Chi è autorizzato a parlare in nome di Dio?

di Clelia Mori

Mi sto chiedendo se parlare, in questi giorni, di delirio politico religioso è azzardato. Vorrei dire di no, che eccedo e che non è così. Ma, dentro, qualcosa da tempo mi spinge a pensare che non è possibile interpretare così villanamente il pensiero di Dio.

La noncuranza con cui lo maneggiano tutti, la dimestichezza con cui viene interpretato da chiunque abbia un potere mi lascia incredula. Non ho mai pensato che Dio si potesse usare così disinvoltamente come si fa oggi, con la tranquilla sicurezza con cui politici, politiche e clero se lo dribblano dagli uni agli altri.

Eppure pare abbia un filo diretto con loro e, più sono alti in grado, e più Dio gli parla e più li autorizza a fare in Suo nome, irrobustendo l’invisibile filo delle loro disinvolte interpretazioni. E sempre più queste interpretazioni hanno la pretesa di essere inattaccabili, indiscutibili ed immediatamente eseguibili. Come, non conta. Parte un trip è ed è immediatamente gara e non importa se poi si è razzolato male. Quello che conta, sulla scorta di millenni di esperienza, è nominare.

E il loro Dio è super nominato, più importante di quello delle altre e degli altri e imparagonabile rispetto alla potenza di quello che si portano in tasca, pronto all’uso in ogni momento. Un pret-à-porter. Un portatile. Un lasciapassare per qualsiasi idea. Né più né meno come una qualunque merce di scambio. Sembra quasi diventato un mezzo per avere denaro e potere se lo usi nel modo giusto, magari anche come un ariete se serve per definire i comportamenti che vuoi che gli altri e le altre abbiano.

Se possibile partendo dalle altre che è sempre il lasciapassare migliore su cui radicare i poteri, sperimentato da millenni e ancora valido turandosi naso, occhi e orecchi. E’ anche un luminoso, simbolico e onnipotente paravento per cercatori di onnipotenze. Un paravento del potere come lo sono pure le donne oggi, anche se loro lo sono in modo molto più umile. Non è più un nome da maneggiare con cura e rispetto, è piuttosto qualcosa che si può davvero portare in tasca come un rosario, ma non è un rosario. Sembra più una delega in bianco dall’alto che si lascia interpretare al bisogno. Basta nominarLo.

Va bene che Dio è buono e ci ha dato il perdono lasciandoci la libertà di sbagliare e di, eventualmente, pentirci, ma pare che questa possibilità non sia universale, anzi che non sia usabile da tutti e da tutte e che alcuni – molti – e alcune – in numero molto inferiore – la possano usare più disinvoltamente del resto del mondo. Insomma sembra che Dio privilegi chi può e chi non può molto meno. Non è colpa di nessuno se a tanti e tante Dio non parla e se per sapere cosa vuole devono ascoltare le interpretazioni di chi ha il filo diretto…

Questo Dio è molto, molto diverso da quello che ho conosciuto da piccola, in campagna.
E’ un Dio che sembra non conoscere il perdono, un Dio castigatore a cui si obbedisce per paura e non perché ci ha abbagliato con la bellezza della sua grazia e della sua bontà e con l’idea dell’uguaglianza perché siamo tutte e tutti figli suoi.

Avevo imparato, nella mia chiesina settecentesca in riva al Po, che eravamo uguali ai suoi occhi e che, se aveva preferenze, era per la pecora smarrita che andava a cercare lasciando lì tutto il resto del gregge e che tuonava contro i mercanti nel tempio… Ma oggi è cambiato. E’ disponibile solo per pochi e per pochissime e per quelle solo se ubbidiscono pedissequamente. Ma può cambiare così radicalmente nella vita di una persona la Sua immagine, la Sua idea, la Sua novella? E’ così mutevole, così esposto ad ogni brezza di onnipotenza umana?

O è chi lo nomina così frequentemente che non sa o non vuole sapere bene di cosa sta parlando?
Questo, così abusato oggi, sembra persino nemico delle donne – e non nato da donna -, dei deboli, dei poveri e dei viventi senza particolari poteri, sembra indifferente ai bisogni della vita per esistere con dignità e sembra rinnegare persino la morte che ci ha dato con la vita, quando la vita se n’è già andata e privilegiare con particolare affetto solo quella che non si sa se nascerà, tutto il resto non conta, è delegato ai poteri terreni.

E’ vero, si è fatto uomo a nostra somiglianza per salvarci, ma non vuol dire che solo qualche privilegiato sa cosa Lui vuole perché si è fatto uomo come lui. Si è fatto uomo come tutti noi e parla a tutti noi. Anche se non c’è una Sua forma per dire che il Suo sacrificio riguardava anche le donne, ma questo è un altro problema.

Resta il fatto che Dio non è, non può essere se è morto per noi, il despota con cui viene raffigurato nel testamento biologico in questi giorni in parlamento, ultima Sua umana e scadente rappresentazione di chi usa, così famigliarmente, il filo diretto con Lui. Delirio non è poi una parola così sbagliata per quello che ci accade, oggi, in Suo nome.