Se si spegne il pluralismo

di Nicola Tranfaglia
da www.confronti.net

Il nostro paese è, per molti aspetti, in Europa. La dichiarazione dei diritti dell’uomo approvata a Nizza nel 2000 ripercorre conquiste che sono già presenti nella nostra Costituzione repubblicana e l’Italia è uno degli stati fondatori dell’Unione europea. Ma c’è un campo, peraltro di grande importanza, in cui noi assomigliamo più a un paese del terzo mondo che a uno degli stati dell’Unione europea. Questo campo è quello del rapporto tra i mezzi di comunicazione di massa e la politica. Qui noi siamo dal punto di vista della legislazione nazionale come dei comportamenti pratici in una situazione di particolare arretratezza e criticità.

Vorrei ricordare i dati essenziali. Dal punto di vista dell’ordinamento televisivo è ancora in vigore la legge Gasparri, approvata dal secondo governo Berlusconi nel 2003, che difende il duopolio costituito dalla Rai e da Mediaset e consente ai due oligopolisti di aumentare a dismisura la quota pubblicitaria dando il colpo decisivo alla carta stampata e non stabilendo di fatto nessun limite pubblicitario o di altro genere per chi si trova già in una situazione di oligopolio.

Se si considera il fatto che i grandi giornali sono in mano ad alcuni gruppi industriali legati stabilmente alla destra politica, con l’unica eccezione del gruppo L’Espresso ormai allineato con la destra del centro-sinistra (Rutelli e i suoi amici), che utilizzano la proprietà dei giornali per gli interessi dei gruppi industriali proprietari, si tratti delle automobili, dello zucchero o dei tessili, si ha un’idea più precisa della situazione italiana.

Peraltro le forze che si richiamano alla sinistra dispongono nel nostro paese di tre giornali che, tutti insieme, non diffondono neppure un terzo delle copie distribuite da uno dei tre o quattro maggiori quotidiani del paese. In questo modo, la presenza di parole d’ordine o argomenti del centro-sinistra e in particolare della sinistra è del tutto trascurabile nel panorama complessivo dei mezzi di comunicazione di massa.

Il problema maggiore, tuttavia, in Italia è costituito dall’istruzione che (se si esclude il linguista Tullio De Mauro, che in più occasioni lo ha fatto presente) nessuno in Italia ricorda e sottolinea: più di metà degli italiani, ancora in ricerche recenti, confessa di non essere in grado per ragioni cognitive di leggere e seguire i fogli quotidiani ed è spinto, per questa ragione, a usare la televisione e i suoi notiziari per conoscere quel che succede nel nostro paese e nel mondo.

Ed è qui che, a livello televisivo, si palesa più forte la pressione dell’attuale maggioranza parlamentare e del suo leader carismatico e populista. Si rovescia sugli spettatori una grande frammentazione della realtà e una massa enorme di notizie di cui si danno in pochi secondi molti particolari che invece di informare confondono le idee; nelle quali è quasi impossibile trovare quelle significative e mancano regolarmente quelle che contraddicono la visione idilliaca e rassicurante che l’attuale capo del governo vuole trasmettere ai suoi governati.

In questo senso l’omissione di certi fatti, e l’esaltazione ossessiva di altri, consente agli operatori televisivi di esercitare una forte influenza sulla visione del mondo che ne scaturisce. Così i programmi di intrattenimento, accanto ai telegiornali, rivestono una grande importanza perché giocano sulle emozioni e i sentimenti degli spettatori ancor più che sulla loro ragione.

Se a questo si aggiunge il bombardamento massiccio della pubblicità che, con la vittoria elettorale del centro-destra nell’aprile 2008, ha superato ogni limite sugli schermi della televisione pubblica come su quella commerciale di Berlusconi e sul terzo incomodo, costituito con sempre maggior presenza da Rupert Murdoch con la tv Sky, si ha un’idea più realistica della situazione italiana.

Da questo punto di vista, non c’è dubbio che la contraddizione tra lo Stato di diritto disegnato nella Costituzione repubblicana del 1948 e l’assetto radiotelevisivo e giornalistico è assai chiara. È necessario che la Corte costituzionale sia chiamata a pronunciarsi su quello che non è accettabile rispetto al nostro ordinamento costituzionale.

Vorrei solo aggiungere che neppure le leggi vigenti, quelle stabilite con la legge Mammì del 1990 e quella Gasparri e le relative pronunce della Corte Costituzionale, sono rispettate nel nostro paese, con un’attiva complicità da parte del governo e degli altri organi costituzionali. Infatti, malgrado pronunce recenti a proprio favore degli organi giurisdizionali e da ultimo della Corte di giustizia europea, la Tv Europa 7 non è riuscita ad avere da Rete 4 di Berlusconi la restituzione delle frequenze necessarie per poter trasmettere. E un simile episodio costituisce un fatto assai grave dal punto di vista non soltanto dello Stato di diritto ma anche dei rapporti nazionali con altri paesi del continente europeo.