Sobrietà. Il consumo responsabile al tempo della crisi

di Chiara Saraceno
da http://www.repubblica.it/

Diversi indicatori segnalano che la crisi economica, arrivata direttamente o anche solo temuta, nei bilanci famigliari ha prodotto un sensibile rallentamento dei consumi primari. Ciò riguarda le
famiglie e gli individui che hanno poco margine di manovra, perché non sono state in grado di
risparmiare e/o perché non possono contare su fonti di reddito alternative. Per queste persone e famiglie, più che di sobrietà è più corretto parlare di ristrettezze e difficoltà.

Sobrietà, infatti, riguarda lo stile, più che la quantità di consumo e più in generale uno stile di
comportamento. Non è neppure automaticamente assimilabile all’austerità evocata durante la crisi petrolifera degli anni Settanta, quando sembrava che fossero indebolite le condizioni di benessere per tutti, a motivo dell’aumento del costo di una materia prima essenziale e del suo possibile razionamento da parte dei proprietari, per lo più esterni al mondo sviluppato. L’invito all’austerità era un invito a ridurre i consumi tout court. Abbiamo visto come è andata: passata la paura, ne è seguita l’era del consumismo più sfacciato, più esibito, anche più volgare.

Oggi lo stimolo alla sobrietà viene dallo spettacolo dell’improvviso, e disuguale, spiazzamento delle condizioni di vita di interi gruppi sociali ad opera di meccanismi interni: di un certo tipo di
capitalismo e di mercato senza regole, che ha rivelato i propri effetti disastrosi sul piano sociale e delle disuguaglianze anche agli occhi dei non esperti.

Di fronte al rischio di impoverimento di interi gruppi sociali, è lo stesso modello di arricchimento
che viene messo in discussione ed alcuni comportamenti appaiono moralmente intollerabili, oltre che di cattivo gusto. E anche chi si sente al riparo può essere indotto a modificare il proprio stile di vita, in direzione di consumi meno vistosi, meno offensivi per chi non se li può permettere, ma anche più consapevoli, più attenti al rapporto tra qualità e prezzo, all’evitare gli sprechi. Senza
necessariamente ridurre il proprio standard di vita e sentendosi anche virtuosi.

Così si cercano i luoghi in cui si possono comperare i detersivi alla spina, in cui pasta e riso di
buona qualità si acquistano sfusi e a peso, come quando io ero bambina – risparmiando, con
benefici anche per l’ambiente, sulle confezioni. Si entra in un gruppo di acquisto per avere prodotti qualitativamente migliori a prezzo più basso. E si aderisce alla parola d’ordine dei prodotti a chilometro zero, che riduce i costi dei passaggi di mano e valorizza i prodotti del territorio.

Si va meno al ristorante, ma si fanno più inviti in casa. Si cerca di spiegare ai propri figli che non è proprio necessario andare sempre in giro firmatissimi, da capo a piedi, e che se anche non si ha l’ultimo modello di (orrende) sneakers si sopravvive benissimo lo stesso. E non è proprio strettamente necessario possedere l’ultimo gadget più o meno tecnologico. Aumentano così probabilmente – o cambiano di registro – le negoziazioni intrafamiliari, potenzialmente, ma non è detto, allargando lo spazio per riflessioni su priorità e valori.

Anche senza ipotizzare maliziosamente che, come per l’austerità, questo atteggiamento durerà solo il tempo della crisi, non sedimentando in comportamenti e modi di essere e fare più stabili, non se ne possono nascondere alcuni effetti paradossali. In primo luogo, proprio perché la sobrietà nel consumo intesa come non spreco e attenzione alla qualità piuttosto che alla visibilità, è un atteggiamento che riguarda chi non è costretto dalla necessità, rischia di creare nuove, più sottili forme di divisioni sociali.

C’è chi può solo accontentarsi di sottomarche e di discount di incerta qualità, e chi ha le risorse culturali, di tempo, di informazione, per cercare il gruppo di acquisto più sfizioso e che può permettersi pochi capi di buona qualità. Allo spreco vistoso può sostituirsi l’understatement, che segna una ancora più forte distinzione sociale – come è sempre stato, per altro.

In secondo luogo, la riduzione dei consumi da parte di chi potrebbe permetterseli può avere un
effetto negativo su coloro che invece devono ridurli perché non possono permetterseli: riducendo la domanda di beni e quindi anche del lavoro di chi quei beni produce. Per questo, a differenza che all’epoca dell’austerità, nessun politico e nessun movimento ha fatto della sobrietà un invito o una parola d’ordine.

Forse il miglior risultato si potrebbe conseguire sul piano dei comportamenti pubblici: più sobrietà nelle dichiarazioni, nelle promesse e nelle accuse dei politici, ma anche nelle attese salvifiche nei confronti dei potenti di turno.

Più sobrietà, ed anche modestia, da parte dei vari esperti ed istituzioni nazionali e internazionali che non hanno dato una brillantissima prova di lungimiranza e capacità di controllo. Più sobrietà nei personaggi dello spettacolo e nei vari reality e spettacoli televisivi. Se non sbaglio, sono stati i terremotati dell’Aquila a rilevare quanto fossero offensive le “sofferenze” dei protagonisti di non so quale reality a fronte delle loro concretissime tende quotidianamente allagate e alla loro vita devastata.