L’aria d’Ungheria

di Alessandro Grimaldi
da www.peacereporter.net

Un paio di mesi fa, al bancone di un pub, una donna sui 40 anni, capelli rossi ricci e ben curati, si avvicina e mi urta. “Scusa”, mi fa. ”Prego”, rispondo. E’ rimasta accanto al bancone a fissarmi. Poi, con una grossa alitata di vino e una voce sguaiata, mi fa: “Zsido vagy??” Mi chiede se sono ebreo.

Due settimane dopo, un sabato sera, era un po’ tardi e tornavo a casa. Tre persone come tante, da lontano, ci chiedono: “Ariàk vagytok?”, siete ariàk? Per me l’aria è quella che respiro. La persona accanto a me, invece, capisce e fa cenno di lasciar perdere. Ci han chiesto se eravamo ariani. In quattro anni che risiedo a Budapest non mi era mai successo, come non avevo mai visto una rissa come quella dell’altro giorno, in un caffè tradizionale sotto casa, alle 10 di una domenica mattina, tra tre ragazze rom e i vecchi avventori ungheresi del locale.

“C’è qualcosa nell’aria”. Aveva proprio ragione il sito di Fidesz, il principale partito di opposizione, cristiano conservatore, anche se forse si riferiva ad altro. In Ungheria la gente è inquieta. Qui la crisi è arrivata quando, da due anni a questa parte, in occasione di ogni festa nazionale la gente si chiude in casa o va in campagna o sul lago Balaton per paura degli scontri per le strade tra manifestanti e polizia. La gente è scontenta del governo, della crisi e della disoccupazione, dei tentativi di imporre tagli alla sanità e all’università per risanare le casse dello stato. Ma la politica del partito socialista ungherese, MSzP,al governo, di riorganizzazione dello stato sociale prosegue.

A un Paese che per ripagare l’enorme debito estero ha già venduto i gioielli di stato (tranne la compagnia energetica, la Mol, oggetto ora degli appetiti della russa Gazprom), in cui più dell’80 percento del pil è in mani estere, si chiede di ridurre la spesa sociale. L’Ungheria è stato il primo paese a chiedere prestiti all’Fondo Monetario Internazionale e all’Unione europea. Ora i creditori esigono il saldo del conto, pretendono garanzie. Lunedì scorso il governo ha visto approvato dal parlamento il nuovo pacchetto di riforme, il cui fiore all’occhiello è l’eliminazione della tredicesima ai pensionati (sostituita da un bonus di 20mila fiorini – circa 70 euro – ma solo in caso di crescita del pil del 3,5 percento) e ovviamente l’aumento dell’età pensionabile, oltre che tagli all’Iva. Il motto del governo è “metter mano alla crisi primi che la crisi metta le sue mani su di noi”. La riforma aveva già avuto il placet dell’Ue, il presidente della Commissione europea Barroso si è dichiarato “sicuro che il Paese tornerà più forte di prima e che il governo ha preso le misure giuste per voltare pagina”. Sabato si è avviata la prima ondata di scioperi contro queste misure a partire dalla Mav, le ferrovie ungheresi, uno dei pochi sindacati ben organizzati, che hanno bloccato il paese per 10 giorni consecutivi a dicembre. In questi mesi la disoccupazione è salita, la crisi dell’auto ha fatto sentire anche qui le sue conseguenze: Bratislava, la Detroit europea, è lontana in fondo solo cento chilometri, grossi tagli ci sono stati nell’insediamento produttivo Suzuki di Esztergom e Toyota a Dunaùjvàros.

L’ingresso nella zona euro è previsto per il 2013 a essere ottimisti, nel frattempo il fiorino è stato lasciato libero di fluttuare, perdendo in pochi giorni il 20 percento contro l’euro. A Luglio 2008 ci volevano 230 fiorini per un euro, a Febbraio ce ne volevano 315. Magari un fiorino debole agevolerà le esportazioni, ma vallo a spiegare al mio amico Zsolt che gestisce una pizzeria nel Tesco (la catena inglese di ipermercati inglese, fra le prime ad arrivare qui) di Angyalfold, la Terra degli Angeli, uno dei più popolari quartieri di Budapest, e che paga l’affitto in euro, o a tutti quelli che hanno acceso un mutuo in euro in questi anni. Le colpe sono politiche. Dalle elezioni del 9 Aprile 2006 (lo stesso giorno in cui vinse Prodi) è stato fatto molto poco, il paese è rimasto immobile. Il governo Gyurcsàny è stato subito debole, travolto dagli scandali del settembre 2006 (in una registrazione il primo ministro ammetteva di aver mentito in campagna elettorale sulle reali condizioni del paese e apostrofava con epiteti a dir poco volgari paese ed elettori). Nel 2008 si è passati a un governo di minoranza, dopo l’uscita dei liberal, l’SZDSZ, alleato fondamentale dei socialisti pur con il loro 2 percento. Infine il martedì dopo Pasqua si è formato il governo Bajnai, un governo tecnico retto da un uomo d’affari nonché ministro dell’Economia nel governo precedente, per traghettare il Paese alle elezioni dell’anno prossimo e prendere le dovute misure anti crisi, cioè tagliare le pensioni. Curiosamente Baj in ungherese vuol dire problema, guaio.

neonazista unghereseL’opposizione di Fidesz non è da meno. Gli ultimi discorsi pubblici del leader indiscusso Orban, si sono caratterizzati per il vuoto assoluto di contenuti. Orban, largamente in testa nei sondaggi, tanto che si teme possa prendere i due terzi dei seggi alle prossime elezioni e quindi poter cambiare la costituzione, si limita ad attaccare l’MSZP e a proporre come soluzione alla crisi una leadership forte e tagli alle tasse. Sembra un po’ poco; se la ricetta di Fidesz non avrà successo, il malcontento andrà a rinforzare l’estrema destra. Nei manifesti elettorali per le europee l’SZDSZ si vede un giovane informatico a fianco di un forzuto in canottiera e chiede di scegliere chi sarà la terza forza politica del Paese, i liberali o l’estrema destra. In un Paese dal forte spirito nazionalista, l’estrema destra è quasi la terza forza: ha avuto gioco facile finora nel cavalcare la protesta popolare, guidando i movimenti extraparlamentari.

Per fortuna il sistema politico ungherese è ormai fortemente bipolare, incentrato su soli due grandi partiti, ma Jobbik, ha raggiunto l’8.5 percento nelle amministrative di Ferencvàros, ex roccaforte del centrosinistra e gode di un’attiva militanza. Jobbik ha fatto nascere poi la Magyar Garda, la guardia magiara, guidata da Vona Gabor, sorta di formazione paramilitare, con un’uniforme assai simile a quella delle formazioni ungheresi paranaziste, conta migliaia di affiliati e le sue investiture e sfilate al Castello di Buda o a Piazza degli Eroi sono un evento pubblico.

L’altra grande partito dell’estrema destra, il MIEP, guidato da Csurka Istvàn, scrittore, uno degli intellettuali artefici del cambio di regime nel 1989. Quando alla fine di Marzo Surànyi György, direttore della Cib Bank, gruppo Intesa, era premier designato, il giornale del MIEP è uscito con una copertina in cui Surànyi era raffigurato in un’enorme stella di David a tutta pagina. Una stella gialla. Ma la Magyar Garda non è da meno; un suo gruppo ha sfilato sabato18 Aprile in una cerimonia davanti al Matyàs Templom, la Cattedrale di Mattia, al Castello, il discorso verteva sulla negazione dell’Olocausto. Non era un giorno a caso, era il giorno prima della Giornata del Ricordo, in cui si ricorda la Shoa, per non dimenticare. Si sono poi recati alla vicina ambasciata tedesca per consegnare un comunicato. Qualcosa nell’aria, effettivamente, c’è.