La luce verde degli USA sull’attacco israeliano all’Iran deve attendere

di Amir Oren
da Haaretz (quotidiano israeliano) del 3 aprile

“Le elezioni della Knesset di febbraio, diceva Bantz Craddock la scorsa settimana, non sono state in grado di conferire un mandato diplomatico inequivoco al nuovo governo israeliano”. Il gen. Craddock è il comandante supremo della Nato in Europa. È interessato alla politica israeliana e all’ampiezza del consenso del governo israeliano giacché, come ha detto in una testimonianza davanti al Congresso, l’incessante conflitto tra Israele ed i vari gruppi palestinesi perpetua l’instabilità della regione.

Craddock sta per lasciare il suo posto. A lui succederà, per la terza volta consecutiva, l’ammiraglio James Stavridis. Entrambi, l’uno dopo l’altro, hanno servito come segretari di Donald Rumsfeld quando era ministro della Difesa e sono stati entrambi a capo del comando Sud della Nato. Stavridis, un ufficiale, studioso e diplomatico con un dottorato sulle tematiche della sicurezza, lo scorso mese hanno sottolineato il pericolo di un’intensificata attività da parte di Hezbollah e di altre organizzazioni islamiste nell’America centrale e meridionale.
La possibilità di un attacco israeliano contro un Iran dotato di nucleare, che potrebbe comportare che Iran ed Hezbollah mettano in atto le loro minacce di attaccare strutture americane, sarebbe un test della volontà dei membri della Nato di applicare l’art. 5 del trattato e intervenire in difesa dell’America (in altre parole, di contrattaccare). Alle origini, quando l’articolo fu scritto, esso si basava sul presupposto che gli Americani sarebbero stati chiamati in aiuto dagli Europei. Con l’11 settembre la prospettiva è stata rovesciata.

Venerdì e sabato, Craddock e diversi altri ufficiali saranno i comprimari della più grande manifestazione della Nato su entrambe i versanti del confine franco-tedesco che celebrerà l’anniversario dei 60 anni dell’organizzazione. Per far questo, i leader dei 26 Stati membri della Nato si incontreranno a Baden-Baden e più tardi passeranno il confine verso Strasburgo. La delegazione di ogni Paese include un presidente o un primo ministro, il ministro della difesa e degli esteri, il capo di stato maggiore e altri ufficiali, consiglieri, funzionari e diplomatici. Si prevede che parteciperanno alla riunione almeno 200 VIP.

Barack Obama, il primo presidente americano nato dopo la fondazione della Nato, è ora il comandante supremo del mondo occidentale. Obama è oggi preoccupato da un’economia in crisi e da alcune situazioni a livello mondiale in aree che non fanno parte della Nato. La Nord Corea sta minacciando di rovinare la festa di compleanno con il lancio del missile intercontinentale Taepodong. Questo missile avrà un satellite nella testata, ma in un’altra occasione potrebbe portare una testata nucleare e rotrebbe raggiungere, per fare un esempio, Bill Gates nel suo ufficio alla periferia di Seattle o in qualsiasi altro luogo nel nord della costa occidentale americana. I russi ed i cinesi, che cercheranno di evitare che gli americani ed i giapponesi riescano ad ottenere nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu una mozione di condanna di Pyongyang, si comporteranno probabilmente allo stesso modo quando sarà la volta di Teheran.

Fino a quando l’economia non si stabilizzerà, Obama deve lavorare per rafforzare altre aree. La più rilevante di queste è quella afghano-pakiestana che è attualmente la massima priorità della Nato, secondo il segretario generale uscente della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. La seconda è la Russia che l’anno scorso ha scioccato il mondo invadendo la Georgia. La terza è rappresentata dal terrorismo globale, dalla pirateria e dalla guerra elettronica.

I politici passano, i capi di stato maggiore restano

Per i suoi obiettivi di rafforzamento sono stati arruolati i vertici militari di Obama, con alla loro testa il gen. David Petraeus ed il presidente dello stato maggiore generale, amm. Michael Mullen. Mullen e il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, gen. Gabi Ashkenazi, sono in rapporti di amicizia. Entrambi sono stati fra l’altro in contatto durante diverse operazioni delle forze armate israeliane. Dato che non c’era la possibilità di incontrarsi a Washington, hanno stabilito di vedersi in Europa.

L’esercito americano impara dalle esperienze di quello israeliano e considera le operazioni di quest’ultimo un importante laboratorio anche quando non tutti i suoi testi sono coronati da un successo completo ed immediato. Per esempio, gli Americani ammirano la comprovata abilità dell’aviazione israeliana di operare in condizioni atmosferiche avverse. Pochi eserciti al mondo sono così vicini in spirito a quello americano dell’esercito israeliano.

Se i politici vanno e vengono, i comandanti supremi rimangono. Al Pentagono e nel Consiglio di Sicurezza Nazionale, presieduto dal generale in pensione James Jones, un altro amico del gen. Ashkenazi, si sono resi conto che la continuità del capo di stato maggiore è un fattore di stabilità e di influenza presso la classe dirigente ed il pubblico. Sanno che Ashkenazi è un ufficiale prudente e moderato quando si tratta di usare la forza, ma in definitiva è anche un partner fondamentale nelle cruciali decisioni su operazioni militari in teatri bellici vicini e lontani.
L’asse Mullen-Ashkenazi, proprio come il parallelo asse tra i capi delle comunità dell’intelligence dei due Paesi, permette agli Americani di avere il polso della situazione reale, dietro la propaganda diffusa in Israele, e di comprendere fino a che punto Israele sia realmente preoccupato in merito alla minaccia nucleare. Dà loro anche la possibilità di rassicurare, ritardare e, al limite, superare la linea segreta tra una volontà non ufficialmente anticipata (per salvaguardare la facoltà di scrollarsi di dosso le responsabilità) e la necessità di non essere presi di sorpresa.

Non sbagliamoci sull’amministrazione Obama, quando si tratta di Iran: la sua politica è diversa da quella dell’amministrazione Bush solo nello stile, non nel contenuto. I suoi funzionari si esprimono in termini positivi, avvolgendoli in espressioni concilianti, rispetto alle espressioni irose del presidente George W. Bush, ma le conclusioni sono simili, così come i risultati. Gary Samore, che Jones ha incaricato di coordinare la questione delle armi di distruzione di massa, ha detto spesso prima della sua nomina, per esempio in occasione di un discorso alla Conferenza di Herzliya nel 2007, organizzata da Uzi Arad (ora consigliere per la sicurezza nazionale di Benjamin Netanyahu), che l’Iran continuerà i suoi sforzi per ottenere armi nucleari e che la pressione economica e diplomatica non aiuterà.

Diplomazia non ufficiale

In un discorso pronunciato in Giappone l’estate scorsa, Samore ha detto che negli ultimi 50 anni sette Paesi del Medio Oriente hanno cercato di ottenere le armi atomiche, ma solo uno di questi ci è riuscito, Israele. Se il nuovo presidente, in questo caso Obama, non sarà capace di ottenere il sostegno internazionale per impedire o ritardare i piani iraniani per l’arricchimento dell’uranio, Washington si troverà davanti a una “scelta terribile, accettare l’Iran come Paese nucleare o usare la forza militare americana o israeliana”, ha dichiarato Samore.

Ashton Carter, recentemente nominato dal presidente sottosegretario alla difesa per l’approvvigionamento, la tecnologia e la logistica, forniva all’amministrazione Bush un’analisi del tutto simile, quando sintetizzava le tre alternative nel confronto con l’Iran. Il Piano B3, l’opzione militare, comprendeva anche il possibile bombardamento degli impianti petroliferi iraniani che non sono protetti e nascosti come le componenti dell’infrastruttura nucleare. L’orientamento prevalente all’interno dell’amministrazione Obama tende a favorire gli attacchi alle installazioni nucleari dell’Iran o a tollerare u
n attacco israeliano. Un eminente oppositore dell’uso della forza contro l’Iran, Charles Freeman, posto a capo del Consiglio Nazionale dell’Intelligence americana, è stato rimosso dietro la pressione dei sostenitori americani di Israele.

Le inflessibili posizioni dell’Iran sono ben note a Washington. Una trattativa americano-iraniana è già in corso attraverso canali non ufficiali: proprio come nel caso dell’assenza di contatto formale tra Israele ed Hamas, le comunicazioni sono trasmesse attraverso canali sia pubblici che riservati. Samore ha partecipato ad uno di questi scambi. Non è tanto decisivo l’incontro, ma quello che viene detto, e questo è deludente.

Obama aspetterà non solo le elezioni in Iran previste per giugno (e quelle in Libano nello stesso mese) ma anche le elezioni di settembre in Germania ed il voto inglese più o meno nello stesso periodo (le elezioni devono ancora essere stabilite) per conoscere chi starà dalla sua parte della trincea. Così il 2009 trascorrerà senza una decisione ma non sarà così per tutto il 2010, dato che a novembre di quell’anno dovranno tenersi le elezioni al Congresso, immediatamente dopo le quali i democratici cominceranno a organizzare la campagna per la rielezione di Obama. L’estate del 2010 sarà dunque critica perché per quella data sarà stato completato il ritiro della maggior parte delle forze americane dall’Iraq e resteranno pochi obiettivi esposti ad una ritorsione iraniana.

Lo sviluppo del sistema Iron Dome (cupola d’acciaio) per intercettare i missili katiusha, la cui prima batteria proteggerà la periferia nord della striscia di Gaza (Ashkelon, Sderot), dovrebbe essere completata entro l’estate del 2010. Questo renderà difficile per Hamas aprire un altro fronte contro le forze armate israeliane per conto dell’Iran. Nei prossimi mesi continuerà il test del sistema di difesa missilistica Arrow, in uno scenario che simula un attacco iraniano a lunga gittata. I test verranno sviluppati in collaborazione con sistemi americani, inclusa l’ampia copertura radar fornita dalla base aerea di Nevatim. Sarà rafforzata anche la preparazione per la difesa contro attacchi radioattivi, con un evento che sarà organizzato in un porto israeliano o in uno americano, così come la preparazione contro un’epidemia di vaiolo, con un’esercitazione congiunta che coinvolgerà Israele e uno dei più importanti Stati membri della Nato.

Nell’ultimo rapporto del Pentagono sul rafforzamento della Cina, Israele ha ricevuto una pacca sulla spalla, come si fa con un bravo bambino: è guarito dall’abitudine di fornire missili aria-terra Harpy alla Cina, che estendono il raggio operativo delle forze aeree cinesi, e ha poi rafforzato una più stretta supervisione sulle sue esportazioni. Gli Americani danno mostra di una finta ingenuità: niente è infatti cambiato, salvo il fatto che due uffici sono stati spostati amministrativamente. La decisione di lanciare una operazione militare contro l’Iran, in particolare usando aerei fabbricati negli Usa (come gli F-16, la cui fornitura venne sospesa dopo l’attacco israeliano con il reattore nucleare iracheno nel 1981) dovrà essere preceduta da sondaggi per capire se Obama si colloca proprio sulla via tra approvazione e opposizione. Pare che Israele voglia che Obama risulti sufficientemente rafforzato dal vertice della Nato di questa settimana, ma ancora troppo debole per poter dire no a Israele.