LA CECENIA IN MANO AGLI OLIGARCHI DI MOSCA

di Carlo Benedetti
da www.altrenotizie.org

Prima hanno fatto un deserto bombardando e distruggendo cittadine e villaggi. Poi – parafrasando Tacito – hanno definito il “tutto” come pace. Quindi hanno trovato un Quisling. Poi hanno portato sul posto oligarchi e banchieri per avviare la “ricostruzione”. Ed ora i nuovi padroni dell’intero paese cantano vittoria. La martoriata Cecenia, la regione (15.500 chilometri quadrati con 1.500.000 abitanti) che da anni si batte per l’indipendenza e contro il dominio russo, ormai è “cosa loro”. Mosca, dopo aver scatenato dal 1994 una guerra senza precedenti provocando decine di migliaia di vittime e profughi, distruzioni e genocidi, lancia il “tutti a casa”, richiamando un primo contingente di 20mila uomini. Dichiara al mondo di aver raggiunto il suo obiettivo che era quello di normalizzare la situazione.

Nella capitale caucasica, dove la realtà quotidiana dice che il mondo sociale si fa ogni giorno più duro, le ferite della guerra vengono nascoste dai teloni che coprono le rovine: é questa la tattica di Mosca. Quella ben sperimentata quando Eltsin bombardò il parlamento russo e dopo pochi giorni chiamò squadre di edili (turchi) a restaurare il tutto. E così di quel massacro non restano che poche immagini. La faccia è salva. Ed è quello che avviene in terra cecena dove episodi del genere rivelano la chiusura mentale dei servi di Mosca.

La tv ora mostra asili nidi, scuole e volti radiosi, gente al lavoro. Trionfa la falsità perché la ferita resta aperta nel cuore di una popolazione che ha già tanto pagato e che ora si trova a dover fare buon viso a cattivo gioco di fronte ad un Quisling: il trentatreenne Ramzan Kadyrov, uomo forte del regime locale e stretto amico di Putin. Personaggio che nel passato si mise in luce per le sue attività terroristiche e i suoi legami con i gruppi dell’estremismo islamico (ricordiamo sempre che la Cecenia è di religione musulmana sunnita) divenendo comunque un uomo di Mosca pronto ad eseguire – forte di una carriera fulminante – gli ordini di Putin. E proprio grazie alla fedeltà nei confronti del potere centrale il Cremlino “putiniano” ha lasciato a Kadyrov carta bianca soprattutto nel campo delle ricostruzioni post-belliche. Ed è chiaro che su questo “business” i gruppi mafiosi della Russia e della Cecenia si ritaglieranno la loro parte seguendo una trama splendidamente congegnata. Ma é ovvio che la guerra non è finita; siamo solo – questo notano gli osservatori diplomatici più attenti – in una fase di transizione.

E così nessuno crede a quel che va dicendo Aleksandr Bortnikov, il russo che comanda il nuovo Kgb (tramutato in Fsb) che il Cremlino ha messo anche alla testa del comitato nazionale antiterroristico. La manovra è chiara. Putin tenta di voltare la pagina del conflitto ceceno in vista del primo summit con il presidente americano Barack Obama che si svolgerà in luglio a Mosca. E mette in atto questa “svolta” soprattutto per non rompere con un personaggio come Medvedev, che doveva essere un presidente di facciata e si sta invece rivelando come uno stratega che dissente dalle linee dure del vecchio capo del Cremlino.

La partita attuale, quindi, non tocca soltanto la capitale Grozny, ma scuote anche la fortezza che si adagia sulla Moscova. Qui – mentre si dipana un intenso e complesso gioco che ricorda le lotte dei bojari dell’era zarista – i nemici della gestione Putin ricordano che le due guerre contro i ceceni sono costate circa 100mila morti e che le vittime russe sono state migliaia. In particolare, ci si riferisce a quel secondo conflitto che divenne il teatro di sequestri, torture, arresti, massacri. E si ricordano le denunce relative al traffico di armi e al ruolo avuto dagli oligarchi russi appoggiati da Putin. Quelli che oggi si preparano ad intervenire nelle vesti più varie con proposte di costruzioni avveniristiche e costosissime. Vuol dire che in questo clima di alta velocità economica ci saranno affari d’oro.

Propaganda a parte, in Cecenia tutti sanno che la democrazia di Mosca è ora solo un optional. Perché il paese è divenuto una sorta di riserva segnata da precisi confini: a nordovest con Stavropol, a nordest con la repubblica del Daghestan, a sud con la Georgia e ad ovest con le repubbliche dell’ Inguscezia e dell’Ossezia del Nord. Siamo, sicuramente, all’inizio di una nuova storia che coniugherà affari e politica.