ESPRIMERE OPINIONI SI PAGA CON LA SOSPENSIONE

da Adista Documenti n°32 del 21 marzo 2009

È certamente un segno dei tempi la sospensione dal ministero sacerdotale di Luiz Couto, prete dell’arcididiocesi di Paraíba e deputato federale del Pt (Partito dei lavoratori). Di tempi che molti vorrebbero lasciarsi il prima possibile alle spalle. Il provvedimento è stato adottato dall’arcivescovo dom Aldo Pagotto in seguito alle dichiarazioni di Couto – rilasciate al portale Congresso em Foco e riprodotte dal quotidiano O Norte il 25 febbrario scorso – in difesa degli omosessuali, della non obbligatorietà del celibato sacerdotale e dell’uso del preservativo. E continuerà ad avere effetto fino a quando il prete non ritratterà esplicitamente le sue dichiarazioni. Importa poco a dom Pagotto che tali posizioni siano tutt’altro che isolate all’interno della Chiesa – tant’è che ha gioco facile Luiz Couto a ricordare le analoghe dichiarazioni del vescovo Clemente Isnard sul celibato opzionale e addirittura del card. Arns sull’uso del preservativo come “male minore” -: secondo l’arcivescovo, come si legge nella sua Nota Ufficiale, Luiz Couto ha comunque provocato “confusione tra i fedeli cristiani” e contraddetto “in nuce gli orientamenti dottrinali, etici e morali sostenuti dalla Chiesa cattolica”. Importa poco a dom Pagotto anche che il prete sia stato minacciato di morte per aver denunciato l’azione dei gruppi di sterminio nell’apposita Commissione parlamentare di inchiesta e che sia proprio lui il primo da uccidere dopo l’assassinio dell’avvocato Manoel Mattos lo scorso 24 febbraio, alla frontiera tra Paraíba e Pernambuco.

“Considero la sospensione ingiusta e severa – ha dichiarato Couto al Congresso em Foco il 9 marzo -. Secondo alcuni canonisti sarebbe anche nulla”, in quanto “il vescovo avrebbe dovuto prima usare altri strumenti, come esortazioni, persuasione, rimprovero. Non ho commesso alcun delitto, ho solo manifestato un’opinione che altre persone avevano già espresso”. “Per me – ha proseguito il prete – l’eucaristia è il grande alimento che rafforza la mia lotta politica, contro le ingiustizie e l’oppressione. Privandomi di essa, è come se avessero tolto ossigeno alla mia vita. Ho detto al vescovo che non c’era motivo di punirmi in questo modo. Spero possa rivedere la sua decisione”. Anche perché, ha detto, “c’è molta gente che sta effettivamente lavorando perché la punizione sia rivista”. Di solidarietà Luiz Couto ne ha ricevuta tanta e da ogni parte: grandi attestati di stima per la sua instancabile lotta in difesa dei diritti umani gli sono giunti dal suo partito e dall’opposi-zione, dalla Commissione Pastorale della Terra (che ha pure accusato l’arcivescovo di non aver mai espresso alcun tipo di appoggio al prete minacciato di morte), dall’Associazione brasiliana di Gay, Lesbiche, Bisessuali, Travestiti e Transessuali, dai movimenti sociali dello Stato. Una mobilitazione a cui l’arcivescovo ha così risposto: “Ciò non mi tocca, non mi dà emozioni, né mi infastidisce”.

Figlio di lavoratori rurali senza terra, Couto è stato ordinato sacerdote nel 1976, prendendo come punti di riferimento teologi della Liberazione e grandi vescovi come José Maria Pires, noto anche come Dom Pelé, e Marcelo Pinto Carvalheira. Nel 1985 è entrato nel Pt, facendosi eleggere per due volte deputato statale prima di arrivare al Congresso. Al suo secondo mandato parlamentare, egli presiede la Commissione di Diritti Umani e delle Minoranze, già guidata nel 2007, con l’obiettivo di dar spazio, afferma, “a tutto ciò che riguarda il rispetto per la dignità dell’essere umano, la vita, la libertà, la lotta all’intolleranza e alla discriminazione”, ma anche alla lotta contro il crimine organizzato e le milizie armate e alle questioni della violenza contro le donne, del razzismo e della tortura. Interrogato da Congresso em Foco sul caso dell’aborto della bambina di nove anni stuprata dal patrigno, altro caso che ha scosso duramente la Chiesa brasiliana (v. notizia sul numero blu 31/09), Couto ha risposto: “La mia posizione è contraria all’aborto. Ma non è con la scomunica che si risolve. Deve esserci dialogo, misericordia. C’è una legge che, in caso di stupro, permette l’interruzione della gravidanza. Ed è comprensibile nel caso di questa bambina che non aveva condizioni effettive per diventare madre” (claudia fanti).

Di seguito la lettera scritta da Luiz Couto dopo la sua sospensione e un commento del teologo brasiliano Marcelo Barros.

OBBEDIENZA, NON SOTTOMISSIONE
di Luiz Couto

Fratelli e sorelle,

all’inizio della Quaresima e in apertura della Campagna di Fraternità del 2009, ho avuto la sorpresa della mia sospensione dalle attività sacerdotali di questa amata arcidiocesi. Sono rimasto stupito dal fatto che la decisione di sospendermi dall’esercizio ministeriale fosse data sommariamente e pubblicizzata sulla stampa locale prima che io fossi previamente ascoltato, giacché ero sicuro che il giorno successivo mi sarei incontrato con l’arcivescovo. Solamente il 26 febbraio, alle 16.20, ho ricevuto il comunicato ufficiale dell’arcidiocesi. Stando così le cose, vengo ad offrire alcuni chiarimenti.

Sono prete di questa Chiesa particolare dal 1976 e mi sono dedicato al ministero sacerdotale con molto impegno, occupandomi di diverse attività, come parroco, come professore e oggi come deputato federale. Non ho mai avuto dubbi che la mia opzione di vita fosse il sacerdozio, che io ho vissuto su molti fronti. Ho avuto la grazia di diventare un rappresentante del popolo del Paraíba, quando ho messo il mio nome a disposizione del Partito dei Lavoratori per un mandato parlamentare. Sono stato eletto deputato statale per due volte e deputato federale per due legislature. La cosa più gratificante è il servizio che posso prestare al popolo brasiliano, specialmente del mio Stato.

La mia ordinazione mi ha configurato a Gesù Cristo. La sua causa è la mia causa. Per questo, non temo le minacce che mi vengono rivolte. Se sono nella lista delle persone da uccidere è perché, come prete e come deputato, non posso tacere di fronte alle ingiustizie e alle violazioni di diritti umani. Quello che mi dà forza per continuare a denunciare le arbitrarietà è il Vangelo, è l’invito di Gesù a seguirlo in difesa degli esclusi della società.

La mia sospensione dalle attività sacerdotali è dovuta all’intervista uscita sulla rivista elettronica Congresso em Foco il 14 febbraio e riprodotta dal quotidiano O Norte il 26 febbraio. Quello che viene detto nell’intervista è già dibattuto in seno alla Chiesa. Vi dico con sincerità che non mi aspettavo questa punizione che mi impedisce di celebrare l’Eucarestia che è l’ossigeno e la motivazione esistenziale del mio Munus sacerdotale nella comunione con Dio, con la Chiesa e con il popolo. Alcuni punti dell’intervista meritano alcune considerazioni, che io avevo fatto ma che sono assenti nel citato quotidiano. Ora ho l’opportunità di chiarire.

Primo: Il celibato è un valore nella vita della Chiesa. Molti di quelli che vivono il celibato conducono una vita esemplare che è motivo di ispirazione. Pertanto, non è il celibato che metto in discussione, ma la sua obbligatorietà. Quando il celibato è imposto ed è obbligatorio può essere causa di sofferenze umane non necessarie. Il celibato accettato come carisma è benedetto e il celibato obbligatorio e imposto può diventare un martirio silenzioso. Questo tema è già stato abbastanza discusso nella Chiesa e continua ad esserlo. Recentemente, il vescovo Clemente Isnard ha parlato della questione in un libro intitolato “Riflessioni di un vescovo” (v. Adista n. 54/08, ndt). E il teologo american
o Donald Cozzens ha scritto un libro dal titolo “Liberare il celibato”. Tuttavia, quello che dico nell’intervista non svaluta la disciplina del celibato.

Secondo: Per quel che riguarda gli omosessuali, noi dobbiamo amarli come fratelli. Oggi, a causa della crescente omofobia, diventa più che mai necessario lo spirito di tolleranza. In caso contrario assisteremmo a sfilacciamenti del tessuto della società civile con conseguenze funeste per la convivialità e per il rispetto necessario. Come prete e deputato, lotto per la tolleranza e contro la discriminazione del diverso. Nessuno può essere privato dei suoi diritti per il fatto di essere omosessuale. Gesù di Nazaret ha mostrato che il rispetto per la dignità umana è il rimedio per combattere l’intolleranza e la discriminazione.

“Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio” (Gs 29). La pedagogia di Gesù era una pedagogia dell’accoglienza. Poco importava chi fossero i suoi ascoltatori: bastava che avessero orecchie aperte per accogliere la sua parola e un cuore aperto per iniziare il cammino di adesione al Regno.

In questa società omofobica gli omosessuali sono costretti al silenzio. Si libera dai pregiudizi solo chi è capace di restituire la parola a quelli che sono fatti tacere. La tolleranza nei confronti degli omosessuali è prima di tutto un’esi-genza etica. Rappresenta il diritto che deve essere riconosciuto ad ogni persona.

Terzo: L’epidemia di Aids è una realtà che interpella la Chiesa nella sua morale. La morale è una realtà pratica che ha delle conseguenze. Ci confrontiamo costantemente con i due poli della Morale Ideale predicata dalla Chiesa, da un lato, e della realtà, dall’altro. L’ideale della morale della Chiesa deve essere visto come una meta che permette di orientarsi. In questa prospettiva, nessuno si sente colpevolizzato o disobbediente per non realizzare quanto viene proposto, ma ognuno sa dove dirigersi. L’ideale sarebbe che nessuno venisse contagiato dall’Aids, ma la realtà è un’altra. A causa del crescente numero di vittime di malattie sessualmente trasmissibili, il preservativo diventa una questione di salute pubblica, come nel caso della gravidanza nell’adolescenza. Mi ricordo di un’intervista in cui il card. Arns, negli anni ’90, disse che il preservativo era un male minore. E il cardinale non mancò in nessun momento di rispetto alla dottrina della Chiesa.

Come prete, so che il vescovo è il pastore della Chiesa, per questo nel giorno della mia ordinazione ho giurato obbedienza al mio vescovo. Ma l’obbedienza intesa nel suo significato teologico comprende la capacità di dialogare senza sottomissione. Come ricorda dom Tomás Balduino, “l’autorità della Chiesa ha mille cammini per dialogare con il sacerdote”.

Che il Dio della misericordia, della tenerezza, della bontà e dell’amore mi conceda, in questa Quaresima, la serenità delle Beatitudini perché possa affrontare questa mia sofferenza che mi porterà alla gioia della Pasqua.


SCOMUNICA E DIALOGO

di Marcelo Barros

In questo mese di marzo, le comunità cristiane popolari celebrano la preziosa memoria del martirio di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato da militari legati al governo del Paese. Il crimine è stato quello di aver consacrato la sua vita alla difesa intransigente dei più poveri e perseguitati dal regime. Oscar Romero ed Hélder Câmara sono stati i vescovi latinoamericani che più si sono impegnati a mettere in pratica il rinnovamento della Chiesa proposto dal Concilio Vaticano II (chiuso nel 1965) e da loro attualizzato per l’America Latina nella famosa Conferenza dei vescovi di Medellín (1968).

Da allora, molte cose sono cambiate nella Chiesa e nel mondo. Nella sua commovente lettera circolare del 2009, dom Pedro Casaldáliga comincia citando il cardinal Martini, ex arcivescovo di Milano, che, in un libro-intervista, ha dichiarato di non avere più gli stessi sogni rispetto al rinnovamento della Chiesa. Dom Pedro ne contestualizza il significato e spiega: “Lui e milioni di persone nella Chiesa sognano un’‘altra Chiesa possibile’ al servizio dell’‘altro mondo possibile’”.

Infatti, in Brasile, grazie a Dio, continuiamo ad avere esempi di vescovi – tanto fra i più anziani, quanto fra i più giovani – semplici, senza poteri né averi, aperti al dialogo con il popolo, sensibili nei confronti dei poveri e che, pur in una congiuntura sfavorevole e a volte contraria, cercano di seguire gli orientamenti del Concilio Vaticano II, come faceva ed esortava a fare mons. Romero.

Vanno in senso contrario a questo spirito due diverse notizie che hanno sorpreso il popolo brasiliano. Dom José Cardoso, arcivescovo di Olinda e Recife, ha scomunicato pubblicamente medici, infermieri e persino la madre di una bambina di nove anni che, incinta di due gemelli, è stata sottoposta ad aborto chirurgico clinicamente raccomandato e d’urgenza. Secondo il medico, sarebbero morti sia lei che i figli se non si fosse fatta l’operazione. Poiché l’arcivescovo Cardoso ha condannato i medici e non una parola ha detto sul patrigno che ha stuprato la bambina, i giornalisti gli hanno chiesto conto delle sue affermazioni. Egli ha risposto: “Lo stupro è un crimine meno grave dell’aborto”.

Negli stessi giorni, a João Pessoa, l’arcivescovo dom Aldo Pagotto ha sospeso dal sacerdozio padre Luiz Couto, deputato federale fra i più votati nello Stato, perché questi ha dichiarato in un’intervista di essere favorevole all’uso del preservativo e alla possibilità del matrimonio per i sacerdoti (celibato libero e facoltativo). E proprio in questo momento il padre Couto, coordinatore della Commissione dei Diritti Umani che indaga sui crimini dei gruppi di sterminio, è minacciato di morte dagli squadroni alla frontiera dello Stato, i cui membri, la settimana passata, hanno già ucciso il vice-presidente del Pt (Partito dei Lavoratori) in Pernambuco.

I mezzi di comunicazione hanno commentato questi casi, in generale, parlando di una Chiesa che sta attraversando un “periodo di tenebre” (Alberto Dines) o che fa ritorno a un regime dell’inquisizione, e così via. Non è giusto.

A parte il fatto che la Chiesa è una realtà molto più grande e complessa, questi due vescovi non rappresentano il modo di essere e di agire della maggioranza dei vescovi brasiliani. Molti di essi sono conservatori, ma non crociati di un’ideologia assolutista confusa con il Vangelo.

Al tempo di mons. Romero, la proposta della Chiesa era quella di passare da questa cultura della scomunica, per tale o tal’altra questione, ad una posizione radicale di dialogo. Papa Paolo VI diceva che il dialogo è stato iniziato da Dio e che tutto si dovrebbe cercare di risolvere, in primo luogo, con il dialogo. Ha avuto grande successo in tutto il mondo un libro intitolato “Dall’anatema al dialogo” di Roger Garaudi.

Dall’alto dei suoi ottant’anni e oltre, nella sua lettera alle comunità dom Pedro Casaldáliga riafferma: “Come Chiesa vogliamo vivere, alla luce del Vangelo, la passione ossessiva di Gesù, il Regno. Vogliamo essere Chiesa dell’opzione per i poveri, comunità ecumenica e anche macroecumenica. Il Dio nel quale crediamo, l’Abbà di Gesù, non può essere in nessun modo causa di fondamentalismi, di esclusioni, di inclusioni fagogitanti, di orgoglio proselitista. Smettiamo di fare del nostro Dio l’unico vero Dio. ‘Mio Dio, mi lasci vedere Dio?’ (…). La Chiesa sarà una rete di comunità oranti, (…), una Buona Novella di vita, di libertà, di comunione felice, di misericordia, di accoglienza, di perdono, di tenere
zza, samaritana al fianco di tutti i cammini dell’umanità. Continueremo a fare in modo che si viva nella prassi ecclesiale l’avvertimento di Gesù: ‘Fra di voi non sia così’ (Mt 21,26). L’autorità sia servizio”