In alto mare

di Naoki Tomasini
da www.peacereporter.net

La vita dei pescatori di Gaza dopo l’offensiva di gennaio è diventata impossibile. A chi giova l’assedio israeliano sulle acque della Striscia?

Dopo la fine dell’operazione Cast Lead contro la Striscia di Gaza, la vita già difficile dei pescatori palestinesi è diventata impossibile. Dallo scorso 18 gennaio gli attacchi israeliani contro le imbarcazioni civili palestinesi si sono ripetuti con cadenza quasi quotidiana, sempre all’interno delle acque territoriali della Striscia.

Gli accordi di Oslo riconoscono alla popolazione di Gaza il diritto a sfruttare le acque prospicienti la Striscia, per un’estensione di 20 miglia nautiche. Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia, però, la marina israeliana ha ridotto tale limite a sei miglia e ha iniziato ad attaccare i pescherecci palestinesi che si avvicinavano a quella soglia. Dalla fine di gennaio 2009, inoltre, lo spazio per la pesca palestinese è stato ulteriormente decurtato a tre miglia nautiche, cosa che ha reso inutile uscire in mare con i pescherecci, e ha costretto i pescatori della Striscia a gettare le reti a pochi passi dalla riva, a bordo di autentici gusci di noce.

Nonostante ciò, dalla fine dell’invasione ci sono state decine di incidenti in mare, anche entro le tre miglia nautiche. Queste notizie hanno trovato risonanza minima nella stampa internazionale. Tuttavia, basandosi solo su quelle riportate dai media, si calcola che in due mesi l’esercito israeliano abbia sequestrato 13 barche, arrestato 28 pescatori e ne abbia feriti almeno cinque. Nessuna di queste violazioni della sovranità palestinese è stata in alcun modo indagata o sanzionata.

Lo scorso 13 aprile, le agenzie internazionali riferivano di un misterioso attacco contro i soldati della marina israeliana, che sarebbe stato compiuto con una barca imbottita di esplosivo. Secondo il comando israeliano, la barca in questione sarebbe stata fatta esplodere con un comando a distanza da un misterioso gruppo chiamato Unità Speciali Segrete, ma il ministero dell’agricoltura palestinese smentisce completamente, sostenendo che il peschereccio sia esploso in conseguenza dei colpi sparati dai militari di Tsahal.

Israele accusa i pescatori palestinesi di essere coinvolti nel contrabbando di armi, che verrebbero scaricate in alto mare da navi iraniane. I pescatori della Striscia però negano categoricamente questa possibilità, e rivendicano il diritto di procurarsi il cibo quotidiano per le proprie famiglie. Da quando Israele ha stretto il controllo anche sul confine marittimo, i loro redditi sono crollati e l’intero settore allargato della pesca è al collasso. Al mercato del pesce di Gaza città, una folla di compratori attende ogni giorno l’arrivo del pesce, che è sempre più scarso e costoso.

Le cassette di merluzzi, sgombri e anche tonni, vengono vendute all’asta tra urla e spintoni. “Non ci importa nulla della politica” spiega a Peacereporter Mahmoud al Asi, il capo del sindacato dei pescatori della Striscia. “vogliamo solo lavorare, il contrabbando di armi è solo una squallida bugia. A nessuno di noi verrebbe in mente anche solo di portare un arma. Non vogliamo offrire a Israele un pretesto per attaccarci, ma tanto lo fanno ugualmente”.

Le testimonianze dei pescatori che in questi ultimi mesi sono stati arrestati sono tutte simili. Durante un’uscita in mare i pescatori vengono avvicinati da una barca israeliana, che li minaccia e gli spara. Poi la barca viene fatta ormeggiare a una boa, prima di essere sequestrata, mentre i pescatori vengono portati nei centri di interrogatorio e detenzione ad Ashkelon e Ashdod, in Israele. Nella maggioranza dei casi i pescatori raccontano di essere stati insultati e minacciati, e di avere poi ricevuto la proposta di collaborare con Israele, prima di essere rilasciati al confine con la Striscia, al valico di Eretz, senza soldi e spesso anche senza scarpe.

L’ultimo di questi episodi è avvenuto mercoledì 21 aprile, quando i soldati israeliani hanno arrestato quattro pescatori e sequestrato due imbarcazioni. In molti altri casi, le barche non sono state sequestrate ma sono state gravemente danneggiate dagli spari o le reti sono andate perse, danni che per il misero reddito dei pescatori di Gaza pesano come macigni.

Ma per quale ragione Israele ha scelto di restringere lo spazio marittimo della Striscia? Secondo Michel Chossudovsky, giornalista per Global Research, la riduzione delle acque territoriali e l’offensiva contro i pescatori sarebbero direttamente legate al possesso e al controllo delle riserve strategiche di gas, al largo delle coste della Striscia. Si tratta di giacimenti noti da quasi un decennio, che secondo la principale concessionaria, la British Gas, hanno un valore di circa quattro miliardi di dollari.

I diritti su quei giacimenti furono ceduti nel ’99 alla British Gas dall’Autorità Palestinese, che ne avrebbe dovuto ricavare un profitto. La sovranità palestinese su quel gas venne contestata dalla corte suprema israeliana, e nel 2001 l’allora premier Ariel Sharon pose il veto sull’accordo tra British Gas e Anp. L’elezione di Hamas nel 2006 ha sancito il crollo dell’Autorità Palestinese a Gaza e, scrive Chossudovsky, “ha permesso a Israele di prendere, de facto, il controllo di quelle riserve”. Israele tentò di riprendere la contrattazione con British Gas, ma l’accordo fallì nel 2007.

L’inchiesta di Global Research svela che i preparativi per l’offensiva dello scorso gennaio iniziarono nel giugno del 2008, e che nello stesso mese le autorità israeliane tentarono di riallacciare la trattativa con British Gas. Da allora non ci sono stati sviluppi pubblici, ma in compenso Israele ha prodotto un cambiamento sostanziale sul terreno: il tratto di mare di fronte alle coste della Striscia di Gaza è stato confiscato, anche se illegittimamente. Questo potrebbe rivelarsi decisivo per la trattativa con British Gas. “Se ciò dovesse accadere – conclude l’inchiesta – i giacimenti di Gaza sarebbero inglobati negli adiacenti impianti marittimi israeliani e si integrerebbero nel corridoio per il trasporto energetico che parte da Eilat, sul mar Rosso, e sale verso nord fino ad Ashkelon e poi ad Haifa”.