Genocidio armeno, Obama tentenna

di Alessandro Ursic
da www.peacereporter.net

Succede quasi ogni anno, a inizio primavera. La lobby armeno-americana preme, la risoluzione viene presentata al Congresso, il presidente si trova davanti al dilemma se usare ufficialmente quella parola voluta da Yerevan ma negata da Ankara: genocidio. La questione del massacro degli armeni nelle ultime fasi dell’impero ottomano è ora sul tavolo di Barack Obama, che sembra esitare. Perché in campagna elettorale ha promesso qualcosa che potrebbe non essere in grado di mantenere.

“Il genocidio armeno non è una versione, un’opinione personale, un punto di vista, ma un fatto ampiamente documentato e supportato da una schiacciante quantità di prove storiche”, ha detto il candidato Obama l’anno scorso. Il vicepresidente Joe Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton hanno anche abbracciato la causa del genocidio. Ma una volta entrata in carica, la nuova amministrazione non si è espressa sull’argomento. Dovrà farlo presto, scegliendo da che parte stare. Il 5 aprile Obama andrà in Turchia, nella prima visita ufficiale a un Paese musulmano da quando è presidente; il 24 aprile ricorre il 94esimo anniversario delle prime deportazioni degli armeni, data da loro commemorata come l’inizio del genocidio. In quel giorno, è tradizione che la Casa Bianca si esprima con un comunicato.

Il problema di Obama è che, come capitato ai suoi predecessori (solo Ronald Reagan usò la parola “genocidio”), la Turchia è un alleato Nato fondamentale, particolarmente importante quando il Medio Oriente ribolle. Già i bombardamenti israeliani su Gaza hanno reso più difficile la situazione: il premier turco Recep Tayyip Erdogan li ha condannati con parole durissime, giocando sul forte sentimento anti-israeliano in patria. E Washington ha bisogno dell’appoggio di Ankara su una serie di questioni che vanno dalle guerre in Afghanistan e in Iraq ai rapporti con l’Iran. Due anni fa, l’amministrazione Bush convinse il Congresso a lasciar cadere la risoluzione, sostenendo che la sicurezza delle truppe statunitensi in Iraq dipendeva anche dal sostegno turco. Era ancora vivo il ricordo dello sberleffo ai tempi dell’invasione, nel 2003, quando Ankara negò l’uso della base Nato di Incirlik ai jet Usa.

L’incontro tra il presidente turco Abdullah Gul e quello armeno Serzh Sarksyan, lo scorso settembreUna difficoltà aggiuntiva, per Obama, è rappresentata dal fatto che tra Turchia e Armenia sono in corso prove di disgelo. I due Paesi continuano a raccontare storie diverse su quanto successo novant’anni fa: per gli armeni fu un genocidio costato un milione e mezzo di morti, per i turchi le vittime armene furono 300mila – come quelle turche – e causate da “incidenti” avvenuti nel corso di una guerra civile. Ma negli ultimi mesi qualcosa si è sbloccato. Lo scorso settembre il presidente turco Abdullah Gul ha effettuato una storica visita ufficiale a Yerevan, e le due capitali si stanno accordando per istituire normali relazioni diplomatiche. Il confine tra i due Paesi, chiuso dai turchi nel 1993 per la guerra tra Armenia e Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh, potrebbe essere presto riaperto – secondo il quotidiano turco Sabah, l’annuncio verrà dato poco prima del 24 aprile. La stampa turca dà anche per probabile una visita ad Ankara del presidente armeno il prossimo novembre.

“In questo momento, la nostra priorità è capire come, guardando avanti, gli Stati Uniti possono aiutare l’Armenia e la Turchia a lavorare assieme per trovare un accordo sul passato”, ha detto un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale. Come dire: non abbiamo nessuna voglia di metterci in mezzo. I deputati statunitensi del Congresso che più spingono per una risoluzione – in particolare i democratici della California, dove è più presente la comunità armena – non sono d’accordo. “Stanno riproponendo l’ultima incarnazione dello stesso ritornello: che dovremmo riconoscere il genocidio – ma non quest’anno”, ha dichiarato Adam Schiff, uno dei firmatari della bozza presentata il 17 marzo. Insieme ad altri tre colleghi, ha anche scritto a Obama per chiedergli di mantenere la parola. “Nessun presidente dal dopoguerra a oggi è entrato in carica con una migliore comprensione dei fatti storici del genocidio, o con una più lunga storia di dichiarazioni franche su questo terribile capitolo”, si legge nella lettera. La risposta di Obama arriverà probabilmente a parole, ma nessuno sa ancora quali.