George Orwell a Palazzo Madama

di Stefano Rodotà
in “la Repubblica” del 27marzo 2009

Ricordate George Orwell e la «neolingua» che compare nel suo “1984”? Parole manipolate per
soddisfare le «necessità ideologiche» del regime, per «rendere impossibili altre forme di pensiero».
È esattamente quello che è accaduto ieri al Senato della Repubblica, che ha battezzato come
«dichiarazioni anticipate di trattamento» il loro esatto contrario, cancellando ogni valore vincolante
del documento con il quale una persona indica le sue volontà per il tempo in cui, essendo incapace,
dovesse trovarsi in stato vegetativo permanente. Sarà inutile seguire un tortuoso iter burocratico, da
ripetere ogni tre anni, perché con esso si approderà semplicemente al nulla. E la maggioranza dei
senatori ha fatto la stessa operazione battezzando come sostegno vitale l’alimentazione e
l’idratazione forzata contro l’opinione larghissima del mondo medico internazionale che le considera
trattamenti. È lo stesso consenso informato, uno dei grandi risultati civili del tempo recente, perde il
suo valore fondativo del diritto di costruire liberamente la propria personalità. Il sequestro di
persona, di cui ha parlato ieri Adriano Sofri, ha trovato il suo compimento. Missione compiuta,
potrà dire il presidente del Consiglio al cardinale Bagnasco a tre giorni appena dall’ingiunzione dei
vescovi a chiudere senza indugi e senza aperture la discussione sul testamento biologico.
È con grande amarezza che scrivo queste parole. Non si sta parlando di una vicenda marginale, ma
del modo in cui si stanno delineando i rapporti tra le persone ed uno Stato che, abituato da sempre a
legiferare sul corpo della donna come «luogo pubblico», rende ora «pubblici» i corpi di tutti, li fa
tornare sotto il dominio del potere politico e si serve abusivamente della mediazione dei medici, di
cui viene restaurato un potere sul corpo del paziente che era stato cancellato proprio dalla
«rivoluzione» del consenso informato. Ora non sarà più la persona a decidere per sé. Altri lo stanno
facendo, e lo faranno, al suo posto. Dov’era un «soggetto morale», quello nato appunto
dall’attribuzione a ciascuno del potere di accettare o rifiutare le cure, troviamo di nuovo un
«oggetto».
Non è solo una questione di costituzionalità, allora, quella che si è ufficialmente aperta. È una
questione di democrazia, perché stiamo parlando del modo in cui si esercita il potere. Sono in
discussione il diritto all’autodeterminazione e i limiti all’uso della legge.
Torniamo così alla costituzionalità del testo appena approvato, di cui la maggioranza appare sicura
probabilmente perché alla Costituzione e alla sue logiche si mostra sostanzialmente estranea, come
provano molte vicende degli ultimi tempi, e dei tempi meno recenti. Ma la Costituzione e i suoi
guardiani sono ancora lì. Alla maggioranza conviene far sapere che, mentre si arrabattava in tutta
una serie di espedienti legali per impedire che avesse attuazione la sentenza della Corte di
Cassazione sull’interruzione dei trattamenti a Eluana Englaro, la Corte Costituzionale (sentenza
numero 438 del 23 dicembre 2008) scriveva le seguenti parole: «La circostanza che il consenso
informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua
funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello
alla salute».
Da qui bisogna partire già in questi giorni, mentre il disegno di legge passa dal Senato alla Camera.
Non è retorica dire che il punto forte è costituito dal sentire delle persone, testimoniato da tutti i
sondaggi, da quelli appunto sulle decisioni relative al morire a quelli sull’uso del preservativo, che
mostrano non solo una distanza netta dalle posizioni delle gerarchie vaticane, ma soprattutto una
consapevolezza profonda della libertà e della responsabilità che devono accompagnare le scelte di
vita. Ai deputati bisogna far sentire la voce di questo paese, che la maggioranza politica non ascolta,
chiusa com’è nelle sue convenienze e nei suoi ideologismi, e che il Partito democratico rischia di
non sentire, lasciando così senza avere rappresentanza parlamentare proprio un mondo che potrebbe
essergli vicino.