Epidemia, crisi e povertà

da “La Jornada” del 27 aprile

Nella giornata di ieri, il ceppo di influenza suina che è apparsa in Messico sembra essere arrivata in diversi paesi: in Canada, Spagna, Francia, Nuova Zelanda e Israele vi sono casi di persone forse infettate dal virus; negli Stati uniti sono confermati una ventina di casi e il governo ha dichiarato un’«emergenza di salute pubblica», anche in diversi paesi del centro e del sudamerica sono sotto osservazione diversi pazienti che potrebbero essere stati contagiati.

In Messico, l’influenza si estende a Hidalgo e Veracruz; a Jalisco e Nuevo Leon si studia la possibile presenza di casi della malattia e si informa che il numero di morti confermati sale a 103 su tutto il territorio nazionale. Allo stesso tempo, il governo federale annuncia che i due terzi dei malati in tutto il paese sono stati dimessi.

L’inevitabile contrasto tra le morti registrate in Messico e il quadro clinico provocato dallo stesso virus negli Stati uniti, che sembra molto più benigno, hanno una spiegazione: la povertà.
Per cinque lustri, le successive amministrazioni federali si sono ostinate a portar avanti politiche economiche di «dimagrimento dello Stato» [inclusi i servizi di attenzione sanitaria ed educativa alla popolazione], con misure che favoriscono i capitali speculativi – in particolare quelli stranieri – a discapito del resto dei settori economici, e che facilitano il concentramento della ricchezza nazionale in poche mani e la condanna di milioni di persone a uno stadio di insufficienza in materia di entrate, alimentazione, trasporto, casa, salute ed educazione.

Se qualcosa ha impedito che la devastazione neoliberista sfocciase su una completa destabilizzazione del paese è stato il flusso migratorio verso il vicino paese del nord. Tuttavia, la prospettiva dell’esodo economico sembra essere arrivata, nell’attuale contesto di crisi economica, al limite delle sue possibilità come valvola di sfogo al maltrattamento sociale ed economico inflitto dalle successive amministrazioni alla maggior parte della popolazione.

Nel contesto che si è così creato e aggravato dai governi neoliberisti dal 1988 fino ad oggi, l’apparizione di un ceppo virale ampiamente annunciato sarà necessariamente disastroso e, a differenza di quanto accade negli Stati uniti e in diversi paesi europei, mortale per molte delle persone contagiate.

Indipedentemente delle misure adottate dai governi federale e locali per tentare di arginare l’inizio dell’epidemia, il primo mostra un’assoluta mancanza di interesse per il nuovo disastro economico che sta colpendo le fasce meno protette della popolazione.

Occore chiedersi quante migliaia di piccoli negozi familiari – che danno da vivere a persone che si mantegono con i guadagni del giorno stesso – per non parlare delle piccole e medie imprese, che sono già sull’orlo del fallimento o lo diventeranno nei prossimi giorni; in che percentuale si diffonderà la disoccupazione prima dell’esaurimento dei posti di lavoro o dell’impossibilità di molti lavoratori ad andare a lavorare.

Senza voler criticare i provedimenti ufficiali che mirano a minimizzare il contagio, è ovvio che questi devono essere accompagnati subito da misure che attutiscano questi e altri impatti devastanti per una larga parte della popolazione della valle di Messico che patisce gli effetti di tre crisi sovraposte: la crisi provocata dalla politica economica neoliberista che l’ha mantenuta in uno stato di sottomissione per almeno due decadi; la crisi globale che colpisce il mondo, e le consguenze della paralisi delle attività dettata dalla necessità di affrontare il ceppo di influenza suina.

Ad illustrare la proverbiale indiferenza del governo di fronte ai bisogni della popolazione, ci ha pensato solo ieri sera il segretario dell’Agenzia del credito pubblico, Agustin Carstens, che ha ammesso che la propagazione della malattia «può aver un impatto importante sull’economia», e però ha aggiunto di non essere abbastanza pronto «per dare un’opinione più completa».

Nelle circostanze attuali è urgente che le autorità, oltre a mettere in campo le azioni utili per evitare una maggiore diffusione del nuovo virus, incomincino una volta per tutte a preoccuparsi di riscattare i settori maggioritari della popolazione dal disastro causato da decenni di politiche economiche antipopolari; è ora che venga presentato un piano reale e coerente destinato a sostenere i cittadini, prima delle grandi imprese e delle lobby. Serve un appoggio a chi non ha reddito e ai disoccupati, agli studenti…

In fin dei conti, le riserve monetarie del paese, così come i prestiti contratti con il governo o con gli organismi finanziari internazionali, sono solo soldi della società, non soldi delle grande imprese né dei funzionari.