Anime solitarie

di Giuliano Santoro

Adesso che, dopo una stagione di odio etnico sparato dai cannoni mediatici, un rom ha vinto la nona edizione del Grande fratello battendo in finale un panettiere bergamasco, abbiamo motivo di ritenere che non è la censura il carattere della società della spettacolo.

Al contrario, il dominio della televisione e del suo grande cerimoniere [il presidente del consiglio che vola in alto nei sondaggi nonostante la crisi economica e il terremoto] sono caratterizzati dalla capacità di non escludere nessuno, di creare un grande brusio di fondo che investe tutta la società.

La televisione, in questo modo celebra riti auto-assolutori: «Vedete, quanto siamo buoni? Premiamo anche i rom!». E dispensa messaggi consolatori: «Se ce l’ha fatta lui ce la posso fare anche io», penserà più o meno consciamente lo spetattore medio. In questa dimensione al di là del tempo e dello spazio, al contrario che nel mondo reale chiunque ha diritto di cittadinanza purche accetti il presupposto di apparire pur di esistere, di mettersi in scena e accettarne le conseguenze.

Per questo la società degrada in audience, cioè in quello che Zygmunt Bauman ha definito «aggregazione di anime solitarie». Pasolini aveva profetizzato la devastazione della ricchezza del «ceto popolare», ad opera della massificazione dello sviluppo e della generalizzazione della condizione borghese.

Quel processo è avvenuto in maniera del tutto imprevedibile. Nei modelli di comportamento si sono mescolate la rabbia nichilista e incosciente dei ceti sottoproletari e il crasso edonismo delle peggiori borghesie parassite dei sud del mondo.

E la frustrazione di quelli che non riescono a immaginarsi nessuna narrazione che li comprenda in un contesto più ampio del proprio naso è il primo nemico di chi vuole smettere di vivere in mezzo ai poveri reclusi che passano le giornate bighellonando tra il letto e i divani della casa del Grande fratello.