne emergono inequivocabilmente sia un’esplicita denuncia che esse l’attraversano dai vertici alla base, sia il riconoscimento che si accompagnano ad una inadeguatezza del papa assistito da una Curia, a dir poco, incompetente e inefficiente. In altra sede ci si può interrogare sugli effetti all’interno della comunità ecclesiale, qui se ne possono valutare gli esiti sulle dinamiche politiche nel nostro Paese anch’esse attraversate da un inusuale scambio di epiteti “ingiuriosi” fra Berlusconi e Franceschini.

Le invettive del cavaliere contro i catto-comunisti sono di antica data e non destano più meraviglia. Il ricorso all’accusa di clerico-fascismo, propria fin qui di alcuni “estremisti” di sinistra o di “laicisti” impenitenti, è inusuale, invece, per un esponente delle forze, di matrice cattolica e non, confluite nel Partito democratico. Un’intemperanza o un dovuto, pur se tardivo, riconoscimento dell’intreccio fra autoritarismo berlusconiano, interventismo politico delle gerarchie cattoliche e protagonismo dei movimenti ecclesiali? Se si trattasse di questo riconoscimento, potrebbe aprirsi una fase nuova nella politica italiana perché va a intrecciarsi con la crisi del sistema di presenzialismo costruito da papa Woytjla.

In Vaticano ha imposto una Curia sempre più autoreferenziale e riempito il Conclave degli elettori responsabili dell’elezione di un papa che si sta rivelando inadeguato. Alla Chiesa italiana ha regalato cinque lustri di dominio del cardinale Ruini, che ha fatto della Cei un soggetto politico schierato per la confessionalizzazione delle Istituzioni in una prospettiva antidemocratica, ed ha imposto una gestione centralistica e burocratica della Comunità ecclesiale che ha reso subalterno l’episcopato ed emarginato il laicato.

Di questa crisi danno la misura, in Italia, le crescenti reazioni critiche all’impietosa intransigenza sul caso Englaro, le aspre polemiche sulla legittimazione del negazionismo dell’Olocausto e infine la compiaciuta e diffusa disinvoltura con cui hanno definito il papa (dilettante, inadeguato, isolato…) i commentatori della sua lettera, che pure ha una sua drammatica dignità, nel rilevarne l’importanza per la vita della Chiesa cattolica romana .

Essa può offrire, come scrive Nicola Fiorita sul Manifesto del 14 marzo, pericolosi spazi di manovra ai settori più organizzati e più spregiudicati dell’episcopato, e spingere la Chiesa italiana a costruire una sua egemonia globale.

Si può aggiungere, però, che la scoperta dell’incapacità del papa a fare il papa può al tempo stesso sollecitare il cattolicesimo di casa nostra, imbrigliato dalla gestione ruinizzata della Chiesa italiana, a ritrovare la sua vivacità e ad assumersi la responsabilità dei De Gasperi, Dossetti e Andreatta. Indisponibili ad essere braccio esecutivo della gerarchia non caddero nell’aberrante equivoco dell’integralismo per il quale il compito del cattolico impegnato in politica non è la ricerca del bene comune nel rispetto pluralismo e dei valori costituzionali, ma è, invece, la traduzione in legge dei principi morali dichiarati irrinunciabili dalla gerarchia o, peggio, la difesa degli interessi economici dell’istituzione ecclesiastica.

Molto ridotto è il margine fra clerico-fascismo e integralismo: chi vuole combattere il primo, per essere credibile deve combattere anche il secondo.