TEMPO

A CURA DEL POST CARBON INSTITUTE

Da ora in poi, la sopravvivenza collettiva si baserà sulle strategie che adotteremo come risposta all’emergenza. Alcune tattiche peggioreranno la situazione, mentre altre prepareranno il terreno per tempi migliori che verranno.

Il quadro generale è abbastanza chiaro. Una combinazione di esaurimento del petrolio, cambiamento climatico e l’esplosione della madre delle bolle economiche avrà come conseguenza il collasso dell’economia globale, forse della civiltà stessa. Se vogliamo ancora evitare il peggio di una crisi che potrebbe degenerare in morti incalcolabili, distruzione e tragedia, c’è necessità di ristrutturare immediatamente i sistemi energetici mondiali e i sistemi monetari.

Questo messaggio (in un modo o nell’altro) viene diffuso da una ventina di scrittori indipendenti, organizzazioni ambientaliste ed esperti di economia. Infatti, perfino prima che qualcuno sentisse parlare di credit default swap, andando a ritroso negli anni settanta se non addirittura prima, simili avvertimenti si udivano periodicamente.

Tuttavia predire una catastrofe globale può essere un affare complicato, perché ognuno vuole sapere solo quando essa avverrà. E questo è l’ostacolo. Come membro tesserato del Club Cassandra, lo considero un perenne cespuglio di rovi. Ci sono state talmente tante variabili in gioco che tutto ciò che uno può dire con assoluta sicurezza è che la civiltà industriale si esaurirà “nelle prime due o tre decadi del 21esimo secolo”. Molte persone considerano tutto ciò molto vago, e i leader istituzionali hanno dimostrato ripetutamente di rispondere solo in caso di avvertimenti ben definiti riguardanti catastrofi abbastanza imminenti.

Ciò carica di un peso ingiusto coloro che hanno il compito di svegliare il mondo dal crollo imminente. Se agisci prematuramente sembrerai uno sciocco; se fai una previsione conservatrice di un crollo che avverrà nel futuro lontano fallirai nel motivare qualcuno a cambiare il corso delle cose.

Alcuni scritti recenti hanno evidenziato questi trabocchetti in modi differenti e affascinanti, portandomi a disegnare una conclusione abbastanza impressionante (a cui arriveremo poi) concernente l’attuale crash economico globale.

Uno di questi libri è ‘La bomba della popolazione’ [“The Population Bomb”], scritto da Paul Ehrlich nel 1968. Ci sono molte cose da ammirare in questo libro, a più di quarant’anni dalla sua pubblicazione. Vi è menzione dell’effetto serra, così come buone analisi del degrado dell’ecosistema, dell’inquinamento e della fragilità dell’agricoltura industriale. Comunque, l’autore esegue una famosa predizione di eventi che non si verificheranno nel tempo in cui lui pensava accadessero (dico ‘famosa’ perché da allora alcuni provocatori pro-crescita hanno trasformato nel loro ‘lavoro a domicilio’ il colpire Ehrlich). Ovviamente, queste ‘previsioni’ sono state presentate solo come possibili scenari, ma molti lettori se ne uscirono anticipando enormi carestie negli anni settanta – che, naturalmente, non accaddero mai (o furono semplicemente posticipate?).

Un altro meraviglioso libro di alcuni decenni fa (in questo caso, 1978), di Warren Johnson, intitolato ‘Procedere confusamente verso la frugalità: un modello per la sopravvivenza negli anni 80’ [“Muddling Toward Frugality: A Blueprint for Survival in the 1980s”, il titolo è un gioco di parole, “muddling toward” vuol dire appunto procedere confusamente o disordinatamente, ma muddling, in particolare nell’espressione “muddling through”, significa anche “cavarsela”. N.d.r.], ricorda alcune opportunità perse.

‘Procedere’ è uno dei classici del genere che comprende anche ‘Oltrepassare [i limiti, ndt]’ [“Overshoot”], di William Catton. Johnson inizia il libro con ‘una panoramica ecologica della storia’ che riesce, in 25 pagine, a raccontare la storia della nostra specie in modo così conciso e chiaro come nessuno aveva mai fatto (ho un particolare passione per storie cultural-ecologiche sintetiche – e ho offerto la mia versione nel primo capitolo de ‘La festa è finita’ [“The Party’s Over”] – perciò ne riconosco una buona appena la vedo). Egli prosegue spiegando l’inevitabilità della crisi ecologico-economico-demografica, comunque con una certa lucidità. La morale del libro è una discussione riguardo come possiamo ‘cavarcela’ in tempi duri per arrivare ad uno stile di vita molto più localizzato e che comporti un minor consumo di energia e risorse.

Il libro è soffuso con l’aura del suo tempo. Nel 1978 il mondo vacillava a causa del rialzo dei prezzi dell’energia ed era in una situazione di fermento economico. Johnson ritenne che quei prezzi alti sarebbero rimasti stabili, e che gradualmente la società si sarebbe aggiustata. Sarebbe stato tutto piuttosto doloroso, ma alla fine ce l’avremmo fatta, attraverso errori e fatica, ad adattarci alla scarsità, fermando la crescita economica e imparando a vivere entro i limiti. Leggendo questo nel 2009 fa piacere capire che, guardando indietro, troviamo un futuro [riferito agli anni successivi alla stesura del libro, ndt] relativamente privo di tali shock.

Johnson nota come poche buche possano intralciare la riuscita del cammino. Per esempio, se i cambiamenti climatici accelerano, se l’economia collassa, se vi è un conflitto geopolitico per le risorse rimaste, o se (come conseguenza di tutti questi problemi) le istituzioni politiche diventano instabili, allora l’“azione confusa” non reggerà.

Effettivamente, molti di questi sviluppi spaventosi hanno avuto luogo. Una sola possibilità non viene discussa da Johnson: che succederebbe se i prezzi dell’energia crollassero? Dunque, in questo caso non ci sarebbe nessuna pressione a cui adattarsi, e la società ritornerebbe alle vecchie abitudini di crescita e consumo. Poi il crollo, qualora arrivasse, sarebbe molto peggiore, rendendo il processo impossibile.

Questo, naturalmente, è esattamente ciò che accadde in breve tempo. I prezzi del petrolio scesero alla metà degli anni ottanta, rimasero bassi per tutti gli anni novanta, nacque il SUV, ed eccoci qui ora.

Un’altra lettura recente: ‘Il picco del 2030: conto alla rovescia verso la catastrofe globale’ [“The 2030 Spike: Countdown to Global Catastrophe”], del politico australiano e corrispondente all’estero, Colin Mason, pubblicato nel 2003. La tesi del libro è stata recentemente integrata dal saggio di Jonathan Porritt, ‘Evitare la recessione finale’: entrambi gli scritti dipendono essenzialmente dalla stessa previsione di un gigantesco crollo economico-ambientale nei prossimi vent’anni, come conseguenza di circostanze convergenti che includono l’impoverimento delle risorse petrolifere, sovrappopolazione, cambiamento climatico, scarsità di cibo e acqua, e (secondo l’analisi di Mason) un flop della legislazione internazionale.

Mason dipinge un quadro terribile della vita nei prossimi due decenni, e nel resto del libro annota cento priorità immediate per evitare una nuova Età Oscura. E’ tutta roba grandiosa. Ma la domanda che mi è saltata in mente al momento in cui vidi il titolo del libro fu: ne abbiamo veramente fino al 2030?

Porritt, ad essere onesti, afferma che tutto ciò potrebbe accadere prima del 2020. Tuttavia, la nozione essenziale che entrambi gli autori condividono consiste nel fatto che abbiamo ancora una possibilità prima del disastro, un periodo di normale lavoro che dobbiamo utilizzare saggiamente per una rapida e proattiva reingegnerizzazione della società per evitare il cambiamento climatico catastrofico, il collasso ambientale e l’impoverimento delle risorse.

Mason e Porritt comprensibilmente non vogliono commettere gli errori di Ehrlich e Johnson. Porritt intitola in modo efficace il suo saggio ‘Evitare la recessione finale’. Sta dicendo (parafrasan
do ora): “Ehi gente, ciò che vediamo attualmente potrebbe essere peggio, ma ci riprenderemo. Ciò che accadrà in un decennio o due, quando il cambiamento climatico sfonderà, costituirà una Depressione dalla quale non c’è via d’uscita. Perciò mettiamoci in marcia per fare in modo che non succeda”.

Ma la grandezza dell’attuale crollo economico solleva la questione: questo è solo un singhiozzo, o è l’inizio della fine (non del mondo, forse, ma certamente della vita che abbiamo conosciuto nei decenni scorsi)? A questo punto, si tratta ancora di decidere.

Forse Geithner e Bernanke possono compiere un miracolo e stabilizzare l’economia. In tal caso, con la domanda di energia che è caduta, fino ad ora, sotto il livello di un anno fa, potrebbero volerci almeno cinque anni da adesso – chi lo sa, magari anche sette – perché l’impoverimento [dei pozzi n.d.r.] e il declino causino il nuovo rialzo dei prezzi del petrolio, dando il colpo di grazia all’economia. A quel punto, non ci sarebbe infatti più possibilità di recupero, ma solo di adattamento. Questo è il miglior scenario che riesco ad immaginare (in termini di conservazione dello status quo).

Ho tuttavia faticato a immaginarmi tale quadro. Uno scenario molto più probabile, dal mio punto di vista: assisteremo ad alcuni mesi di deterioramento economico graduale (rallentato dagli sforzi della Brigata del Salvataggio), seguiti da un crollo economico globale veramente disastroso. Il risultato consisterà in un livello generale di attività economica molto più basso rispetto a quello a cui è abituato il mondo.

Gli sforzi per riportare a galla la nave comprenderanno una legislazione protezionista (che provocherà conflitti internazionali), la riunione dei leader mondiali per creare un nuovo sistema monetario e finanziario (che probabilmente non avrà successo, almeno non al primo tentativo), e varie sollevazioni popolari che condurranno all’instabilità politica in tutto il globo. La domanda di energia rimarrà bassa, però la produzione di energia crollerà drammaticamente a causa della mancanza di investimenti. Le emissioni di anidride carbonica si ridurranno, cosicché l’attenzione mondiale non si concentrerà più sul tema della riduzione dei gas serra, perfino se gli impatti climatici dovuti alle precedenti emissioni seguiteranno a peggiorare.

Ma eccoci al nodo centrale del problema: a differenza della situazione che il mondo si trovò ad affrontare negli anni settanta, non c’è prospettiva per un altro ritorno all’energia a basso costo. E’ troppo tardi per agire. Non c’è più tempo per un adattamento proattivo. Da ora in poi, la sopravvivenza collettiva si baserà sulle strategie che adotteremo come risposta all’emergenza. Alcune tattiche peggioreranno la situazione, mentre altre prepareranno il terreno per tempi migliori che verranno. Questo è ciò a cui siamo giunti. Uno non desidera urlare in modo penetrante, ma è necessario.

Più ci avviciniamo al crollo, minore è il margine di errore nel predirlo. Non c’è veramente tutta questa gran differenza tra la pessimistica data della catastrofe prevista da Porritt (2020) e la mia previsione di più largo respiro e più ottimistica, che è il 2016. Ma forse più ci avviciniamo all’orizzonte dell’evento, meno le discussioni sul tempo che ci resta hanno importanza, poiché l’intera conversazione ha senso solo se considerata un modo per motivare la gente ad una azione coordinata prima che il crollo avvenga. Una volta che l’inevitabile inizia, non esiste più nessuna preparazione possibile. La nostra strategia deve passare dalla prevenzione della crisi alla gestione della crisi.

Questo è il punto in cui ci troviamo ora, secondo la mia opinione.

Quindi, necessitiamo disperatamente di parlare dei modi di gestire la crisi che minimizzino la sofferenza umana preservando l’ambiente e preparando il terreno per uno stile di vita sostenibile per le generazioni future.

E’ una nuova conversazione, perciò sarà necessario un po’ di tempo per orientarci in tale direzione. Ma non mettiamoci troppo. Una cosa possiamo dire riguardo il ritmo [della crisi, ndt], con cui penso ognuno dovrebbe essere d’accordo: sta accelerando.