Paolo, la battaglia per un diritto

di Raffaele Ferraro
da www.aprileonline.info

Da chi lo segue da due anni, la storia di Paolo Ravasin, ex – operaio affetto da sclerosi laterale amiotrofica, che – ben prima del dibattito innescato dal caso di Eluana Englaro – chiede in tutti i modi che gli venga riconosciuto il diritto di non essere sottoposto ad alimentazione e idratazione artificiale nel momento in cui non riuscirà più a bere e a mangiare naturalmente. Un diritto che verrebbe cancellato se venisse approvata, così com’è in discussione, l’ultima versione della legge sul fine – vita

A marzo del 2007 mi contattò l’Associazione Luca Coscioni e mi chiese di verificare la situazione di Paolo Ravasin, 46enne ex-operaio affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, che aveva denunciato, tramite una lettera indirizzata alle associazioni che si occupano di malati, i disservizi e maltrattamenti che era costretto a subire da oltre due anni presso la struttura in cui era ricoverato: una fatiscente casa di riposo per anziani nel trevigiano. Si leggeva, tra le altre cose, che la macchina che gli consentiva di respirare si era bloccata per ben 18 volte nell’arco di soli due anni costringendolo -in apnea e cianotico- a dover spiegare al personale, sempre diverso, come riattivarla, che non era mai stato mosso dal letto in cui giaceva nemmeno per una passeggiata con una sedia a rotelle e che la struttura era del tutto inadeguata alle sue esigenze che erano, di tutta evidenza, molto diverse rispetto a quelle delle persone anziane.

Preso contatto col fratello, incontrai Paolo il giorno successivo e ne rimasi subito molto colpito: era tracheotomizzato ma la sua forza di volontà e il costante esercizio gli consentivano di parlare ancora con la sua voce e di farsi capire in quella bolgia di grida e strepiti che è un piano di un edificio pieno di anziani in parte non lucidi. Mi ribadì a voce quanto già aveva scritto e mi chiese di aiutarlo a lasciare il suo testamento biologico: era evidente da come parlava che era rimasto molto impressionato dalla battaglia, allora appena conclusasi, di Piergiorgio Welby. Gli risposi che prima avremmo dovuto intraprendere un percorso per cercare di migliorare la qualità della sua vita ottenendo lo spostamento in una struttura più idonea, il cambio del respiratore, un supporto psicologico, intraprendere un percorso volto all’ottenimento di un comunicatore simbolico che gli consentisse di navigare in internet e, solo in seguito, avrebbe potuto fare una valutazione circa la qualità della vita e redigere il suo testamento biologico.

Nel giro di qualche mese riuscimmo a ottenere tutte queste cose, eccezion fatta per il comunicatore simbolico, e ad ottenerle facendo una battaglia che Paolo volle essere pubblica in ogni momento tutta incentrata sulla carenza di strutture idonee in tutta la regione Veneto ad ospitare malati affetti da patologie simili a quella di Paolo: se un malato per propria scelta personale non vuole essere assistito in casa, infatti, l’unica alternativa se non ha grandi mezzi economici sono le case di riposo dal momento che gli ospedali non se ne fanno carico. Il trasferimento di Paolo infatti avvenne presso un’altra di queste strutture, seppur maggiormente attrezzata e con un personale più qualificato.

Una volta migliorato l’aspetto sanitario della sua vita e avviate le procedure per il miglioramento dell’aspetto sociale della stessa, cioè per l’ottenimento del comunicatore simbolico, era arrivato a marzo 2008 il momento di occuparsi, come promesso, delle sue scelte di fine vita. Paolo si candidò in testa ad una lista radical-socialista, Treviso più Europa, alle comunali di Treviso e, nel pieno della campagna elettorale, diede lettura, alla presenza dei media, del testamento biologico che aveva scritto. Nel pieno della bagarre elettorale -tra una Gentilinata e l’altra- non ebbe grande eco l’iniziativa di questo malato che chiedeva alla sanità e alla politica di non essere sottoposto ad alimentazione ed idratazione artificiale nel momento in cui non sarà più in grado di nutrirsi e bere naturalmente, di non essere più sottoposto, sempre da quel momento, ad altre cure e farmaci, fatta eccezione per gli antidolorifici, e di non essere più soggetto a ricoveri ospedalieri in nessun caso.

Le sue richieste erano e sono molto più semplici di quelle di Welby: Ravasin non chiede che la sospensione di un trattamento già in atto, ma solamente che non siano iniziate altre cure mediche che esplicitamente elenca e non desidera. A fine luglio 2008, soddisfatto del positivo esito della vicenda (giudiziaria) di Eluana Englaro, decise di dare lettura delle sue volontà anche in un video -poi diffuso su internet- affinché queste fossero ritenute assolutamente insuperabili: questa volta i media non poterono oscurare la forza di questo malato che con un filo di voce, ma determinazione da vendere che traspariva dagli occhi vivi, decideva di fare della suo dramma personale una battaglia politica per tutti.

Mentre un sondaggio via sms lanciato dal più diffuso quotidiano locale tra i lettori palesava un plebiscito popolare a favore della libertà di scelta di Ravasin, il noto teologo Don Mazzoccato dalle colonne del giornale diocesano “la Vita del Popolo” lo definiva un suicida e il Vescovo si preoccupava di recarsi in visita presso di lui. Gli stessi che non avevano mosso un dito negli anni precedenti per migliorare la qualità di vita di Paolo, avevano l’ardire di accusare lui e coloro che lo avevano seguito giorno per giorno di essere fautori di una cultura di morte. Paolo fu molto colpito da questa aggressione mossa proprio nei suoi confronti, cioè di una persona che non ha mai fatto segreto di essere un credente e di pregare ogni mattina; lo stesso Giovanni Paolo II secondo le testimonianze che ci sono pervenute rifiutò l’ultimo ricovero ospedaliero e chiese che lo lasciassero andare nella casa del Padre. Ma in quella circostanza nessuno parlò di suicidio.

Ma il peggio doveva ancora arrivare ed è di qualche settimana fa: l’approvazione della legge sul testamento biologico al Senato. Se la Camera dovesse confermare il testo così com’è, si tratterebbe di una vera e propria legge anti-Ravasin che gli negherebbe la possibilità di chiedere di non essere nutrito e idratato artificialmente (detto in altri termini di non essere bucato all’altezza della pancia o di non farsi infilare un sondino nasale) e che comunque renderebbe tutte le altre volontà espresse non vincolanti per il medico ma, in forza dell’emendamento dell’UDC e approvato, una sorta di direttiva per il medico, cioè un “consiglio”.

Per questo Paolo ha ritenuto di rivolgersi con un videomessaggio alle prime tre cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica e i Presidenti di Camera e Senato denunciando che se l’art. 32 della Costituzione vieta di sottoporre qualcuno ad un trattamento sanitario contro la sua volontà e se l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera alimentazione e idratazione artificiali come trattamenti sanitari, allora una legge che impedisce il rifiuto di dette terapie è incostituzionale. La speranza è che segua, nel giro di qualche ora, una risposta o che comunque le parole di Paolo servano come riflessione, una volta superato il furore ideologico del dopo-Englaro, per i deputati che si accingono a maggio a discutere la legge anche nell’altro ramo del Parlamento.