Il cane del potere

di Mario Enrico Gottardi
da Megachip

Una definizione che in teoria accettano tutti è che il giornalismo sia il cane da guardia del potere. In teoria, perché la pratica è ben distante da questo assunto. In Italia, poi è l’esatto contrario: è il potere il cane da guardia del giornalismo.

Un’ulteriore conferma di questo ribaltamento, viene proprio dalla cronaca di questi giorni, l’ennesimo affaire Santoro. Tutto nasce due giorni dopo la puntata di AnnoZero del 9 aprile scorso. Il Presidente della Camera l’apostrofa come “indegna”, il Presidente del Consiglio la vede “non da servizio pubblico”.

Se le due alte cariche istituzionali crepano la diga, a far saltare poi ogni argine saranno le dichiarazioni incessanti di tutti gli esponenti del PdL e, ancor di più, quelle che vengono dall’opposizione (Merlo in favore di un’inchiesta interna e Gentiloni che parla di processo sommario). In attesa della riunione del CdA del 22 aprile prossimo, il neo direttore generale dell’azienda pubblica Mauro Masi intima a Santoro una puntata “riparatrice” (qualunque cosa questo voglia dire) e la sospensione per una puntata del vignettista Vauro. Il presidente Garimberti, invece, tace.

Ma cos’ha fatto di tanto grave Santoro? Semplice, ha evidenziato le mancanze nell’organizzazione dei soccorsi da parte della Protezione Civile guidata da Bertolaso, quindi dal Governo.

Tra le tante critiche mosse a Santoro, una tra le più pertinenti è quella del sottosegretario alla difesa Guido Crosetto, ospite di Santoro nella puntata incriminata, riassumibile così: Santoro doveva mostrare anche la parte “buona” dell’organizzazione, non solo quella “cattiva”, perché il servizio pubblico deve dare voce a tutte le posizioni, anche a quelle del Governo. Per questa ragione il Governo (il potere) protesta e chiede di ridimensionare Santoro e la sua trasmissione (il cane da guardia).

Ci sono alcuni punti da sottolineare. Il primo è che si sta parlando di giornalismo e libertà d’informazione, non solo di servizio pubblico. L’equilibrio dev’essere un dovere di ogni giornalista, sia che lavori in Rai sia per un editore privato. Perché mai Santoro dovrebbe essere “equilibrato” e Fede sul Tg4 può dire tutto quello che vuole infischiandosene della deontologia?

E poi, se proprio si vuol parlare di servizio pubblico, lo si deve considerare nel suo complesso e non mettere sotto processo solo AnnoZero. Se si sommano tutti i servizi prodotti dalla Rai sul terremoto in Abruzzo, probabilmente l’unica voce critica sull’organizzazione dei soccorsi (e non sullo spirito di solidarietà e sull’efficienza dei soccorritori) è stata quella di AnnoZero. Tutti gli altri inviati hanno elogiato, sin dalle prime ore e per tutta la settimana, la velocità e l’organizzazione dei soccorsi. Per cui l’equilibrio del servizio pubblico non viene meno.

Proviamo, per capirci, a ribaltare per un attimo la situazione. Visto che quasi l’unanimità dei servizi elogiava la Protezione Civile, perché mai nessuna voce si è levata per chiedere il riequilibrio di queste posizioni? Perché mai nessuna voce si è levata per denunciare la faziosità di quei servizi? Perché mai nessuno ha proposto dei tiggì riparatori nei confronti dei terremotati che hanno sofferto le disfunzioni del sistema (primo fra tutti la mancanza di uno stato di preallerta e di un qualsiasi tipo di esercitazioni in caso di sisma)?

Un altro punto importante è la gestione della Rai. Da anni quasi tutte le forze politiche propongono le proprie ricette per riscrivere le regole di funzionamento dell’azienda pubblica radiotelevisiva. Il ché significa che così non funziona. Il problema è che non tutti hanno capito – o per lo meno, vogliono capire – che l’editore di riferimento non può essere la politica, che pubblico non vuol dire politico. Pubblico vuol dire che i referenti di chi lavora alla Rai devono essere i telespettatori, non i politici. Con le attuali regole la Rai cade sempre nelle mani dei politici, che sono i principali azionisti di riferimento.

Ma perché un’azienda informativa e culturale possa adempiere pienamente al proprio ruolo, non può stare sotto il controllo della politica. L’hanno capito in Spagna, dove la riforma Zapatero sta iniziando a dare i suoi frutti. E questo tipo di libertà è da tempo moneta corrente in Gran Bretagna, dove la Bbc è più libera e più autorevole perché può produrre contenuti e informazioni anche contrari alle scelte del proprio governo, senza rischiare di incontrare gli ossessi dell’epurazione che invece spesso assediano i palazzi Rai.

Perché la Bbc ha come riferimento l’utente, non la politica. In Italia invece sia la carta stampata che la televisione badano troppo a destreggiarsi negli equilibrismi della “politique politicienne”, perdendo di vista l’interesse del lettore. Che infatti poche volte viene citato, e rispettato, negli articoli e nei fondi (uno che invece il lettore lo citava spesso come riferimento e lo teneva in considerazione era Indro Montanelli).

In Italia è sempre di moda l’emergenza, ogni problema è emergenza, da affrontare come in missione, come in guerra. Quindi, senza possibilità di critica, di posizioni non allineate. A partire dall’emergenza munnezza a Napoli, per passare all’«emergenza clandestini», fino ad arrivare a quella degli stupratori e a quella dei romeni. Nel caso del terremoto dell’Abruzzo, però, l’emergenza è reale.

C’è stato un terremoto che ha tolto la vita a 294 persone e sconvolto la vita di un’intera regione. Ma anche in questo caso non è mica vero che i giornalisti debbano abdicare al loro ufficio e non guardare con occhio critico a ciò che succede nel mondo, e quindi anche in Abruzzo. Al contrario di ciò che pensa chi vuole censurare le voci critiche in regime di emergenza, certe grandi lezioni di giornalismo ci sono arrivate proprio durante le guerre, remando contro la grande corrente del conformismo evocata dai politici, contro le loro invocazioni all’unità e le facili patenti di antipatriottismo assegnate a chi dissente .

Seymour Hersh, quando documentava gli orrori di My Lai in Vietnam e quelli di Abu Grahib in Iraq, ha fatto fino in fondo il suo mestiere e ha dato un vero servizio al proprio paese e alla democrazia. Ma in Italia questo principio stenta ad affermarsi, anzi, entra nel campo dell’eresia. Ogni voce stonata viene prontamente messa all’indice e si cerca con ogni mezzo di farla tacere.

L’annullamento delle voci critiche ci porta ad affrontare l’altra questione, ancora più annosa, che riguarda lo stato dell’informazione nel nostro Paese.
Precedentemente ho segnalato il giornalismo anglosassone perché è quello più citato da chi invoca il liberalismo e le virtù delle democrazie liberali occidentali, anche fra i nostri pseudo liberali, i quali però ignorano che, nei loro amati «paesi liberali», una situazione del genere non si sarebbe prodotta. Nessuno si sognerebbe negli States o in Gran Bretagna di sospendere un vignettista satirico perché fa una vignetta satirica. Né un editore che prescrive una trasmissione riparatrice a un programma di approfondimento giornalistico, senza peraltro aver ricevuto nessuna protesta formale o denuncia.

Il fastidio che prova la nostra classe politica per le voci contrarie e per la critica giornalistica non sono solo rivolte all’interno ma anche all’estero. A esser presi di mira sono i quotidiani stranieri che hanno un occhio attento per la situazione italiana.

La nuova strategia del governo Berlusconi contro le opinioni di biasimo dei media stranieri è stata ben descritta il 13 aprile scorso da Philippe Ridet, con un articolo su «Le Monde», in cui critica fortemente il nostro paese per la scarsa propensione ad accettare le critiche che arrivano dall’estero. A riprendere Ridet è stato Bernardo Valli dalle colonne di «Repub
blica», che sottoscrive le parole del collega francese. Valli fa la lista delle ultime prese di posizioni diplomatiche (il britannico «Times» per la critica sulla frase di Berlusconi sulla “vacanza” dei terremotati abruzzesi; il «Guardian» per aver bollato come “postfascista” l’esito della fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale; il tedesco «Spiegel» per aver definito il nostro paese uno “stivale puzzolente” quando scoppia lo scandalo dell’immondizia campana.

Più recentemente lo spagnolo «El País» per aver definito il nostro Presidente del Consiglio uno dei leader più “sinistri”) e sottolinea come la pratica delle convocazioni di giornalisti da parte degli ambasciatori sia propria più dei regimi autoritari che delle democrazie. E anche in quelli tutto sommato è un comportamento desueto, come ha sottolineato il corrispondente di «El País» Miguel Mora su Repubblica TV, affermando che ultimamente neanche Cuba fa richiamare i giornalisti dai suoi ambasciatori. Mentre l’Italia è in compagnia di Israele e Venezuela, gli unici altri due paesi ad aver protestato con «El País» per i servizi dei suoi corrispondenti.

Ma è bene tornare in Italia, perché mentre tutti denunciano il tentativo censorio da parte di Berlusconi e della sua maggioranza, si perde di vista quel che dice l’opposizione. Con l’eccezione di Emma Bonino (che si chiede «cosa si contesta a Santoro? È solo una questione di tono?») e dell’Italia dei Valori, nel Pd le voci sono discordi. Solo dopo una giornata di passi avanti e due indietro il segretario Franceschini mette in riga le sue fila: «Legittime le critiche a Santoro, ma non possono essere presi provvedimenti sanzionatori».

Sulla stessa linea anche il responsabile comunicazione del Pd, Paolo Gentiloni, che ribalta il giudizio su Santoro di due giorni prima («ha condotto un vero e proprio processo sommario contro le forze impegnate in prima linea e con successo nell’opera di soccorso»), mentre Merlo ha smesso di cantare.

Questo comportamento ubriaco da parte dell’opposizione mostra che anche nelle file del centro sinistra la tentazione di mettere il bavaglio ai giornalisti è forte e che l’indipendenza dei giornalisti è vista ancora come un male da sopportare. Magari da elogiare quando si colpisce l’avversario ma da attaccare quando vengono colpiti interessi di parte. Per questo il ribaltamento della situazione non riguarda solo la maggioranza di governo ma tutto l’arco parlamentare, favorendo in questo modo l’inversione delle parti e un giornalismo controllato dal potere.

Marco Travaglio, altro ospite fisso di AnnoZero, sbaglia quando dice che «se in America il giornalismo è cane da guardia del potere, in Italia è cane da compagnia. O da riporto». In Italia il cane da guardia è diventato il potere. E il giornalismo, invece, cosa sta diventando?