L’ottimismo della novità

di Stella Spinelli

“Da soli non andiamo da nessuna parte”. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha concluso il summit delle Americhe a Trinidad y Tobago nella medesima maniera con il quale l’aveva iniziato venerdì: tentando di restaurare l’immagine degli Usa come un partner affidabile e collaborativo nell’affrontare i problemi della regione. E lo ha fatto davanti a tutti i capi di Stato e di governo del continente, che lo hanno ripagato con la stessa moneta. “Non vedo l’ora di ascoltare ancora suggerimenti su come gli Stati Uniti potranno diventare un partner a tutti gli effetti”, ha dichiarato un attimo prima di incontrare i leaders dell’America Centrale.

Una cumbre questa, giunta alla sua quarta edizione, caratterizzata da due fondamentali novità, le promesse concrete di apertura tra Washington e l’Havana (esclusa dal summit, ma presente nelle discussioni più pregnanti fra i lideres) e i passi verso una proficua collaborazione tra i paesi nemici giurati degli Usa pre-Obama, quali il Venezuela di Hugo Chavez, la Bolivia di Evo Morales e l’Ecuador di Rafael Correa. Ormai nota, perché trattata da tutti i mass media main stream, la stretta di mano tra Obama e Chavez, simbolo dello storico cambiamento che sta vivendo il continente americano.

Quel plateale gesto, ripreso da tutte le telecamere del mondo, è stata comunque solo una copertina. Il resto del racconto è fatto di avvicinamenti concreti e proficui tra i due Stati. Chavez ha persino parlato con il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, su come ristabilire normali relazioni diplomatiche tra Washington e Caracas, relazioni interrottesi a settembre dopo che il leader bolivariano richiamò il suo rappresentante negli Usa in solidarietà all’amico Morales (l’unico rimasto ancora molto scettico verso Obama), attaccato per l’ennesima volta dagli Usa del “diavolo” Geroge W. Bush.

A quella manovra, sucedette la reazione di Washington che richiamò in patria il suo ambasciatore in Venezuela. “Penso che Obama sia intelligente, paragonato ai presidenti Usa del passato”, ha dichiarato Chavez ai cronisti da Puerto de Espana. Un atteggiamento di apertura e alquanto ottimista, che lascia ben sperare in future relazioni.

Stesso atteggiamento ha caratterizzato i colloqui su Cuba. Obama si è detto ottimista e ha puntato sulla necessità di ripristinare rispetto dei diritti umani e democrazia. “Voi tutti siete stati democraticamente eletti – ha sottolienato rivolgendosi ai suoi omologhi latinoamericani – ed è giusto che anche per Cuba possa accadere lo stesso”. Di tutta risposta i leaders americani hanno ribattuto sulla necessità di togliere l’embargo Usa che da decenni piega l’isola di Castro.

Alla fine dei colloqui nelle isole gemelle dei Caraibi, la Casa Bianca ha definito la Cumbre produttiva: “Confidiamo di tornare a casa con una serie di impegni molto seri su energia e clima, sulla sicurezza pubblica e con un rinnovamento dell’impegno verso la democrazia nell’intera regione”, ha commentato il Deputy National Security Adviser Denis McDonough. Al centro delle discussioni del summit, comunque, al di là delle questioni diplomatiche, si è imposta ovviamente la crisi economica.

Ogni capo di stato e di governo americano, infatti, si è concentrato molto su come ogni singolo paese debba comportarsi in questa fase delicata per l’economia globale. Da parte sua gli Usa hanno promesso un investimento di 140 milioni di dollari per un nuovo fondo di sviluppo