Il disgelo delle Americhe

di Bruna Peyrot
da www.riforma.it

In marzo Lula, in visita a Washington, aveva rotto il ghiaccio con il potente vicino del nord. L’elezione del presidente Obama, che primo fra i presidenti della Repubblica lo aveva ricevuto, era un segno che gli Usa desideravano voltare pagina. La speranza che potesse cambiare anche lo stile di ricerca di un’unione non solo latinoamericana, bensì di tutto il continente, di tutte «le Americhe».

Del resto, Obama, fra le prime telefonate da presidente aveva cercato Lula, ribadendo in più occasioni l’ammirazione per il Brasile. E ancora Lula aveva dichiarato, appena il collega era stato eletto: «sto pregando più per lui che per me», a proposito dello scoppio della crisi finanziaria a quaranta giorni dal suo ingresso alla Casa Bianca.

Non solo: non aveva nascosto infatti che Obama avesse l’opportunità storica di migliorare le relazioni fra America latina e Africa, l’altro continente al quale, nel corso dei suoi due mandati Lula ha dedicato i suoi sforzi programmatici. Insomma, da questi inizi si potevano intravedere segnali di una relazione che avrebbe potuto rivelarsi proficua in futuro.

Nel caso specifico nel Brasile i problemi non mancano, come la clausola Buy American che protegge i prodotti americani e tassa quelli brasiliani oppure le alte tasse sull’etanolo esportato dal Brasile sempre per proteggere l’economia statunitense. Insomma, in poche parole in discussione è il protezionismo di un Paese come gli Usa che predicano il libero commercio solo per gli altri Stati del mondo.

Tuttavia, altri temi potrebbero unire Usa e Brasile: per esempio la laicità dello Stato. In Brasile si sono aperte questioni specie rispetto al caso, divenuto oggetto di dibattito giornalistico, di una bambina di nove anni stuprata dal patrigno e incinta di quattro mesi alla quale è stato praticato l’aborto da una équipe medica autorizzata dalla madre.

L’arcivescovo di Olinda e Recife, dom José Cardoso Sobrinho, ha pensato bene di scomunicare tutti: madre e medici, cosa che ha suscitato i commenti dello stesso Lula: «la bambina rischiava la morte – ha detto – e in questo la medicina è più corretta della chiesa». Affermazioni che hanno scatenato le ire dell’Arcivescovo e lo scatenarsi di opinioni pro e contro l’accaduto.

La domanda che sta agitando il Brasile è se sia giusto o no mettere in questione i dogmi della chiesa, specie in un momento in cui anche la teologia della liberazione, con la sua opzione per i poveri, non viene valorizzata da questo pontificato.

La laicità di uno Stato significa che la propria legislazione riguardante le scelte relative a morte e vita sono sottoposte a una legge che tuteli i diritti dei singoli più che proclamare i dogmi di un cattolicesimo legato alla propria obbedienza gerarchica: è in fondo lo stesso problema degli Usa di Obama che a sua volta ha lanciato altri segnali positivi, ben accolti in America latina.

Sono due le grosse questioni del disgelo: Cuba, espulsa dal 1962 dall’Osa e Chavez con la sua «rivoluzione bolivariana». Per la prima ancora non si parla di sciogliere l’embargo, ma è positivo almeno il dialogo iniziato con Raul Castro, sostenuto da quasi tutti gli Stati latinoamericani, specie dall’Argentina di Cristina Kirchner.

Per il secondo la stretta di mano con Obama al V Vertice della Cupola delle Americhe (Osa) a Trinidad e Tobago della terza settimana di aprile è un inizio di percorso che sarà lungo, ha detto Obama, ma non più ignorato.

Alcune considerazioni finali

1) la V Cupola dell’Osa ha aperto un dialogo vero fra due Americhe che non si parlavano da molto tempo. Aprire un dialogo non significa ancora arrivare a mediazioni altrettanto reali sulle questioni scottanti che dividono, ma per lo meno significa un assumersi reciproco come interlocutori, ri-conoscersi, non demonizzarsi più. Può essere un buon inizio.

2) Se questo dialogo proseguirà davvero le Americhe dovranno affrontare una delle contraddizioni più profonde che questo secolo ancora deve risolvere: quella fra Paesi ricchi e Paesi poveri, fra gli Usa dominanti e il centro e sud America emergente. Le soluzioni possibili di questo divario potrebbero essere emblematiche anche per altre parti del mondo.

3) Certo se cambieranno i rapporti fra Usa e America latina, soprattutto in questo ultimo subcontinente dovrà cambiare l’immagine di sfiducia ormai sedimentata verso gli Usa. Decenni di interferenze – dal Plan Condor, operazione che ha legato le dittature sudamericane degli anni ‘70 nella caccia alle opposizioni, al ruolo delle multinazionali come la United Fruit Company e a quelle petrolifere, fino alle interferenze in Paesi come Panama, Nicaragua e Guatemala – hanno costruito un muro potente di divisione. Sarà interessante capire quale nuove culture fioriranno se il dialogo con Obama continuerà.

4) La questione dell’embargo a Cuba, infine, non sarà di rapida soluzione, ma si percepisce almeno che non è più tabù parlarne. La speranza è che pressioni della Segretaria di Stato Hillary Clinton per la liberazione dei dissidenti cubani e l’apertura di un processo di apertura dell’embargo possano ridare a Cuba ossigeno politico, economico e culturale.