Don Santoro attaccato come lo fu don Milani

di Enzo Mazzi – cdb Isolotto

Cara redazione della cronaca fiorentina della Nazione,

ritengo che contrapporre l’atteggiamento di don Alessandro Santoro a quello di don Lorenzo Milani, come fa Giannozzo Pucci nella sua lettera pubblicata ieri dal vostro giornale, sia storicamente inappropriato per la diversità dei contesti. Soprattutto però devo rilevare la falsità storica dell’affermazione secondo cui “il priore di Barbiana prendeva posizione sempre prima del vescovo, ma dopo che questi si era espresso stava zitto”. Non so a chi servano simili oscuramenti della verità storica, non certamente alla memoria di don Milani né alla situazione attuale della Chiesa fiorentina. Due soli esempi:

Nel 1964 il card. Florit destituisce mons. Bonanni dall’incarico di Rettore del Seminario fiorentino. Don Milani, insieme a don Borgi, scrive una pubblica lettera ai preti fiorentini in cui denuncia con parole forti la parola e l’operato del vescovo e invita tutti i preti a una forma di opposizione consistente nell’invio collettivo di un biglietto prestampato. Ecco alcuni brani della lettera di don Milani ai preti:

“Un episodio come quello Bonanni in cui un Rettore dopo 6 anni di servizio viene sostituito per motivi che non sono stati comunicati, urta la sensibilità del mondo d’oggi di cui facciamo parte e che è ormai abituato a non accettare provvedimenti non motivati. Perché un importante provvedimento che non sia stato pubblicamente motivato è infamante per chi ne è l’oggetto. Offende poi la dignità di quanti sono direttamente o indirettamente interessati al problema. Li tratta come animali inferiori cui non si deve spiegazione e da cui non s’accetta consiglio. Dare, togliere, accettare e tenere le cariche come se le cariche fossero solo onori alla persona, problemi di carriera e non luoghi di servizio per i quali non si può pensare di servire senza una specifica competenza!…”.

Il card. Florit risponde indirizzando una lettera circolare ai preti dell’arcidiocesi per via gerarchica. Infatti la lettera era così indirizzata: “All’ Ecc.mo Vescovo Ausiliare, ai Camarlinghi del Capitolo Metropolitano, ai Rettori dei seminari fiorentini, ai Vicari Urbani e Foranei, per conoscenza a tutti i sacerdoti della Arcidiocesi”. Il documento si concludeva con le seguenti parole: “Per i due sacerdoti che in questi giorni, tanto avventatamente e nella forma, più inopportuna, hanno dato a me, loro vescovo, pubblico motivo di sofferenza e alla comunità diocesana ragione di frattura e di dissenso, chiedo al Signore che non venga meno la loro fede. Tengo a rilevare che essi potranno ottenere da me, in ogni momento, le lettere di escardinazione e procurarsi così quella libertà e serenità che è da loro richiesta”.

Quattro preti fiorentini, fra cui noi dell’Isolotto che fummo gli estensori del testo, scrivemmo una lettera al card. Florit per contenere la frattura che si era creata assumendo la richiesta di dialogo ma prendendo le distanze dalle modalità con cui lo stesso don Milani e don Borghi si erano espressi.

Scrivemmo così al vescovo: “Se non possiamo in coscienza aderire alla loro (di Milani e Borghi) iniziativa non è perché non sentiamo in coscienza il bisogno di fare molti passi verso l’approfondimento e la maturazione di un dialogo vero nella chiesa, ma perché l’aderire alla loro iniziativa, nelle forme concrete in cui la propongono, significherebbe avvallare e assumere un atteggiamento che se dobbiamo cercare senz’altro di comprendere, al tempo stesso desideriamo vivamente di superare”. Il card. Florit annotò nel suo diario un apprezzamento per questa nostra lettera.

Un altro episodio non secondario di presa di posizione provocatorio di don Milani verso il vescovo fu in occasione del processo che il priore di Barbiana ebbe per istigazione alla diserzione in relazione al suo sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare. Il card. Florit aveva scritto a don Milani l’8 marzo 1965: “La invito a sottopormi, a partire da questo momento in ogni caso, ogni eventuale scritto, prima di darli pubblicità in qualsiasi modo. Consideri la presente come una precisa prescizione …sappia che mi riservo, occorrendo, di sospenderla ‘a divinis’ “.

Ed ecco quanto scrive in proposito don Milani a F. Gesualdi il 2 settembre 1965: “Ho voglia di andare a Roma (per il processo) o meglio di mandarci una lettera importante…il Presidente del Tribunale sarà costretto a leggerla davanti a tutti …e così potrò andare in tasca elegantemente all’ordine di Florit di non pubblicare nulla senza il suo permesso e la lettera avrà una risonanza enorme”.

La memoria e il messaggio di Don Milani hanno bisogno di essere valorizzati e non distorti o strumentalizzati e nemmeno inopportunamente mitizzati per condannare persone come don Santoro che subiscono oggi quello che il priore di Barbiana ha subito a suo tempo.