Una nazione corrotta

di Giovanni La Torre
da Critica liberale n° 159

Durante i primissimi anni ottanta del secolo scorso, quando il rapporto conflittuale tra Pci e Psi era al massimo, circolava una barzelletta in cui si parlava di un uomo che in un futuro imprecisato, comunque remoto, apre un’enciclopedia alla voce “Berlinguer” e legge «Berlinguer Enrico. Uomo politico italiano, è stato segretario … ( e via con l’indicazione delle cariche ricoperte e delle cose importanti che ha fatto) … ». La voce concludeva con «Visse all’epoca di Craxi».

Oggi la stessa storiella potrebbe riprendere a circolare, e potrebbe prevedere diverse versioni, dato che al posto di Berlinguer si potrebbero mettere di volta in volta Veltroni, D’Alema, Rutelli, Frisino, e così via. Il finale invece può essere uno ed uno solo: «Visse all’epoca di Berlusconi».
Appare incontestabile infatti che l’epoca apertasi nel ’94, che dura tuttora e durerà ancora chissà quanto, sia un’epoca caratterizzata dalla figura del cavaliere di Arcore.

E questo non solo e non tanto per gli anni trascorsi e che trascorrerà come capo del governo, ma perché in tutto il periodo, sia dalla scrivania di Palazzo Chigi sia da quella di casa quando era all’opposizione, è stato ed è lui a dettare l’agenda politica, a indicare le priorità, a conquistare insomma la scena, nella quale tutti gli altri, alleati o avversari, a turno o insieme, si riducono al ruolo di semplici comparse.

In conclusione di questo scritto diremo la nostra sul “perché e sul come” di un personaggio che all’estero viene definito “indegno”, “clown”, ecc., o che dà spettacoli del tipo del “cucù” fatto alla Merkel, o delle corna nelle foto di gruppo o, ancora, dell’offerta della propria ignara moglie ad altro capo di governo.

Oppure ancora, un personaggio che viene definito in una biografia distribuita dalla prima potenza mondiale in occasione di una riunione del G8 come «un politico dilettante di un paese corrotto» (anche se poi questo documento viene fatto smentire da un semplice “portavoce” della Casa Bianca), «un governante che racconta barzellette sugli ebrei», ecc..

Del perché e percome, dicevamo, un personaggio del genere sia riuscito a diventare, in quattro e quattr’otto, il padrone assoluto di uno dei paesi del G7. Di un paese, tra l’altro, che nellastoria non si è distinto solo per l’arte, la cultura, il diritto, ma anche per il suo “machiavellismo”, per le congiure di palazzo delle corti rinascimentali, ecc., cioè di un paese che è più bravo a far durare poco un governante che a farlo durare molto. Di un paese, inoltre, per venire ai nostri giorni, che ha ridotto molte volte al rango di “govemicchi” di breve durata i governi diretti da politici del calibro di De Gasperi, Moro, Fanfani, e che poi invece ha consentito di durare un’intera legislatura a quello presieduto dal Nostro.

Molto probabilmente, la prima cosa che verrebbe d’istinto di esclamare a chi di colpo vedesse questa situazione, penso sarebbe: “figuriamoci come sono scadenti o peggiori i suoi avversari!”, e non è escluso che sia la risposta giusta. Anzi molto probabilmente lo è, se si pensa pure che i sedicenti avversari sono persone che da decenni vivono e sono pagati per fare solo politica, cioè per imparare a far in modo che certe vergogne vengano risparmiate al nostro paese. Ed invece, niente! Comunque di questo abbiamo detto che parleremo meglio dopo.

Prima vogliamo brevemente vedere come è cambiato il panorama del sistema Italia in alcuni di quegli aspetti che caratterizzano il contesto in cui la competizione politica ed economica si svolge, e che quindi precedono, direi perfino sul piano logico, la formulazione e l’attuazione dei programmi politici concreti. Stiamo parlando della corruzione.

A questo proposito penso che vi sia un dato, di rilevanza internazionale, da cui si possa partire e che serve a sintetizzare l’evoluzione del nostro paese nel periodo considerato, ed è “l’Indice della Corruzione Percepita” calcolato e divulgato ogni anno da una benemerita agenzia che va sotto il nome di Transparency International.

Secondo questa agenzia internazionale il nostro paese negli anni 95-97, cioè negli anni in cui stavamo faticosamente uscendo da “tangentopoli”, si collocava tra il 30° ed il 34° posto nella classifica dell’onestà pubblica, un posto già assolutamente non brillante ma che oggi saremmo disposti a far carte false pur di recuperare, visto che nell’ultima classifica redatta nel 2008 siamo sprofondati al 55° posto con un voto largamente insufficiente di 4,8 (il voto va da 1 a 10).

Come si potrà notare, scorrendo tale classifica, veniamo superati anche da paesi come Sud Africa, Malaysia, Costa Rica, Capo Verde, Macao, Taiwan, Botswana, Malta, Cipro. Per trovare un paese a noi paragonabile dobbiamo risalire al 28° dove troviamo la Spagna con un bel 6,5, o al 2Y dove c’è la Francia con un bel 6,9.

Con la corruzione giunta a questi livelli, è doveroso fare alcune considerazioni. La prima è che a “rubare” non può essere una sola parte politica; la seconda è che è ormai eviden- te che li le somme dirottate verso garricchimenti privati sono sottratte sempre più alla ricerca, all’istruzione, alle pensioni, alla sanità, ecc..

La terza considerazione, parte dalla circostanza che le società di rating internazionali, quelle che valutano la qualità del debito pubblico, tra i parametri che prendono in considerazione mettono anche quello della corruzione, in quanto è considerato uno degli aspetti del cosiddetto “rischio paese”; pertanto se noi paghiamo per i Btp quasi 1,7% in più dei Bund tedeschi, questo è dovuto anche al fatto che la Germania viene ritenuta molto meno corrotta di noi (14° posto con voto di 7,9).

Queste semplici considerazioni ci inducono a ritenere che la corruzione sia la principale causa di quello che viene chiamato il “declino italiano”. Questa conclusione viene purtroppo avallata da un altro dato che vogliamo segnalare. Una nota società di consulenza americana, ha svolto e pubblicato l’anno scorso una ricerca dalla quale risultava che il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa quanto ad “appeal” per gli investimenti esteri.

E alla domanda del perché, le risposte degli operatori mettevano al primo posto la circostanza che in Italia c’era poca “trasparenza”, che in linguaggio internazionale vuol dire che c’è troppa corruzione. Solo dopo venivano quelle che invece alcuni nostri politici vogliono far credere essere le cause principali, e cioè il livello della tassazione e del costo del lavoro.

Questo peggioramento, drammatico per il nostro paese, va messo in relazione proprio con il “quindicennio berlusconiano”, cioè un periodo storico in cui il capo del governo ha pubblicamente affermato che l’evasione fiscale è “giustificata”, che il lavoro nero aggiuntivo è “consigliabile” per chi non ha salari alti, che quando lui faceva l’imprenditore edile andava a chiedere le concessioni edilizie ai funzionari comunali con “l’assegno in bocca”, e altre cose di questo genere, per non parlare dei processi subiti e schivati grazie alle prescrizioni ed alle leggi ad personam.

Cioè tutte cose che hanno cercato di indurre un paese intero a convivere con l’illegalità, ad assuefarvisi, e a far ritenere che la “legalità” negli affari pubblici ed economici sia una fissazione di utopisti sognatori, i quali quando la invocano diventano dei “moralisti” e dei “giustizialisti”.

Purtroppo in questa scia si sono inseriti anche i partiti dell’altra parte politica, se noi poniamo mente non solo a quello che è di recente emerso nelle cosiddette giunte rosse, ma per esempio a quello che accadde nell’estate del 2005, quando l’allora Ds ha cercato di mettere, tramite l’Unipol, le mani sulla Bnl non disdegnando, secondo quanto riportano le cronache dell’epoca, anche accordi non proprio alla luce del sole con improbabili personaggi (i “furbetti de
l quartierino”, che poi hanno onorato della loro presenza le patrie galere), al fine di aggirare la legge sull’Opa.

Tra l’altro la coincidenza di quei fatti col tentativo berlusconiano di scalata del “Corriere della Sera” e la circostanza che trai consulenti dell’Unipol per l’operazione Bnl figurasse anche lo studio di un certo commercialista di nome Giulio Tremonti, fecero anche pensare ad un accordo, più o meno tacito, tra i leader delle due parti politiche, per conseguire la spartizione del paese. Insomma una sorta di passaggio dal Caf (Craxi, Andreotti, Forlani) al Baf, che non è solo il diminutivo di “baffino”, ma l’acronimo di “Berlusconi, d’Alema, Falsino”.

Tutte queste vicende hanno fatto purtroppo ritenere a molti che spesso l’opposizione al modello politico, culturale e statuale di Berlusconi da parte di qualcuno è più apparente che reale. E che in questo nuovo contesto di morale pubblica ci si trovano ormai a loro agio in tanti, di tutte le parti politiche.

Nella Prima Repubblica bastava un avviso di garanzia, o comunicazione giudiziaria, come si chiamava allora, per costringere l’interessato a farsi da parte, se ricopriva incarichi di una qualche rilevanza pubblica. Oggi invece non bastano i rinvii a giudizio, le condanne infamanti, neanche quelle passate in giudicato, ad impedire che certe persone si occupino di affari pubblici.

Si pensi a personaggi come Previti o come Ciarrapico, del quale giustamente Travaglio ha detto che la sua fede fascista forse è la cosa più nobile del suo curriculum, che vede condanne per bancarotta e cose di questo genere. Ma questa atmosfera mefitica ha ormai inquinato anche l’economia e la finanza. Basta ricordare i crack Cirio e Parmalat.

Nello stesso tempio della finanza, Mediobanca, si è passati da un personaggio come Enrico Cuccia ad uno come Cesare Geronzi, attualmente sotto processo per bancarotta ed usura e la cui carriera è stata consentita dalle sue frequentazioni andreottiane. A quest’ultimo proposito, tra l’altro, sento il bisogno di fare una precisazione a beneficio dell’uomo comune, il quale non è particolarmente addentro alle cose della finanza.

Viene infatti detto molte volte: “ma signori, Geronzi è accusato di bancarotta perché avrebbe costretto a dirottare verso la sua banca fondi di imprese che stavano fallendo, quindi ha solo cercato di fare gli interessi della banca stessa”. E’ una balla, una colossale balla. Intanto perché comunque avresti danneggiato gli altri creditori, ma soprattutto perché se quel dirottamento di fondi vi è stato è dovuto solo all’esigenza del responsabile della banca di non far emergere gli errori che furono commessi, in buona o in mala fede, nella valutazione del merito di credito al momento dell’erogazione. Altro che interesse della banca. Si tende solo a coprire le proprie responsabilità; della banca, a questi signori, non gliene importa un fico secco.

Vediamo ora di capire come tutto questo sprofondamento continuo abbia potuto verificarsi in Italia. Nelle conversazioni private si sente spesso dare la colpa ad un elettorato immaturo che si è lasciato prima stordire dalle idiozie della televisione commerciale e poi, così ridotto, si è fatto condurre in cabina elettorale a votare in un certo modo. Una diagnosi simile può essere pure fondata, ma non assolverebbe comunque i veri “colpevoli” dalle loro responsabilità.

Che la massa possa essere manovrata dai media e da certi imbonitori è un fatto talmente risaputo ed assodato che non vale neanche la pena tornarci sopra. Ma tale discorso vale per tutte le masse, e non solo per quella italiana. Se il berlusconismo, come già più di ottant’anni fa il fascismo, ha potuto allignare in Italia e non in altri paesi, non è perché sono differenti i diversi popoli, ma perché sono differenti le relative classi dirigenti.

Vediamo per esempio questo caso. In Francia c’era un personaggio che risponde al nome di Bernard Tapie. Questi era imprenditore brillante, attore, presidente di una società di calcio che ha vinto la coppa dei campioni, parlamentare socialista, ecc.. Una biografia simile un po’ a quella del Nostro, tanto che verrà poi chiamato il Berlusconi francese.

Ebbene anche questo signore incappa in guai giudiziari. Nel gennaio del 1994 viene allora richiesta all’Assemblea Nazionale 1 —autorizzazione a procedere” dalla magistratura transalpina, ma viene negata. La stessa richiestaviene replicata nel 1995 e nel novembre di quell’anno, guarda un po’, viene concessa. E questo consentirà la conclusione del processo e la traduzione in carcere del condannato.

Cos’era accaduto nell’intervallo fra la prima e la seconda richiesta, tanto da far cambiare idea al parlamento francese? Era semplicemente accaduto che nel frattempo in Italia un certo signor Berlusconi aveva vinto le elezioni. Quindi la classe dirigente francese, memore della lezione del fascismo, il quale nato in Italia si propagò in altri stati europei fino a diventare addirittura nazismo in Germania, bloccò sul nascere il possibile contagio del nuovo fenomeno italiano. E questo perché anche lì un signore ammaliatore, vincitore di trofei di calcio, imprenditore, ricco, brillante, avrebbe potuto ottenere benissimo il consenso popolare, dirigendo poi la nazione francese verso chissà quali lidi.

Come dicevamo, ovunque il popolo è influenzabile. Quello che distingue i diversi paesi è la differente qualità della classe dirigente in senso lato, quella cioè che deve impedire che la manipolazione possa aver luogo.

Tutto sommato la storia dell’Italia unitaria può essere ancora oggi letta con le lenti gramsciane della “rivoluzione borghese mancata”. Una borghesia quindi, quella italiana, che anziché proporsi come classe dirigente che si preoccupa di dare una volta per tutte, e costi quel che costi, una spinta modernista e legalitaria al nostro paese, si è sempre solo preoccupata di partecipare alla mensa del potente di turno, se mai accucciandosi sotto il banchetto allestito, nella speranza che qualche boccone venisse lasciato cadere per terra.

Nell’agosto del 2008 la signora Federica Guidi, presidente dei “giovani” della Confindustria, rilasciava un’intervista a “Repubblica” nella quale esprimeva giudizi che lasciano intendere che questa situazione purtroppo proseguirà ancora per chissà quanto. La gentile signora alla domanda se non ritenesse pericoloso per il futuro del paese le «leggi ad personam e l’istituzionalizzazione del conflitto d’interessi, che dovrebbe essere la bestia nera degli imprenditori» rispondeva, come qualsiasi peone del centro destra: «Questi sono aspetti che non importano un granché a gran parte dell’opinione pubblica».

E, incalzata dall’intervistatore, «Il conflitto di interessi di cui parla lei non mi riguarda direttamente, su queste cose non do giudizi politici generali. Noi imprenditori, soprattutto piccoli e medi, siamo occupati a girare per il mondo tutti i giorni, non viviamo negli yacht e nelle ville, ma a fare il chele-in negli aeroporti, siamo impegnati a trovare il modo di affrontare una competizione globale drammatica, di creare ricchezza per il paese, per le nostre aziende e per i nostri dipendenti».

Ben detto signora! Mi consenta però una domanda. Cosa pensa del fatto che mentre lei “butta il sangue”, come si suol dire, per far crescere i propri affari, debba poi esserci qualcuno che invece lo faccia più comodamente andando negli uffici comunali con “l’assegno in bocca”, o coltivando le sue amicizie politiche ottenendo delle leggi “ad aziendam”, che poi, quando le sue aziende cominciano ad andar male lo stesso, si impossessa direttamente del potere politico e, grazie a questo, diventa l’imprenditore più ricco, si signora il numero uno, in Italia, sorpassando lei e tutti gli altri che eravate a far la fila negli aeroporti?

E cosa ne pensa del fatto che ormai la finanza, e quindi l’economia, italiana è in mano a un personaggio cresciuto grazie ai suoi contatti con la politica romana?. Signora Gui
di, chi glielo fa fare di girare gli aeroporti. Faccia una televisione, poi un partito ed infine diventi capo del governo, vedrà che le sue aziende e la sua famiglia avrà ancora migliore fortuna, e chissà che non diventi lei la numero uno in Italia. Anzi visto che è giovane, ha tempo di diventare la numero uno anche in Europa.

A parte gli scherzi, è veramente drammatico chela nostra borghesia e, in generale, la nostra classe dirigente, non avverta la gravità dell’attuale situazione italiana. Una situazione in cui il paese è ormai governato dalla diarchia Berlusconi-Geronzi, cioè da quanto vi è di più distante ed antitetico rispetto ad una concezione liberale e moderna della politica e dell’economia.

Una situazione in cui ormai la corruzione delle coscienze sta raggiungendo il punto di non ritorno, nella quale la parola “legalità” vuol solo più dire impedire l’accattonaggio agli zingarelli. Una situazione in cui può accadere che se per le strade di Parma dei vigili incontrano un uomo di colore lo pestano perché può essere uno “spacciatore”, mentre se incrociassero il sig. Tanzi molto probabilmente gli metterebbero il tappeto rosso per terra e farebbero la riverenza.

In cui se un magistrato si permette si indagare sui politici, va lui sul banco degli imputati e noni politici inquisiti, in cui si parla di una riforma della giustizia con la quale si vuol rendere ancora più difficile l’indagine e l’arresto per i politici e gli amministratori pubblici, quando invece il livello di corruzione raggiunta, ed attestata da un’agenzia internazionale, farebbe se mai pensare che si dovrebbe arrestare molto di più.

Insomma, se alle nostre classi dirigenti va bene un paese in cui la scala dei valori e delle priorità è completamente rovesciata, vuol direproprio che il nostro declino è, purtroppo, in atto e rischia ormai di diventare irreversibile.

A modesto parere di chi scrive un residuo di speranza si può coltivare, e viene dall’euro.
Si dirà che c’entra l’euro con tutto questo? L’euro può entrarci perché, dati i vincoli di bilancio che esso comporta, fa sì che questa corruzione invadente, questa appropriazione privata delle risorse pubbliche, nonché gli stessi privilegi della casta, potranno essere mantenuti solo a condizione di un sempre maggiore impoverimento delle classi più umili, le quali maggiormente dipendono dal bilancio pubblico.

Un simile scenario potrebbe condurre a scontri sociali anche duri, e spero che i politici, almeno qualcuno di essi, non vorranno assumersi questa responsabilità. Quindi qualcosa prima o poi potrebbe accadere, se non si vogliono compromettere gli stessi equilibri democratici.
Ma l’euro c’entra anche per un’altra via, anche se può condurre ad ipotesi che possono sapere di fantapolitica (per ora). Con la moneta unica certe disfunzioni gravi di un paese, specie se impattano sul bilancio e sul debito pubblico, si possono trasmettere, nel medio termine, anche agli altri paesi attraverso spinte inflazionistiche e aumento dei tassi di interesse.

Fino a che punto, allora e per esempio, Germania e Francia potranno tollerare una simile situazione? Ma anche fino a che puntole imprese tedesche, o francesi, o belghe, ecc. potranno tollerare il fatto di non poter partecipare alle gare pubbliche di appalto in Italia, perché ci sarà sempre sul posto la ditta che allunga la tangente al politico ed al partito di turno e ti fa fuori da qualsiasi competizione? Siamo certi che i governi di questi paesi ed i loro apparati se ne staranno sempre fermi?

Non me la sentirei di considerare esclusivamente fantapolitica un’azione “sotterranea” di qualche governo europeo, se mai concertata, per dare una “regolata all’Italia”. Personalmente vedo un’avvisaglia di questa possibilità nello sfogo che nel giugno 2007 ebbe Junker, già capo di governo lussemburghese nonché presidente dell’Eurogruppo.

In quel periodo in Italia la sinistra radicale al governo polemizzava con Prodi e Padoa Schioppa circa la destinazione da dare ai “teso-retti” e “tesorucci” vari, se a riduzione del debito o ad incremento delle spese. Ebbene Junker sbottò con una dichiarazione del tipo «ma cari italiani non avete ancora capito che ormai queste non sono più decisioni solo vostre, dato che le conseguenze sono anche nostre?».

Ovviamente la nostra stampa, dall’alto del suo provincialismo, diede scarso o nullo spazio a questa dichiarazione, mentre, molto probabilmente, era il segno che qualcosa si brontolava sull’Italia in Europa.