LA CASA DI PRISCA

di Lidia Maggi
da “Eva e le sue sorelle” – Rocca, 1° aprile 2009

AIle prime luci di quel lontano mattino di pasqua, le donne, al sepolcro, ricevono lo sconvolgente annuncio della resurrezione. Tutti i vangeli concordano su questo dato: Dio affida a loro l’annuncio di una vita più forte della morte. Con questo messaggio le donne diventano apostole direttamente per rivelazione divina, come per Paolo. E come lui saranno contestate, denigrate, ritenute delle visionarie. Il tentativo di screditarle non servirà a fermare la loro chiamata: la pietra tombale scoperchiata è diventata la pietra angolare su cui edificare la Chiesa. Colui che è stato ucciso, scartato, rifiutato ora vive.

Come è possibile che l’annuncio evangelico, affidato a povere donne spaventate ed osteggiate, sia arrivato fino alle estremità dell’impero? Quale la strategia missionaria perché tale messaggio penetrasse nel giro di pochi decenni, trasformando uno sparuto gruppo di adepti ad una setta giudaica in uno dei movimenti religiosi più diffusi al mondo? Molto lo si deve a valorosi missionari, come Paolo e Pietro, di cui la chiesa narra le gesta. Non va, tuttavia, sottovalutato il ruolo delle donne: sono esse, nel nascente movimento cristiano, a rappresentare il legame tra la vicenda di Gesù, l’annuncio della sua risurrezione, la nascita della comunità post-pasquale e l’estensione della missione.

Ma, a fronte di questa constatazione, occorre riconoscere che la storia delle origini del movimento cristiano risulta lacunosa, soprattutto a proposito del ruolo delle donne all’interno del movimento. Esse sono menzionate da Luca, negli Atti, sempre in funzione dei grandi personaggi maschili. Frammenti più decisivi sul ruolo delle donne nel quadro delle chiese delle origini emergono dalle lettere di Paolo. Qui, a differenza del testo lucano, le donne sono ricordate come coraggiose e fedeli collaboratrici dell’annuncio evangelico, con pari dignità nell’opera missionaria.

Il Nuovo Testamento attesta diversi modelli di missione. A due a due il Signore manda i suoi.
Questo modello lo ritroviamo anche nella chiesa antica, declinato sia nelle coppie al maschile di discepoli missionari, come Paolo e Barnaba, sia nelle coppie di sposi. La scelta felice di valorizzare il lavoro itinerante di coppie sposate ha probabilmente permesso un più facile radicamento della chiesa nei nuovi territori. Paolo ricorda Prisca e Aquila come compagni d’opera in Cristo Gesù, «i quali hanno rischiato la loro testa per la mia vita; a loro, non solo io, ma anche tutte le chiese dei gentili rendono grazie» (Romani 16,3-4).

L’apostolo li incontra quando giunge a Corinto. Viene accolto nella loro casa, dove già si riunisce un gruppo di credenti. Da loro riceve ospitalità, un lavoro per potersi mantenere e una solida base dove radicare la sua predicazione. Erano fuggiti da Roma a causa dell’ordine di espulsione di tutti i giudei, emanato dall’imperatore Claudio. A Corinto, dove si stabiliscono, trasformano la loro casa in una comunità domestica (I Corinzi 16,19). Nella coppia missionaria si vive una pariteticità anomala rispetto al vincolo coniugale. Il legame familiare sembra subordinato al patto che lega la coppia al Signore. Sorprende, infatti, che, tra le coppie missionarie, nessuna donna venga definita sulla base dello status matrimoniale.

La donna, nell’appartenenza a Cristo, vive un regime di uguaglianza del tutto inedito. Inoltre, sembra che Prisca occupi un ruolo principale nel lavoro missionario, visto che il marito viene menzionato dopo di lei (2 Timoteo 4,19); e non è certo questione di galateo! I due modelli-base della missione della chiesa – i missionari itineranti e le comunità domestiche -trovano convergenza nelle coppie di sposi e, in particolare, in quella di Prisca ed Aquila che, radicandosi in un territorio, aprono la propria casa ai nuovi convertiti. Una volta preso atto dello status egualitario nella coppia missionaria, è più facile comprendere come, proprio attraverso le comunità domestiche, le donne abbiano trovato ambiti di riconoscimento.

Da sempre la casa è lo spazio delle donne. Una chiesa che si riunisce nelle case e che lega i segni della fede all’ambito domestico (la mensa comune, lo spezzare il pane) non può che valorizzare chi la casa la governa. L’aver spostato il cuore della fede dal tempio, spazio sacro al maschile, dove non è prevista una presenza sacerdotale femminile, alla casa, spazio profano, espressione del domestico e del quotidiano, ha permesso alle donne di vedere riconosciuti i loro talenti e di metterli al servizio dell’espressione e della diffusione della fede cristiana.

Chissà se, oggi, una delle ragioni delle crisi vocazionali sia anche da attribuire alla scarsa valorizzazione delle figure femminili. Nella casa di Prisca le donne credenti possono ritrovare una dignità a lungo dimenticata e contribuire ad una nuova intelligenza «domestica» dell’esperienza cristiana.