Le guerra su Belgrado, dieci anni dopo

di www.peacereporter.net

Il 24 marzo di dieci anni fa la Nato diede inizio all’aggressione contro la Serbia

Oggi la Serbia ricorda i dieci anni della campagna della Nato che bombardò per 78 giorni e Belgrado e le principali città del paese. I morti civili furono 2500, i bambini che persero la vita 89, i feriti ben oltre i 10 mila. In undici settimane il paese fu messo in ginocchio e umiliato militarmente, economicamente e moralmente. I danni calcolati dagli esperti di economia ammontarono a 30 miliardi di dollari.

Giorno 1. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo una serie di attacchi vengono portati nella zona dell’aeroporto militare di Batajnica, un altro nella regione di Ralja, 30 chilometri a sud di Belgrado e tre raid portano a segno attacchi sul Monte Avala. Il radar di Rakovica viene messo fuori uso, tre scuole e il muro di cinta del monastero vengono danneggiati.

“Era la cosa giusta da fare”, ha detto sabato scorso in una conferenza stampa Richard Holbrooke, l’allora inviato speciale dell’ex presidente Usa Bill Clinton nei Balcani e ora emissario in Afghanistan e Pakistan su mandato di Barack Obama. Secondo Holbrooke, “le condizioni di vita degli albanesi del Kosovo e dei serbi sono migliorate proprio grazie all’intervento della Nato”. La campagna, tuttavia, fu avviata senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ed è considerato il primo intervento dell’Alleanza Atlantica mosso non dalla necessità di difendere un paese membro, ma da scopi offensivi. Se alcuni dei delegati Nato avevano delle perplessità sull’intervento dell’Alleanza in Serbia, l’allora Segretaria di Stato dell’amministrazione Clinton, caldeggiava fortemente il bombardamento della Serbia: “Milosevic non può più aiutarci a trovare una soluzione al problema, perché lui stesso è diventato il problema”, amava dire Mrs. Madeleine Albright ai suoi interlocutori.

Il silenzio. A mezzogiorno, le sirene che annunciano i bombardamenti aerei hanno risuonato in tutto il paese e la gente si è fermata per commemorare gli eventi tragici di dieci anni fa. A Belgrado sono state organizzate delle manifestazioni sia dalla parte più moderata e filo-europea, sia dai nazionalisti serbi: “Meglio la guerra che la membership Nato”, è il motto di questi ultimi che sono contrari all’avvicinamento delle istituzioni di Belgrado all’Europa e, soprattutto, alla Nato. Il presidente serbo Boris Tadic, se davanti al Consiglio di Sicurezza Onu ha affermato che quella condotta dalla Nato è stata “una violenta azione militare contro la Serbia”, si è subito affrettato a rimarcare: “La lezione per la Serbia è stata che mai più dobbiamo trovarci in situazioni che mettono i civili a rischio di uccisione o di pericolo”.

L’Italia in guerra. Alla fine della guerra il Kosovo, con l’aiuto della Nato, ma soprattutto degli Stati Uniti che ha prestato l’opera della Cia ai guerriglieri dell’Uçk, si è sganciato dalla Serbia e in nove anni è arrivata a una dichiarazione di indipendenza unilaterale che ha fatto storcere il naso a molti esperti di diritto internazionale.
L’Italia, dalla sua posizione di vicino di casa della Serbia, ha avuto un ruolo molto importante nella missione Nato. “L’Italia è uscita da questa drammatica vicenda guadagnandosi il rispetto e la considerazione degli Alleati in una misura che mai si era espressa in passato, avendo offerto un contributo insostituibile all’azione militare”, affermò nel 2001 Carlo Scognamiglio, ministro della Difesa del governo D’Alema che gestì una delle situazioni più critiche nella storia della Repubblica Italiana. Mentre Massimo D’Alema sottolineava il preponderante apporto dell’Italia che “dopo Usa e Francia ha dimostrato il maggior impegno, considerate le basi messe a disposizione, ma anche i 52 aerei e le navi della Marina militare”, c’era una parte della politica e della società civile che denunciava la violazione dell’articolo 11 della Costituzione dove si legge che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Ma in quei giorni, come affermato dallo stesso D’Alema, “l’Italia si trovava veramente in prima linea”.

A distanza di dieci anni, Massimo D’Alema rivede le sue posizioni: “Oggi siamo in condizioni di avere un giudizio più equilibrato su quella vicenda”, dice in un’intervista a Il Riformista, “Non sono pentito, ma continuerò ancora oggi a pensare che non era necessario bombardare Belgrado”.