23 anni fa il disastro di Cernobyl

di Giorgio Beretta
da http://www.unimondo.org/

A 23 anni dal disastro, il nucleare rimane costoso e insicuro. Puntare sull’atomo, come intende fare il governo, significherebbe abbandonare qualsiasi investimento sulle rinnovabili. Ma il nucleare non abbasserebbe la bolletta energetica nazionale, né ridurrebbe la dipendenza italiana dall’estero

In occasione del ventitreesimo anniversario del disastro di Cernobyl [26 aprile 1986] un gruppo di attivisti russi e tedeschi di Greenpeace ha proiettato scritte antinucleari sul sarcofago della centrale nucleare. «Stop nuclear madness. Energy Revolution Now» [Stop follia nucleare. Rivoluzione energetica subito], «Dangerous obstacle to climate solution» [ostacolo pericoloso alle soluzioni per il clima] e il simbolo «Nucleare? No grazie!» in russo.

A 23 anni dall’incidente, le ricerche scientifiche mostrano ancora impatti sia sulla flora che sulla fauna. «Ancora nel 2006 nei campioni prelevati a Bober, villaggio fuori dalla zona di esclusione, la radioattività era venti volte i valori usati nell’Ue per definire un rifiuto radioattivo», riporta Greenpeace.

«La propaganda nucleare continua a parlare in modo scientificamente scorretto di 56 vittime tra i ‘liquidatori’: una cifra che dimostra la malafede dell’industria nucleare. Le radiazioni ionizzanti causano danni nel corso del tempo, sia di tipo somatico, come tumori e leucemie, sia di tipo genetico, come malformazioni nelle nuove generazioni» sottolinea l’associazione ambientalista.

Le dichiarazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica [Aiea] di Vienna nel 2005 citavano una valutazione dei casi mortali dell’ordine dei 4mila casi. Quella valutazione è stata poi ritirata e le stime riportate dal forum Cernobyl, cui partecipa anche l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2006 prevedevano oltre 9mila casi mortali complessivi, tra passati e futuri, nei gruppi di popolazione più colpiti. Gli stessi autori della ricerca conclusero che, allargando l’analisi anche a gruppi di popolazione meno esposti, la stima dei casi mortali saliva a 16mila.

Ma come riporta l’analisi pubblicata da Greenpeace esistono stime ben maggiori, nell’ordine delle centinaia di migliaia di vittime. Una valutazione condotta da 51 scienziati ucraini e bielorussi ha infatti stimato l’ordine di grandezza del danno in 100mila casi mortali. Greenpeace segnala inoltre che le stime dei costi per cercare di mettere in sicurezza il sarcofago, che rischia di crollare, sono aumentate da 600 a oltre 900 milioni di euro.

Numerose le iniziative internazionali per la giornata confluite nel Cernobyl Action Day coordinate per l’Europa da Sortir du Nucléaire, federazione tra 842 associazioni che si battono contro il nucleare.

Per l’occasione Legambiente ha rinnovato l’invito ad aderire alla campagna «Per il clima contro il nucleare» proponendo, tra le altre cose, alle amministrazioni locali di dichiarare il proprio territorio «sito denuclearizzato», una raccolta firme «per un sistema energetico moderno, pulito, sicuro» e l’organizzazione dibattiti sul tema.

La campagna di Legambiente intende smascherare la disinformazione sulle presunte opportunità che la recente decisione del governo di reintrodurre il nucleare in Italia garantirebbe al nostro paese e promuove invece un un modello energetico, fondato su politiche di efficienza e sviluppo delle rinnovabili e sul gas come fonte fossile di transizione.

«A 23 anni dall’incidente di Cernobyl, il nucleare pone ancora gravi problemi di sicurezza – spiega il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani – Non abbasserà affatto la bolletta energetica nazionale, non ridurrà la dipendenza italiana dall’estero e non ci permetterà di rispettare la scadenza europea del 2020 per la riduzione delle emissioni di gas serra prevista dall’accordo europeo 20-20-20.

Se l’Italia decidesse di puntare, come intende fare il governo, sul nucleare, visto il costo ingentissimo dell’operazione, abbandonerebbe di fatto qualsiasi investimento alternativo sullo sviluppo di rinnovabili, tecnologie pulite ed efficienza energetica e rinuncerebbe alla costruzione di quel sistema imprenditoriale innovativo e diffuso in grado di competere sul mercato globale, che ad esempio in Germania occupa 250 mila lavoratori e su cui vuole puntare la nuova amministrazione degli Stati Uniti».