Anche l’amico del Papa alla fine si oppone

in “il manifesto” del 27 marzo 2009

«L’articolo 2 della Costituzione contiene il suo no all’eutanasia, nel 32, invece, troviamo il divieto
all’accanimento terapeutico. Ecco io credo che questi due divieti sono tutto ciò che occorre, non c’è bisogno di altro».

Stavolta Marcello Pera ha detto no. Il più cristiano dei ‘non cristiani’, il coautore di Benedetto XVI quand’era il fallibile cardinale Joseph Ratzinger. Uno, l’ex presidente del senato, che meno di un mese ha passato un pomeriggio intero al Collegio romano di Santa Marta a presentare il suo libro «Perché dobbiamo dirci cristiani».

Uno che il giorno della morte di Eluana non ci era andato affatto leggero all’indirizzo dell’opposizione democratica e della famiglia Englaro: «Togliere a un paziente l’alimentazione significa togliere la vita e togliere la vita significa togliere il presupposto della dignità», aveva detto in aula in quella drammatica serata del 10 febbraio.

«Confondere la libertà individuale con l’arbitrio segna il passaggio dalla civiltà della ragione alla civiltà della barbarie». Una crociata, la sua, aveva giurato, non in nome della religione del Cristo, ma in nome «della religione dell’articolo 2 della Costituzione», (quello che riconosce e garantisce «i diritti inviolabili dell’uomo»).

Ieri, in quella stessa aula, la musica – comunque un canto gregoriano – era un po’ cambiata. Evidentemente i suoi hanno onorato la religione del secondo articolo della Carta, ma anche troppo. «Facciamo un’ipotesi – ha spiegato Pera – il caso di uno stato vegetativo permanente. In quel caso si compie accanimento terapeutico continuando con le cure o si compie eutanasia smettendo le terapie? Si commette un crimine lasciandolo morire o si commette un crimine contro la persona proseguendo con le cure? A questa domanda non c’è risposta. Occorre una decisione».

Ma la risposta del ddl Calabrò «dice che bisogna comunque salvare la vita, e dice anche che questa decisione la deve prendere il legislatore. Credo sia costituzionalmente ed eticamente sbagliato: fa prevalere l’articolo 2 della Carta sul 32 («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana», ndr). Dopo aver detto no a eutanasia e accanimento, allora accade che quella zona grigia incerta che si crea tra questi due divieti, viene coperta da una decisione morale e non giuridica».

È quasi lo stesso ragionamento che ieri hanno svolto i «cattolici adulti» del Pd (ex margheritini ma non solo: Marina Magistrelli, Daniela Mazzucconi, Tiziano Treu, Nino Randazzo, Marco Stradiotto, Giovanni Procacci e Stefano Ceccanti) che in realtà negano il cattolicesimo come categoria politica e invece anche loro si genuflettono (come del resto tutti dovrebbero fare) all’articolo 32 della Carta. E invece il ddl Calabrò, «tradisce la Costituzione», «ingenera confusione», «apre profonde e laceranti divisioni di cui la maggioranza deve assumersi la responsabilità».

Che è invece tutt’altra cosa rispetto alle argomentazioni del no finale dei teodem, con a capo la capogruppo Pd della commissione sanità Dorina Bianchi, che hanno invece lamentato il «muro» contro cui si è infranto ogni loro tentativo di dialogo e persino i passi indietro che si sono fatti in aula «vanificando» il lavoro di mediazione svolto – da loro – in commissione.