Sequestri di padroni

di Alessandro Cisilin
da Galatea European Magazine

«Mi rivolto, dunque siamo. La storia prodigiosa qui evocata è la storia dell’orgoglio europeo». Le parole di Albert Camus sembrano tornare d’attualità con l’escalation di sequestri che stanno bersagliando i dirigenti d’azienda in Francia. L’istinto individuale che trova sbocco nell’altrettanto spontanea rabbia collettiva.

Non si può fare, beninteso: il rapimento all’interno dell’impresa è severamente punito dal codice penale transalpino. Sta di fatto che accade, con illustri ed estesi precedenti nel paese, dall’Alto Medioevo agli anni ’70. E risuccede per la disperazione dei tagli motivati dalla crisi, nonché per la presa d’atto dell’assenza di esiti dal ricorrente modello negoziale.

Il primo episodio ha coinvolto un paio di mesi fa il patron di Sony France, a Pontonx sur l’Adour, nel dipartimento sud-occidentale delle Landes, tenuto in ostaggio per ventiquattr’ore, l’identico trattamento riservato qualche giorno più tardi al direttore dell’azienda farmaceutica 3M di Pithiviers, a Sud di Parigi.

Poi è arrivato il turno dell’illustre magnate del lusso François-Henri Pinault, grande collezionista d’arte e proprietario tra l’altro del veneziano Palazzo Grassi, per un patrimonio stimato a quattordici miliardi di euro, un gruzzoletto da tenere ben al riparo dai piani di “ristrutturazione” da lui imposti alle proprie imprese, che prevedono il licenziamento di almeno millequattrocento persone. Dopo una riunione dei vertici del gruppo (la Pinault-Printemps-Redoute, fondata dal padre) nel quindicesimo arrondissement parigino, i dipendenti dei magazzini Fnac e Conforama hanno tenuto sotto assedio, a calci e spintoni, il taxi su cui era a bordo. E’ durato una lunga ora, fino all’intervento della polizia.

E infine il fatto più clamoroso, ossia il sequestro di cinque dirigenti delle due fabbriche dell’americana Caterpillar nella regione di Grenoble, incluso il direttore Nicolas Polutnick, al seguito dell’annunciato licenziamento di settecentotrentatre operai, ossia quasi un terzo della forza lavoro in Francia.

L’azienda si difende denunciando un crollo del cinquantacinque per cento delle ordinazioni, con la conseguenza che gli “esuberi” costituirebbero la sola possibilità per evitare di cacciare tutti e di chiudere gli stabilimenti.

La crisi tuttavia, qui come altrove, puzza di pretesto, trattandosi del più grande produttore al mondo di veicoli e macchinari per costruzioni ed estrazioni, di motori diesel e a gas naturali, nonché di turbine a gas industriali. Non è insomma un’azienda in rosso, bensì realizza tuttora utili.

E’ suonato allora inaccettabile il rifiuto padronale di qualsiasi negoziato con i sindacati sulle esistenti controproposte di riduzione salariale e di indennità di licenziamento. «Oggi si licenzia per migliorare il rendimento degli azionisti», spiega Nicolas Benoît, delegato della Confédération Générale du Travail nell’impresa.

La rabbia è allora quantomeno comprensibile. Comandano ancora gli interessi azionari, gli stessi che hanno portato al crack l’economia reale. E quando si tratta non degli spiccioli del trattamento di fine rapporto dei lavoratori ma di buonuscite milionarie per la casta dei propri dirigenti le imprese non battono ciglio e l’Eliseo va poco al di là di dichiarazioni populistiche.

Il decreto recentemente varato dal governo riguarda solo le sei banche interessate dagli aiuti di Stato e due case automobilistiche, e limita il proprio orizzonte temporale all’anno prossimo.

E’ stato in realtà lo stesso Sarkozy a intervenire per calmare le acque a Caterpillar ricevendone i dipendenti e spingendo per riaprire la trattativa. Le parole però non bastano ai lavoratori, che tengono dissotterrata l’ascia di guerra, consapevoli che una promessa presidenziale pronunciata l’anno scorso per evitare la chiusura dell’acciaieria dell’Arcelor-Mittal si è risolta nel nulla di fatto, ovvero nel licenziamento dei suoi cinquecentosettantacinque operai.

«Nichilista la rivolta? – si è chiesto allora Adriano Sofri – Beh – si è risposto – le avete tolto tutto, anche la lepre (ideologica) della rivoluzione». La Francia rivendica quella lepre. E ai sondaggi, metà dei suoi cittadini si dice oggi favorevole all’arma del sequestro.