La crisi economica e i bilanci di genere

di Giovanna Badalassi
da www.womenews.net

Nonostante occupi le prime pagine oramai da diversi mesi, la più grande crisi economica globale continua ad essere rappresentata a livello mediatico con i toni propri dell’emergenza. Eppure, proprio per la sua gravità e durata, meriterebbe di essere maggiormente studiata e approfondita nelle sue conseguenze, per poterle contrapporre politiche serie ed efficaci. Una lettura di genere dell’impatto della crisi può offrire in questo senso un importante contributo di conoscenza.

L’impatto di genere nella crisi dell’occupazione

Alcuni studi sulla crisi occupazionale di donne e uomini sono già stati svolti sia a livello globale dall’ILO, International Labour Organization, che nazionale (negli Stati Uniti in Gran Bretagna, in Francia, e anche in alcuni articoli in Italia).

E’ stato messo in evidenza che la recessione produce un impatto di genere multiforme, obbligando a segmentare e distinguere le diverse condizioni sociali. La crisi industriale ha infatti colpito soprattutto gli uomini, maggiormente occupati nel settore dell’auto, della meccanica pesante, e della finanza, mentre per le donne, lavorando maggiormente nei servizi, i tempi della crisi sono più lenti a manifestarsi. D’altra parte si è anche sottolineato l’impatto della crisi sui lavoratori più fragili, quelli a progetto, a part time, tra i quali la presenza delle donne è significativa.

L’impressione generale è che la crisi aumenti ancora di più il divario tra lavoratori forti, uomini e donne, che possiedono livello di istruzione, esperienza, mobilità territoriale e capacità di relazione, e i lavoratori più deboli. Tra questi una parte consistente è rappresentata dalle donne meno istruite, condizionate dai vincoli familiari e dalle maggiori esigenze di conciliazione, con pesanti carichi di lavoro familiare (come anche le ultime statistiche OCSE mostrano), soprattutto se in età matura.

Ma la riduzione dell’occupazione non è il solo effetto della crisi. Occorre considerarne l’impatto sulle responsabilità familiari, sul lavoro non pagato e di cura. E’ già stato infatti rilevato che in tempo di crisi le maggiori difficoltà economiche aumentano in misura considerevole il lavoro familiare delle donne. I tagli operati ai servizi di cura si riflettono infatti su un aumento del già oneroso carico domestico. Vengono infatti ridotti i consumi non solo di beni, ma anche di quei servizi che favoriscono il lavoro di cura e la conciliazione (baby sitter, badanti, colf, tintorie, ristoranti, ripetizioni). Questo aggravio del lavoro non retribuito produce anche un impatto economico consistente.

Se è stato stimato che l’esternalizzazione del lavoro di cura delle occupate consente di generare 115 posti di lavoro ogni 100 donne che lavorano, è logico attendersi che ogni 100 donne occupate in meno si possano perdere in realtà 115 posti di lavoro.

L’impatto di genere della spesa sociale in tempo di crisi

Queste brevi considerazioni proiettate sulla lettura delle politiche pubbliche portano a ribadire l’importanza fondamentale della spesa sociale in tempo di crisi, non solo per sostenere pari opportunità di crescita professionale e sociale a donne e uomini, ma anche per innescare un meccanismo di sviluppo virtuoso indispensabile per uscire dalla crisi.

Il grave dissesto della finanza pubblica e gli orientamenti politici attuali hanno indotto però in questi ultimi tempi un progressivo contenimento della spesa sociale, che produce un impatto negativo soprattutto sulle donne, colpite sia come utenti principali, dirette e indirette dei servizi della spesa sociale, sia come lavoratrici.

Sono già state prodotte ad esempio letture sull’impatto occupazionale femminile legato alla riduzione delle spese per il tempo pieno nella scuola sia per le madri degli alunni che per le insegnanti, mentre i risparmi di spesa previsti per il settore della sanità incideranno significativamente sulle donne anziane, soprattutto le più indigenti, forti fruitrici di servizi sanitari, sulle caregivers familiari, (figlie, nuore, cognate, etc), e sulle lavoratrici nel settore della sanità.

Senza contare l’importanza delle politiche di sostegno economico alle famiglie. Un impatto di genere diretto, ad esempio, si è già potuto verificare in alcune realtà ospedaliere che hanno rilevato un incremento della domanda di IVG dovuta alle difficoltà economiche indotte dalla crisi.

La dimensione locale della spesa sociale e i bilanci di genere

Soprattutto nella lettura di genere al femminile emerge dunque l’importanza di efficaci politiche pubbliche, che sono chiamate ad azioni mirate e precise, in grado di non disperdere le risorse disponibili e di distribuirle secondo effettivi criteri di necessità.

In questo senso emerge l’importanza di uno strumento quale il bilancio di genere, fortemente sostenuto dall’UE, che permette di operare una verifica sull’operato pubblico rispetto alle conseguenze sulle donne e sugli uomini, e che adotta la prospettiva di genere con un metodo trasversale a tutte le aree di intervento dell’ente (gender mainstreaming). In Italia il bilancio di genere ha conosciuto un’importante sviluppo. Grazie alla promozione della rete di Province e Comuni dedicata a sostegno di questo strumento, dal 2001 si contano i bilanci di genere di 26 Province, 23 Comuni e 6 Regioni.

A livello nazionale occorre ancora ricordare che la Direttiva del 23 maggio 2007 (G.U. n. 173 del 27.7.2007), “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche”, emanata dal Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, ha raccomandato alle amministrazioni pubbliche l’utilizzo del bilancio di genere.

Il dinamismo degli Enti Locali in questa materia rappresenta un’eccezione tutta italiana, riconosciuta anche a livello europeo. L’Italia è stata infatti l’unico paese a sperimentare il bilancio di genere a livello territoriale, al contrario degli altri paesi, dove l’impegno è stato soprattutto a livello nazionale.

Una specificità che premia il ruolo importante degli enti locali nel promuovere le politiche di genere, soprattutto attraverso i servizi sociali e alla famiglia dei Comuni, i servizi per le politiche del lavoro delle Province e i servizi sociosanitari finanziati dalle Regioni.

Il processo di federalismo diventa così cruciale anche per realizzare le politiche di genere nell’ottica delle Pari opportunità, a fianco delle politiche nazionali che mantengono una potenzialità di intervento non ancora adeguatamente espressa.

La dimensione di genere delle dinamiche federaliste rilancia inoltre una indispensabile azione di regia da parte dell’amministrazione centrale, che rappresenta l’unica via per superare le consistenti differenze regionali della condizione femminile.

Non è un caso infatti che il bilancio di genere si sia diffuso soprattutto nelle regioni settentrionali, dove l’empowerment politico, sociale ed economico delle donne è al livello dei paesi europei più avanzati, mentre solo recentemente sono state avviate alcune iniziative nelle regioni meridionali.

Dopo un periodo di intensa attività, si è assistito in questi ultimi mesi ad un rallentamento del processo di diffusione locale del bilancio di genere, che ha visto la conclusione dei numerosi progetti avviati negli ultimi tre anni, ma solo in pochi casi l’avvio di nuovi.

La mancanza di nuove risorse per i progetti, nonché l’inevitabile rallentamento delle attività, dovuta all’imminente scadenza elettorale, non spiega però tutti i motivi di una flessione di interesse, proprio in
un momento in cui la crisi economica rivela, come si è visto, l’importanza di strumenti conoscitivi dell’impatto di genere delle politiche pubbliche.

A ben vedere, le numerose esperienze di bilancio di genere maturate ad oggi in Italia hanno consentito di sviluppare una metodologia di analisi oramai consolidata, superando dunque la prima fase di sperimentazione dal punto di vista tecnico.

Il momento di stasi attuale nasconde invece la difficoltà del passaggio da un uso tecnico di questo strumento, in termini di rendicontazione delle attività svolte, ad un uso politico, in termini di costruzione di nuove politiche sensibili al genere, diverse modalità di allocazione delle risorse, modifica delle priorità di spesa nonché maggiore valorizzazione della spesa sociale.

Un percorso che certamente vede direttamente chiamati in causa gli amministratori, soprattutto le amministratrici, e che prevede una rinnovata assunzione di responsabilità delle politiche di genere di fronte ai cittadini e alle cittadine.

Il bilancio di genere in quest’ottica risente dunque dell’esigenza generale di una maggiore innovazione nelle politiche e nella pubblica amministrazione, dal livello locale a quello nazionale, e di una rinnovata sensibilità al tema delle pari opportunità.

I prossimi mesi saranno dunque importanti per vedere se il percorso del bilancio di genere fatto dagli enti locali ad oggi, grazie all’impegno di numerosi politici e dirigenti che si sono spesso spesi in prima persona, è destinato a crescere ancora.