A Gaza la vita continua

di Giustiniano Rossi
da www.aprileonline.info

Tre mesi dopo la fine dell’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza, che ha provocato la morte di 1500 palestinesi, per la maggior parte civili e bambini, migliaia di feriti, la distruzione delle infrastrutture, delle case, delle scuole, delle università, delle fabbriche, la situazione resta grave, soprattutto sul piano umanitario, per oltre 1,5 milioni di Gazaoui tuttora rinchiusi malgrado la mobilitazione internazionale in difesa dei loro diritti

Nelle strade la vita riprende lentamente, dappertutto sono visibili le rovine di edifici distrutti dai bombardamenti ma gli abitanti di Gaza cercano di superare questo periodo difficile sforzandosi di condurre una vita più o meno normale, anche se sui loro volti si vede la tristezza e la preoccupazione di un popolo che continua a vivere sotto il blocco. Anche se le scuole, i negozi ed i mercati riprendono l’attività, è difficile per la gente dimenticare i morti, i feriti, le bombe, i missili ed i carri armati.

Tutto sembra uguale per i Gazaoui, sempre alla ricerca di una soluzione politica e non solo umanitaria. Il blocco dura da oltre 20 mesi, i passaggi e le frontiere sono sempre chiusi per ordine dell’esercito israeliano ed i prodotti alimentari che entrano a Gaza sono rari. Gli Israeliani aprono i varchi una o due volte la settimana per fare entrare qualche camion e qualche convoglio umanitario, spesso per organizzazioni internazionali come l’UNRWA, con soli cinque o sei prodotti, privando la popolazione di molti prodotti e materiali, come quelli per la ricostruzione, col pretesto che sarebbero utilizzati dalla fazioni palestinesi per fabbricare missili e razzi.

I Gazaoui hanno paura per l’avvenire dei loro figli e sperano di avere un governo di unione nazionale in Palestina per finirla con una divisione che ha aggravato la loro situazione economica e sociale e poter ricostruire Gaza. La loro unica speranza, come per gli altri palestinesi in Palestina ed all’estero, è l’istruzione. Malgrado la distruzione di più di 15 scuole, il bombardamento di altre 29 e di tre università nella Striscia, alunni, studenti e professori continuano a frequentare le loro classi, affrontando le perdite e le conseguenza economiche, sociali e psicologiche.

Molte lezioni si svolgono fra le rovine delle scuole colpite dai bombardamenti o nelle tende. Gli allievi che le frequentano rendono omaggio ai loro amici morti e feriti, continuano a leggere e scrivere la speranza, l’amore ed il futuro e depongono una rosa sui banchi di quelli che non ci sono più mostrando la loro capacità di costruire il loro avvenire prima di ricostruire le loro scuole.

Gli abitanti di Gaza hanno bisogno che venga tolto il blocco, che vengano aperti i passaggi e le frontiere e, soprattutto, di una soluzione politica e non soltanto economica, di un cambiamento radicale, di uno Stato, di uscire dalla loro prigione.

All’università, i giovani studenti proseguono i loro studi, anche nelle classi colpite dai bombardamenti: in Palestina l’istruzione è sacra, le famiglie incoraggiano i figli a conseguire una laurea anche se, data la disoccupazione e le difficoltà economiche, alla fine degli studi è difficile trovare un lavoro. L’istruzione fa parte della resistenza non violenta, una resistenza popolare, che mostra la capacità dei palestinesi di sfidare la situazione attuale e di lottare contro tutte le misure adottate dagli occupanti che tentano di privarli dei loro diritti fondamentali.

Gli abitanti di Gaza speravano che il loro sacrificio, la loro resistenza e soprattutto le manifestazioni popolari ovunque nel mondo avrebbero cambiato qualcosa, che il blocco sarebbe stato tolto, i passaggi e le frontiere sarebbero stati aperti, i criminali di guerra giudicati ma, purtroppo, nulla è cambiato per loro, che sono sempre rinchiusi e vivono un blocco che sta facendo sempre più vittime, dato che i malati non possono andare a farsi curare negli ospedali israeliani ed in quelli egiziani.

Per i Gazaoui resta una sola alternativa: resistere sulla loro terra, restare accanto alle macerie delle loro case distrutte dai bombardamenti e soprattutto sperare in una soluzione politica che permetta loro di vivere una vita normale a Gaza, in Palestina. Una soluzione che, dato l’esito delle recenti elezioni in Israele, non sembra a portata di mano, dato che 500 000 coloni israeliani risiedono ormai nei Territori occupati ed altri se ne aggiungono senza sosta, mentre il primo ministro Netanyahou non ha mai riconosciuto il diritto dei palestinesi ad uno Stato con Gerusalemme Est come capitale ed il suo ministro degli Esteri è fautore della deportazione dei palestinesi residenti dentro e fuori lo Stato d’Israele oltre il fiume Giordano.