MOLDAVIA, I CONTI DOPO LE PROTESTE

di Carlo Benedetti
da http://www.altrenotizie.org/

Lotte, agitazioni, caos, contestazioni, scontri. E’ il quadro sociale e politico della Moldavia di queste ore dopo il contestato voto delle “parlamentari” che hanno segnato la vittoria di quanti vengono considerati come gli “eredi” del vecchio sistema comunista. Tutto ha preso avvio il 6 aprile scorso quando il Partito Comunista della Moldavia ha ottenuto una vittoria nelle elezioni legislative con circa il 50% dei voti. La formazione si è così assicurata la maggioranza assoluta con il 49,92% dei suffragi (nel 2005 aveva avuto il 46,1%) e, con i 61-62 seggi in Parlamento che ha conquistato, il partito dovrebbe avere la maggioranza dei tre quinti necessaria per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Il partito liberale ha ottenuto il 12,9%, il partito liberaldemocratico il 12,24% e Nostra Moldavia il 9,87%. Ma ora nel paese ci sono manifestanti che contestano il voto “comunista” e gridano di “essere romeni” e di voler entrare in Europa. Tutto nel nome di un bieco nazionalismo e di un forte spirito antidemocratico alimentato da Bucarest.

C’è allarme nelle diplomazie dell’intera area del centro europeo. A Mosca, il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, esorta l’Unione europea ad ”agire” per impedire che la sovranità della Moldavia sia minacciata da manifestazioni con slogan e bandiere filo-romene. ”Speriamo che l’Ue e la Romania, che ha pubblicamente condannato le violenze, agiscano affinché le bandiere e gli slogan romeni non siano utilizzati come copertura per minare la sovranità della Moldavia”, dichiara il diplomatico del Cremlino.

Ed ecco che tornano ad esplodere le ragioni storiche e psicologiche, politiche, culturali e nazionalistiche. Saltano le “leggi” della convivenza e quello che sembrava costruito col ferro e col fuoco dalla geopolitica russa e sovietica, si sgretola in un terremoto che mette a rischio non solo l’area della Bessarabia (circa 38.000 chilometri quadrati con 3.000.000 di abitanti) tra i fiumi Prut e Dniestr, ma l’intero bacino dell’Europa centrale. E sulla scena della protesta generale arriva il presidente del paese, Vladimir Voronin che – per restaurare il dialogo tra le tante opposizioni – ordina di contare nuovamente le schede. Dice – con un documento inviato alla Corte Suprema – che “una completa revisione sarà un importante argomento per ristabilire la stabilità politica, la pace e la fiducia delle parti in causa”.

Detto questo, Voronin torna anche ad accusare la Romania, sostenendo di avere “prove inconfutabili” del coinvolgimento di Bucarest nei “disordini” che nei giorni scorsi hanno sconvolto la capitale Chisinau. Tornano d’attualità nell’arroventato clima elettorale e in quello del post-voto, le rivalità etniche in un territorio caratterizzato dall’esistenza di diverse nazionalità. E un fattore particolarmente importante è sempre quello che si evidenziò durante gli ultimi anni ’80, quando la perestrojka gorbacioviana permise la liberalizzazione politica a livello regionale. Ma la democratizzazione (incompleta e irrazionale) gettò le basi per il risveglio di un nazionalismo che divenne la principale dinamica forza politica. Qualche minoranza si oppose ai cambiamenti mentre si registrarono movimenti contro i politici locali dominati da elementi di origine russa.

I ricorsi storici sono, in tal senso, notevoli. Creata nel 1940, quella che fu fino al 1990 la Repubblica Socialista Sovietica della Moldavia riuniva, alla preesistente Repubblica autonoma sulla sinistra del Dnestr, i territori della Bessarabia ceduti nello stesso anno dalla Romania all’Urss. La storia dell’intera regione è quindi più che mai complessa. La Repubblica socialista fu oggetto di una politica di sistematica russificazione, anche maggiore di quella del periodo zarista. Il cirillico divenne la scrittura ufficiale della lingua moldava e la maggior parte delle industrie che furono create nella repubblica vennero allora concentrate nella Transnistria, mentre il resto del paese aveva una economia prevalentemente agricola. E c’è anche da ricordare che la 14° armata dell’esercito russo, che aveva sede nella capitale moldava, rimase in loco anche dopo la caduta dell’Urss per salvaguardare il più grosso arsenale e deposito di munizioni a livello europeo.

Attualmente, comunque, la Moldavia ospita il 64,5% di moldavi (romeni), il 13,8% di ucraini, il 13% di russi, il 3,5% di gagauzi (cristiani di lingua turca) e percentuali minori di ebrei, bulgari ecc. Il paese intero è poi sconvolto da un forte movimento che propugna la riunificazione della Moldavia con la Romania, che però è stata rifiutata in un apposito referendum nel 1994. Sul tappeto della vita interna di questa Repubblica c’è poi – sempre aperta – la scottante questione geopolitica della Transnistria. La quale, con i suoi 555.000 abitanti e la sua capitale Tiraspol, è un’entità separata della Moldavia, collocata nell’Est Europeo. Area politica e geografica, quindi, che praticamente non è riconosciuta come Stato e che la stessa Russia, pur avendo una serie di rapporti, non considera come un partner diplomatico. Il quadro non è chiaro. E in questa area, con queste contraddizioni irrisolte e queste identità difficili da assemblare, è sempre più difficile disegnare confini ed ideali di una nuova Europa.